Elisabetta Ottaviani (Bettina) [17], Marco Ottaviani (Faro) [19], Visso (MC), 29 ottobre 2017 Elisabetta: Il 24 agosto, con quella grande scossa sismica abbiamo avuto un po’ paura perché ci ha preso nella notte. Io non me ne ero neppure accorta, sentivo soltanto mamma che urlava: non ho fatto in tempo a vestirmi, ho preso di corsa dei panni e sono scesa. Uscita di casa, tutti i vicini erano già fuori. Quella notte è stata un incubo. Successivamente siamo rientrati per prendere delle cose da mettere in auto, dove siamo rimasti fino al giorno dopo. Quando siamo tornati a vedere com’era la situazione a casa: al piano di sotto non era successo quasi nulla, ma di sopra erano visibili delle crepe ed infatti hanno dichiarato la casa inagibile. Avendo sempre paura, papà e mamma hanno comprato una roulotte, ma io, mio fratello e alcuni ragazzi alloggiavamo qui al campo sportivo dove per il primo mese il comune di Visso aveva piazzato delle tende. Quando è cominciato la scuola siamo tornati nella roulotte. Io il 26 ottobre pensavo di morire. Il terremoto mi ha trovata in piazza e la porta del ristorante, che era vicino al municipio, non si apriva perché s’era bloccata. Fuori pioveva, era bagnato. È andata via la luce. Quando siamo riusciti ad uscire siamo andati un po’ qui e un po’ là: eravamo sei ragazzi e nessuno ci ha capito niente. Alla fine mi sono trovata con un ragazzo [Alessandro], abbiamo passato l’arco della piazza e siamo andati davanti la pompa della benzina che era crollata. Un ragazzo [Andrea Lupidi] mi ha portata a casa in auto perché le vie erano bloccate e a piedi non facevano passare. È stato brutto: chiamavo mamma e non rispondeva. Chiamavo papà e non rispondeva. Mio fratello non rispondeva perché le linee erano occupate. Non sapevo cosa fare. Alla fine m’han portata su: c’era mamma che piangeva ed erano tutti preoccupati perché è stata troppo forte. Avendo la roulotte, non eravamo partiti verso la costa con bambini, anziani ed altre persone. Ci eravamo detti: aspettiamo e vediamo cosa succede. Il 30 ottobre invece, quando ha fatto la scossa della mattina, noi eravamo in roulotte vicino casa, uno dei posti dove ora stanno facendo le casette, e sentivamo fin là le urla della gente che stava qui al campo sportivo. Papà è sceso, siamo venuti qui al campo insieme alle altre persone e poi è arrivato un elicottero dei pompieri e ci han detto: «dovete andare via.» Questa è stata la botta finale. «Nessuno può restare qui, se non partire arriva la polizia e vi porta via.» Mamma ha preso delle cose in roulotte, abbiamo fatto le valigie e siamo partiti per il mare. Arrivati giù eravamo come pesci fuor d’acqua perché vivendo in montagna e d’inverno il mare fa un altro effetto. Siamo rimasti 15 giorni perché poi mamma riprendeva a lavorare qua, ed anche papà lavorava qua, mio fratello doveva finire la scuola e il pomeriggio andava dagli animali. Avevamo tutto qua e non potevamo fare avanti e indietro dal mare. Arrivati qui al campo a Visso non conoscevo nessuno, o meglio conoscevo alcune famiglie. Da una parte il terremoto ci ha rovinato, dall’altra è come se avesse ricostruito una nuova società. Io con gli altri che vivono qui mi trovo più che bene, voglio bene a tutti allo stesso modo e glielo dico. Quando arriveranno le casette mi dispiacerà tanto perché comunque sia loro erano come una famiglia per me. Marco: Quando siamo andati al mare, era come una nuova situazione e pensavo: vediamo come la possiamo affrontare. Però una volta arrivato, la situazione era un po’ monotona perché non sapevo cosa fare. Ero da solo perché conoscevo poca gente. Noi l’abbiamo fatto, di scendere al mare, perché qui c’era un terremoto ogni due secondi, anche piccoli ma comunque la testa ne risentiva. Inoltre mio padre non poteva lavorare perché la ditta s’era fermata, anche la SVILA dove lavora mia madre aveva interrotto l’attività perché c’erano stati dei danni, la scuola era chiusa, quindi ci abbiamo provato. Io e mio padre tornavamo quassù a Visso soltanto per il bestiame: cosa stavamo a fare qui, non c’era nulla. L’abbiamo fatto per riposarci. La prima settimana è passata abbastanza velocemente, ma poi la situazione cominciava a diventare pesante, la scuola ricominciava, mamma e papà riprendevano a lavorare e quindi anche a noi rimaneva più comodo partire da qui per andare a scuola invece che partire da giù al mare. Siamo quindi tornati qui a Visso, abbiamo anche il bestiame che va accudito. Siamo stati per un primo momento nella zona vicino la Croce Rossa con tutte le altre roulotte, il datore di lavoro di mio padre ci passava la corrente. In seguito siamo venuti a conoscenza che potevamo spostarci qui al campo sportivo, ed è stata una cosa favorevole perché la corrente c’era, per le docce basta comprare il gasolio per la caldaia… Cerchiamo di avere una vita normale, abbiamo anche adibito una stanza a cucina, e ci siamo arrangiati: chi aveva tavoli, chi aveva sedie, ognuno ci mette del suo… È un po’ insolito perché siamo una trentina di persone, ed in un contesto familiare non si è in così tanti. Ci siamo dovuti adattare, ognuno ci mette del suo. Fai nuove amicizie. È una situazione un po’ strana ma è favorevole per tutti. Non avendo una stalla di mia proprietà, tenevo gli animali da un mio amico, il quale aveva una stalla abbastanza grande, e avendo pochi capi c’era spazio per potermi far appoggiare durante il periodo invernale. Io portavo gli animali da lui in una frazione [Aschio] a 5-6 chilometri da Visso, e la sera li andavo a pulire e gli davo da mangiare. Mi aiutava dandomi un posto dove tenerli d’inverno. Non avevo mai stipulato un contratto d’affitto, perché essendo amici non ce n’era bisogno. Dividevo con lui le spese per la corrente, per l’acqua e per alcuni anni è andata avanti così. In seguito al terremoto invece, con la prima scossa la stalla si era danneggiata, con la seconda era ormai demolita all’80 percento e con quella della domenica sono rimaste in piedi quattro colonne. Ho fatto domanda alla Regione per dei moduli per il bestiame, perché qui d’inverno le temperature scendono parecchio e generalmente nevica molto, ma mi è stato risposto che non mi spettavano perché non avevo un contratto d’affitto che testimoniasse che tenevo gli animali nelle stalle del mio amico. Mi sono dunque dovuto arrangiare da solo creando dei moduli provvisori con delle stanghe di ferro, bandoni e teli che mantengono il calore all’interno. Non so per quanto tempo sarà possibile continuare in questo modo, e se anche volessi aumentare il numero di capi non potrei, perché non avendo una stalla non posso andare avanti con dei moduletti provvisori. Se volessi ingrandire l’azienda non potrei. Ho chiesto anche al comune, che ha una stalla di proprietà che è qui vicino, se era possibile acquistarla e mi han risposto che la cedono con particolari condizioni. La stalla ha dei problemi, ci sarebbe da spendere dei soldi: anche se i muri hanno qualche filatura la struttura è solida, ma i tramezzi sono un po’ lesionati, il tetto è di amianto. Io ho proposto al comune: i lavori li farei a mie spese e loro me la venderebbero con un prezzo di favore e invece vogliono che io aggiusti la stalla che poi loro mi vendono per buona. Un attimo ci penso! È come se quei soldi li buttassi via, perché in fin dei conti se una stalla la compri a prezzo pieno, la compri buona e non una su cui c’è da rimetterci le mani. Scartata dunque questa ipotesi, se volessi metter su una bella azienda, cosa che mi piacerebbe fare, dovrei spostare la residenza in Umbria a Preci, paese d’origine di mio padre, perché lì, a mio avviso, valorizzano di più l’agricoltura e l’allevamento. Sarei dunque obbligato a spostarmi là, dove avrei già trovato la terra in affitto e i capannoni dove sistemare il bestiame. Questa è la decisione che dovrò prendere a breve, e ad oggi sono propenso a spostarmi nella zona umbra. Elisabetta: Noi stiamo aspettando le casette, è passato un anno pochi giorni fa e ci siamo stufati di vivere così. L’ho detto prima, quando andrò via di qui, le persone che adesso stanno con me mi mancheranno da morire. Li vedrò tutti i giorni ma non sarà come prima. Magari mi alzo e mi dicono buon giorno, andiamo a pranzo tutti insieme e 27 persone sono tante… Stare insieme a ventisette persone è bellissimo, però non è la quotidianità. Io lo dico: mi sono stufata di vivere così. Mi mancheranno, però si devono sbrigare a costruire le casette. La data di ultimazione dei lavori qui al campo sportivo è scaduta due giorni fa e devono ancora consegnare le prime venti. Dove invece sarà la nostra casetta, l’altro giorno lavorava solo un operaio. Sono pochi! Noi ci siamo stufati! Le altre aree, stanno tutte com’erano inizialmente: forse quelle più verso Villa [Sant’Antonio] sono ad un stadio più avanzato, ma vicino all’ex Parco Hotel, di Fronte alla Vissana [Salumi] non c’è ancora nessuna casetta montata. Gli operai sono pochi, si devono svegliare! Devono iniziare a mettere più operai, e si devono dare una mossa perché noi vogliamo una casa! Video intervista
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