Giuseppe Riccioni [40], Ussita (MC), 5 aprile 2018 Sono Giuseppe Riccioni, abito ad Ussita e vivo e lavoro in questo paese da più della metà della mia vita e niente, sono qui a raccontare quello che è stato per me questo periodo che va dal 24 agosto e direi fino ad oggi in un modo mio, un modo che ho voluto ricordare mettendo giù delle, degli appunti, dei piccoli scritti, un elenco, non infinito, ma spero sempre lo sia infinito, di brindisi, di tutta una serie di eventi, di cose successe in queste… in questo posto dopo il terremoto. Ehm, certo, dopo il 24 agosto, vedendo tutto quello che era successo intorno a noi, si giocava, qui con il terremoto, non avevamo chiaramente la minima idea di quello che poi sarebbe successo dopo, questo sia a livello privato che, purtroppo o per fortuna non lo so, per quanto riguarda il mio lavoro che fa parte poi dell’emergenza, che è stata un’emergenza nell’emergenza e poi è stata un’emergenza privata nell’emergenza dell’emergenza. Quindi ho cominciato, un po’ per sfogarmi, un po’ per ricordarmi le cose, a scrivere delle cose. Vorrei leggervi questa che è dell’8 novembre 2016 che mi è venuta guardando, ricordando, i miei paesani che la mattina del 30 ottobre [2016] hanno dovuto lasciare questo posto forzatamente. Oggi alla data del 5 aprile [2018] posso dire che sono ritornati tutti e quindi penso che sia il momento migliore per ricordare questa cosa con un grandissimo sorriso, e… Dice il saggio dall’alto della sua montagna: «Quando l’ebrei s’allontanavano da Dio, nel vecchio testamento, lui je mannava le piaghe». Dico io «Che c’entramo noi che semo marchigiani?» Il grande pastore [Renato Marziali], ripetendo la sua conoscenza a memoria, imparata dai grandi autori classici, non perde occasione per cantare anche i suoi versi, scritti durante i lunghi pascoli estivi e i lunghi inverni davanti al focolare. Come un personaggio di altri tempi, pronto per la transumanza del suo gregge, si sposta al mare coi suoi cosciari e tutti i suoi attrezzi che in questo momento non userà, ma saranno tra i suoi beni più cari. Di questo e di tanto altro sono fatte le persone che sopravvivono in questi luoghi, duri come le rocce ed allo stesso tempo selvaggi dove si respira sempre un’aria talmente pura che ti lascia inebriato al solo suo pensiero. Solo chiudere gli occhi mi fa pensare al candido mantello di neve che presto cadrà, e che come davanti una tela bianca forse ci darà l’ispirazione del disegno futuro delle nostre valli e delle nostre vite. Neve, ispiraci tu con le tue forme morbide. Ghiaccio, ispiraci tu con i tuoi disegni spigolosi e taglienti. Solo il ritorno dei fiori e delle acque che scorrono felici in mille rigoli diversi ci dirà se il letargo invernale fatto di fantasmi creati dal sole e dalla nebbia avrà caricato le batterie delle nostre menti, perché i nostri corpi saranno smunti e molto provati. Arrivederci a presto Renato, uomo che non conosci la noia. E quindi questa è, uno scritto che m’è venuto quel giorno che ho visto questo grandissimo personaggio che abbiamo qui ad Ussita, che in mezzo a quel disastro m’ha fatto uscire un sorriso e ho voluto ricordarlo così. E va bene. E poi, quasi per scherzo, ho incominciato a tirar giù, la sera soprattutto, quando stavamo in roulotte con un mio amico ed altri amici, un elenco di brindisi, di frasi corte che rendono l’idea. E quindi ripeto, spero che sia una serie infinita, che durerà per tutta, per tutta la mia vita, questa storia dei brindisi, perché mi è piaciuta molto. Quindi direi, cominciamo così: A ‘sta gente che c’ha sempre voglia de rompe i coglioni. Brindisi. A ‘ste zuppe pronte tipo Zuppa il casale. Brindisi. Ai gruppi musicali che hanno fatto veramente qualcosa di nuovo. Brindisi. E poi altri momenti: Bestemmiavo e piangevo. Brindisi. Il sorriso dei bimbi. Brindisi. E poi: Il freddo che ritorna sempre sottile ed affilato, mi aliena come non mai da un mondo che mi impaurisce anche solo così com’è. Brindisi? Anche no. E poi in altri momenti. Febbraio 2016: Il privato è differente. Brindisi. Marzo: Sedie a sdraio, due. Scalino d’ingresso. Amici. Bove. Bicco. Sole. Vento. Birra. Quasi primavera. Barba lunga. Fotografo [Mauro Pennacchietti]. Brindisi. System of a Down. Salve. Sorriso. Brindisi. Contrabbasso. Sonica. Brindisi. Poi: Ritratti a tempo. Ancora barbe lunghe a imprimere nel futuro un momento che in questo momento è già passato. Osservati, guardati dall’interno della nostra piccola cassa di risonanza: un cuore metallico che batte quando ci si vive dentro, pulsa pure. Brindisi. E poi Una taranta che porta l’estate in un posto che è lontanissimo del Salento. Brindisi. Sciacallaggio proprietario. Brindisi. Un attimo eh. Perché è a più riprese e non vorrei… Addirittura questo. Non dico niente. Brindisi. E poi questo. Non è completamente un brindisi ma: Verrei ovunque. Non esistono luoghi lontani, persone lontane o cose lontane. La certezza di trovare quello che si cerca è dentro un battito d’ali di colore rosa. Il rumore del colore ci fa sentire dagli occhi quello che a volte le orecchie non percepiscono. Silenzio. Grande silenzio. Brindisi. Telo. Sigarette. Pratino. Casetta. Brindisi. Brividi elettrici sulla schiena. Brindisi. E poi: Al fresco della sera. Brindisi. E poi: A volte bestemmiavo solo e non piangevo. Brindisi. E poi: A fine pasto restavano sui piatti le forchette sempre sdentate, tutte diverse, gesti diversi, di mani piccole. Brindisi. Così. E… Non lo so. Poi, dopo un anno, praticamente un anno dal terremoto di ottobre 2016, sono riuscito a fare un viaggio che volevo fare da tutta la vita, in un posto bellissimo e dove mi è capitato anche lì di scrivere delle cose diverse, che mi sono segnato, e… durante un tragitto, in un autobus tutto scassato, ho scritto questo: Vuoto nella testa, questo momento bloccati nel traffico, dopo poche ore abbiamo percorso solo pochi chilometri. Uno spostamento può variare dalle 5 alle 15 ore e tutto sembra scandito da un tempo che sembra pesare solo a noi stranieri. A tanti sembra di essere all’esterno della gabbia, io penso che siamo noi dentro e anche stretti stretti. Esperimenti sociali tra mastodonti carichi di persone. Piccole vetture Maruti-Suzuki e una miriade di motorini, tutti che vanno o vengono da qualche posto e tutti che alla fine sembrano più normali di come ci sentiamo noi. Questo paese sacro, complesso e semplice allo stesso tempo, mi riporta a quello che è il metro di misura minimo per vivere con molto poco, quando le giornate servono solo ad affrontare altre giornate, e per loro, la vita attuale, serve solo per affrontare altre vite. Credo che… Parlavo del Nepal, quindi mi era piaciuta questa sensazione che mi ha dato questo paese. Poi per carità, ho scritto anche tante altre cosette, però me le tengo per me. E… Che dire…. Sono passati, ho compiuto quarant’anni un anno esatto da terremoto 2016 e… è una vita diversa, fatta di esperienze diverse, con cose diverse, case diverse e… mi sono fatto adottare da un gatto, eheheh, che non si fa accarezzare, quindi è il gatto perfetto per me, e… non lo so… mmmh. Quello che poi adesso sarà lo vediamo ogni giorno, ogni giorno in maniera diversa, il mio punto di vista è più tecnico magari rispetto ad altri, visto che lavoro in questa che speriamo diventi la fine dell’emergenza, e quello che è un inizio di ricostruzione. Certo è, qui resterà chi decide di restare. Non la vivo come un dramma, non la vivo come una sconfitta, l’avranno detto in tanti, il terremoto è stato un grande acceleratore di cose: quello che era un processo lento ed agonizzante è stato solo, appunto, accelerato. E… Che dire… Vi leggo un’altra cosa, che vorrei evitare totalmente di parlare di quello che è proprio il discorso del terremoto, è assurdo ma è così, perché tutti hanno detto qualcosa, tanti hanno detto qualcosa, anch’io ho detto tantissimo, ma un concetto di auto-condizionamento positivo è quello di parlare di altre cose: basta terremoto. Basta terremoto. Bisogna guardare avanti. Quindi, a questo punto, quello che ho detto prima non vale più e leggo qualcos’altro. Allora… un attimo di pazienza. Questo è uno scritto di aprile 2017, ci stavamo un po’ svegliando dal letargo invernale, in quello che era il grandissimo campo roulotte e camper di Ussita, fatta da meno di dieci mezzi a motore fermi nel fondovalle. Cazzo! Aprile con gli occhi lucidi di brina, sembra che questa primavera sia arrivata a salvarci da mesi di letargo che solo in apparenza ci hanno fatto dormire. Ricordi di Londra. Non so perché, ma tanto tempo per pensare fa tornare ovunque si voglia, persone, odori, visioni e ancora ricordi, vaghi, offuscati, ma emozionanti al solo pensiero personale dell’esperienza vissuta. Quante cose vissute: una vita, un secondo, un tanto quel che basta, è quello che poi ci basta sempre. E poi… occhi bellissimi, aspettati inaspettati tutte le volte. Tutte. È da tanto che conosco e ripeto una poesia di Trilussa. C’è un’ape che si posa su un fiore di rosa, poi s’alza e se ne va. In fondo la felicità è una piccola cosa. Oggi ho ucciso un’ape, mi voleva pungere e come sempre l’essere dominante, qual è l’uomo, ha scatenato tutta la sua violenta forza contro un piccolo essere, niente felicità: né per me, né tanto meno per l’ape. Morta. Musica. Percezioni. Sensazioni. Ricerca interiore. Tutto questo qui ora, insieme alla presenza brutta di un traliccio che spezza l’armonia e che sfigurerebbe anche nella periferia peggiore della peggiore città. Le cime di queste piante, come vele che gonfiate dal vento sembrano riuscire a muovere tutto quello a cui sono per natura attaccate, radici ben piantate nel terreno. Può capitare che tutto si spezzi ma, un giorno, riusciranno a germogliare di nuovo. Grande felicità. Infinita felicità. Non lo so. Leggo, poi… Boh, sto male, non riesco a gestire questa situazione o stato d’animo, perché quando tutto è strano, quando tutto non va, quando tutto è silenzioso, perché? Mi piacerebbe chiamare tutti e allo stesso tempo tutti non capirebbero. Forse è vero, la scimmia della disintossicazione sociale e umana è la peggior condizione che io abbia mai provato. Ti prende allo stomaco cercare te stesso, ti prende con la forza e ti senti veloce, uno sforzo assurdo resistere alla velocità che nello stesso momento ti droga e ti esalta. La vera esperienza è lo sconosciuto, l’inconscio e il celato. Scusate, rileggo man mano delle cose che… che è veramente simpatico. Pomeriggi ventilati, di fuori e dentro il corpo. Occhioni lucidi di un piccolo cagnolino e pensieri lucidi di cagnolini lontani da qui. Moretto, quando siamo diventati amici io e te, ci siamo scrutati per anni e solo la paura vissuta insieme e la successiva carezza reciproca ci ha veramente legato. Piccolo grande esploratore che sei, amico peloso. Ammiro di te la tua libertà, anche quella che a volte ti avvicina alla morte più violenta, dove gli istinti di cacciatore trovano massima espressione dell’essere tu parte della natura. Facciamo che basta, a leggere, facciamo che basta. Penni [Mauro Pennacchietti], non so più cosa dire. È stato, è bello bello. È bello bello bello. E quindi niente, a parte le stupidaggini, questo è il mio modo di ricordare questo bellissimo periodo, guardate il mio sorriso è stato tanto duro, ma allo stesso tempo appagante, è stato emozionante e a parte l’aspetto legato proprio alla catastrofe così, se la vogliamo chiamare, del terremoto, ci ha permesso di conoscere tante persone nuove e di conoscerci sicuramente anche dall’interno, cioè di conoscere proprio noi stessi. Per quanto mi riguarda ha abbassato le aspettative delle comodità, delle necessità ad un livello molto basilare, nel senso che… non che fossi abituato a tutte queste grandi comodità, ma… come dire, la certezza di poter sopravvivere con veramente poco… ora ce l’ho. Ora ce l’ho. Che poi se vai a vedere non è poco per niente. Però, veramente, l’arte di arrangiarsi è servita tanto e chi non era capace ha imparato a farlo. Senza dubbio. Tutto qua. Facciamo uno stop? Magari. Eheheh. Intervista video
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