Stefano Lucerna (Caniggia) [54], Visso, 19 novembre 2017
Stefano Lucerna, terremotato di Visso, età 54 anni e niente, già è stato detto tutto sul sisma, già è stato detto tutto sulle problematiche, sulle difficoltà, sulla pazienza che se n’è andata, sulle istituzioni e su tutto… Indi per cui non commenterò ma suonerò una canzone dei Pink Floyd dal titolo “Green Is The Colour”, canzone sconosciuta ai più, ma che io adoro: Heavy hung the canopy of blue Shade my eyes and I can see you White is the light that shines Through the dress that you wore She lay in the shadow of the wave Hazy were the visions overplayed Sunlight on her eyes but moonshine Made her blind everytime Green is the colour of her kind Quickness of the eye Deceives the mind Envy is the bond between The hopefull and the damned This is the end my friend. Goodbye all the people. È buona? Buona la prima? Apposto Video intervista
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Fabio Troiani (Bobone), Rosella Rinozzi, Visso, 18 novembre 2017
Rosella: Io sono Rosella Rinozzi, quasi cinquant’anni e sposata con Fabio da ventisei… Fabio: … ed io ne ho quasi sessanta. Rosella: Che è successo il 24 agosto? Fabio: Eh, il 24 agosto ha cominciato a scuotere, ha fatto un bel terremoto, c’ha sconocchiato tutto e… è un problema. Rosella: Il negozio. Fabio: Ha scocciato il negozio e poi tutti i problemi, perché… eh, perché! Perché c’è un problema appresso a un altro… eh… eddai… Rosella: Qual era il problema? Poi è arrivata la scossa del 26, eravamo rientrati a casa, eravamo rientrati e… siamo riusciti fuori… Ci siamo comprati la roulotte pensando che a casa non ci si potesse più dormire, perché comunque le scosse erano… era stata forte tanto. E invece dopo il 30… Fabio: … ha rotto pure casa… Rosella: … ha rotto tutto quanto. Dopo è stata la fine del mondo veramente. C’hanno mandato venti giorni al mare, con questo pazzo che si riusciva a portar via da qui. Fabio: Son venuto via una volta, poi so’ tornato su eh… Il discorso è questo.. Rosella: Poi avevamo le bestie, noi avevamo gli animali da accudire… Fabio: Abbiamo l’azienda agricola, ci siamo trovati un po’ infognati nei problemi perché un po’ la roba… la macelleria rotta, la roba non se vende e tutti ‘sti problemi qui… eh… Rosella: …e poi dopo, dopo avevamo ricominciato… abbiamo cominciato a vivere qui… Fabio: … eh … Rosella: …abbiamo cominciato… Fabio: … siamo venuti a vive al Bronx… Casa l’ha distrutta. Rosella: E tutto sommato abbiamo trovato un’altra famiglia. È stata pure una forza stare qui, con tutti insieme sinceramente, con tutti i disagi, con tutti i problemi, perché comunque tante realtà diverse tutte insieme, quindi… i problemi tanti. Tanti lavori diversi, tanti… tanti… Tanta gente, perché comunque eravamo trenta persone e quindi sono tante… tanta gente e tanto lavoro, tanto tutto… però è stata anche una forza, perché stare isolati da qualche altra parte penso che poteva essere anche più… no sicuramente Fabio: Sarebbe stato peggio. Rosella: Eh? Fabio: Sarebbe stato peggio. Rosella: Sì, sicuramente è stata una forza stare tutti insieme. E ci troviamo adesso a pochi giorni dall’andare nella casetta [SAE] e sarà anche questo un altro trauma, un’altra avventura, un’altra realtà, un altro riadattarsi. Perché poi il paese comunque è ancora veramente deserto, quindi piano piano ritorneremo, vedremo che prospettive ci darà. Vedremo… Fabio: Prospettive poche. I problemi sono tanti. Rosella: Il rammarico di non ritornare a casa, quello è tanto, perché comunque uno ci aveva speso tanto… ormai, voglio dire… un figlio se n’è andato… ed uno è rimasto. Forse anche per questo ancora… sennò forse era la volta buona di… Fabio: … eh… Rosella: … di chiudere tutto. Di chiudere. Però gli piace, quindi… Fabio: La forza di andare avanti c’è poi, poi vedremo che cosa vien fuori, al limite… vedremo. Vedremo chissà se che… Rosella: … se che c’aspetta. Fabio … se che c’aspetta, eh… è un problema. Rosella: Intanto… giorno per giorno. La filosofia è questa, dopo vedremo. Dopo vedremo. Non so che altro, che altro si può dire. Non lo so, è tutta un’avventura è tutto una cosa surreale. Fabio: È tutto complicato. Rosella: È tutta una cosa che c’è cascata addosso così. Fabio: È cascato tutto addosso. Rosella: C’ha cambiato la vita. Bisogna ricominciare da zero, ricominciare… Fabio: Si scoprono tante cose che prima non si sapevano, tutte le porchette che fanno, tutta la burocrazia che fa pena… ed è proprio questo, penso, ciò che distrugge un po’ tutti, perché… purtroppo… Rosella: La voglia di fare ci sarebbe ancora, però, tanti limiti, tanti… Fabio: Purtroppo i problemi sono questi. Non si sa cosa si deve fare, come si deve tirare avanti, se uscirà qualcosa di nuovo, se… Bisogna attaccarsi ai vetri per andare avanti. Vediamo un po’. Rosella: Vedremo dai, vediamo. Ricominciamo una vita nuova no? A cinquant’anni si ricomincia una vita nuova. Bisogna riadattarsi a questa vita nuova, poi dopo quello che viene va bene. Quello che viene va bene. Basta che i figli abbiano un futuro… dopo, poi stiamo bene anche così. Mi dispiace per Fabio, per casa di Fabio, però… Fabio: C’ho messo due generazioni a falla… Rosella: Tre quasi… e non l’avevi finita ancora… Fabio: … Rosella: Tutto qua. Non so che altro dire. Sinceramente. Per fortuna si va di corsa, almeno si pensa poco, quello sì… fortuna. Giusto? Fabio: Sì, sì. Giusto, giusto. Sarà giusto, ma… Rosella: Ok? Intervista video Annarita Mocci [65], Visso, 9 novembre 2017
Mi chiamo Mocci Annarita, ho 65 anni e sto dentro un container, nei moduli abitativi, dal febbraio del 2017. All’inizio della sequenza sismica [di Amatrice, Norcia, Visso] mi hanno mandata a Porto Sant’Elpidio dove sono stata malissimo, perché ero stata sradicata. Nella notte del 24 di agosto è stato tremendo, ma casa stava ancora abbastanza bene, poi dopo invece… L’ultima settimana di settembre, a cavallo con ottobre, sono andata a Lourdes e, mentre tornavo, ho fatto un sogno in cui vedevo Visso che veniva distrutta ed io in mezzo alla piazza col cane che urlavo. C’erano delle persone con me e gli ho raccontato del sogno terribile che avevo fatto, ho pensato che poteva esser perché ero ancora turbata dal terremoto. Poi il 26 ottobre (quando c’è stata la prima scossa), stavo dentro casa e fuori c'era il temporale, il cane abbaiava e gli dicevo «Mox non abbaiare che siamo usciti adesso» e invece m’avvertiva che stava arrivando il terremoto. A quel punto non mi si apriva più la porta, vedevo i muri che mi si aprivano e chiudevano davanti. Poi quando è finito sono scesa in piazza dove c’erano degli amici che stavamo discorrendo e tutto d’una botta, alle 9 e 18, è arrivato quel terremoto, quel mostro che c’ha rovinato tutti e vedevo le case che cascavano giù vicino a me… Due case, il Palazzo dei Governatori e il palazzo che gli sta di fronte che cascavano giù. Dico questa è la fine. C’erano i pompieri che ci tiravano in mezzo alla piazza. Non lo so come ci siamo salvati. La terra che ondulava e sembrava un maremoto… E poi il giorno dopo c’hanno portato via, ci hanno fatto andare via tutti, a tutti… Sono stata al mare e quei quattro mesi al mare sono stati tremendi. Per fortuna ho avuto una persona che m’ha aiutato a superare queste cose, piano piano… Con la lontananza, con le cose. In seguito sono tornata a Visso e sono stata meglio, ho cambiato fisionomia, tutto… È l’aria del paese mio. Sarà una stupidaggine, ma io a Visso sto bene, anche se è distrutto. Ci rovinano tutto… Le casette ancora non ce le danno, stiamo in una comunità in cui la convivenza non è che sia facile tante volte, eh… Ci hanno abbandonato tutti. Fanno le passerelle e le cose loro, ma non è che vengono a vedere come stanno veramente le persone, di cosa abbiamo bisogno. Non si vede nessuno. Dal nostro fino a su il Presidente… Proprio abbandonati. Speriamo che ce la facciamo a riprende, ma sarà dura. Io ho il cane, e questo mi dà tanto… Lo porto a spasso, è stato con me giù al mare. Anche lui m’ha dato forza perché sennò io non lo so che succedeva al mare, ero arrivata ad un punto che… non lo so… è triste dirlo ma… ero arrivata proprio al limite. Se non tornavo a Visso… me ce portavano loro. Basta. Intervista video Alessandro Morani (Sasha) [44], Visso, 9 novembre 2017
Mi chiamo Alessandro Morani, ho 44 anni e ci troviamo a Visso. Il tutto ovviamente inizia il 24 agosto, con quella scossa alle tre, tre e mezza di notte che mi ha svegliato e buttato giù dal letto. In quel momento c’è stata tantissima paura, fortunatamente l’abitazione non aveva subito danni enormi, però per precauzione 15 giorni ho dormito in tenda, anche se durante il giorno vivevo ancora la mia casa. La situazione poi si era tranquillizzata, a livello tellurico, per cui col passare dei giorni, a metà settembre, ho trovato il coraggio di rientrare nella mia abitazione, fino al 26 di ottobre. Dal 24 agosto al 26 ottobre, anche se non avevo subito danni materiali all’abitazione, ho comunque subito danni economici, nel senso che avendo un’attività, purtroppo il 24 agosto tutti i turisti presenti nella nostra vallata, Visso, Ussita, Castelsantangelo sul Nera, sono scappati. Sono scappati e quindi io, come tutti gli altri operatori commerciali nella zona abbiamo risentito più a livello economico che a livello di danneggiamento strutturale delle abitazioni o dei locali, per cui un primo danno c’è stato con le scosse del 24 agosto. Dopo di ché dal 26 ottobre, quelle due scosse maledette delle 19 e qualche minuto e delle 21, intervallate da un nubifragio che sembrava finire il mondo… quel giorno purtroppo anche l’abitazione ha subito danni, quindi sono stato cacciato dal terremoto da casa, anche a fronte delle ordinanze di sgombero da parte dell’amministrazione comunale. Il negozio era ancora agibile, quindi ho potuto continuare per qualche giorno, fino al 30 ottobre, a lavorare nella mia attività, nel frattempo però, non avendo più l’abitazione, ho dormito un due tre giorni in macchina qui al campo sportivo di Visso, dove c’erano anche altre persone, e poi un paio di giorni ho dormito all’interno dello spogliatoio. Il 30 ottobre purtroppo la nuova scossa ancor più forte ha disintegrato tutta la comunità di Visso, di Ussita, di Castelsantangelo sul Nera. La nostra comunità. Con le ordinanze di evacuazione totale dei tre comuni, tutta la gente è stata portata, diciamo quasi con forza, al mare presso la costa marchigiana. Io ovviamente ho rifiutato assolutamente di lasciare Visso, per cui insieme ad altre 7-8 persone, che anche loro avevano deciso di rimanere, ci siamo organizzati. Organizzati all’inizio in 2-3 roulotte, quindi dormivamo in tipo 10-12 persone in 3 o 4 roulotte, poi con il tempo, con il passare dei giorni abbiamo cercato di capire meglio la situazione. Ci siamo organizzati con altre roulotte che ci sono state donate e quindi abbiamo fatto gruppo, per poter capire cosa sarebbe successo nel futuro, perché ovviamente a me, ma come a tutti gli altri, è la prima volta che capita una cosa del genere. Trovarsi senza casa, trovarsi senza lavoro, trovarsi senza popolazione: eravamo veramente pochi e all’inizio eravamo alloggiati con queste roulotte vicino al campo dove c’era la mensa dell’esercito. Per una quindicina di giorni, fino circa a metà novembre, mangiavamo lì, c’erano delle docce della protezione civile. Dopo di che abbiamo deciso di organizzarci veramente, poiché era chiaro che avremmo dovuto passare l’inverno nelle roulotte, anche perché le notizie che arrivavano non erano positive: ci dicevano che le casette non sarebbero arrivate prima di sette mesi per cui abbiamo deciso di organizzarci in modo diversi. Abbiamo chiesto se era possibile restare presso il campo sportivo, dove era possibile farci delle docce, c’era un bel piazzale: abbiamo quindi portato una quindicina di roulotte e camper presso il campo sportivo di Visso. Ci siamo organizzati facendo anche una piccola cucina e poi a mano a mano, col passare del tempo c’è stata donata una casetta in legno dove abbiamo creato la nostra sala da pranzo… e altre, forno… e altre cose che ci hanno permesso di allestire al meglio questa nostra situazione di emergenza e di fortuna. Purtroppo col passare dei mesi la situazione non è che è migliorata, le promesse che ci erano state fatte a fine ottobre - primi novembre che le casette sarebbero arrivate nell’arco di sette mesi, quindi maggio-giugno, non sono state rispettate. Questa scadenza è andata sempre più avanti e adesso che siamo di nuovo alle porte dell’inverno, ai primi giorni di novembre e ancora non ci sono le casette, siamo ancora in roulotte, la popolazione è ancora per il 90% sfollata, non più soltanto al mare, ma diciamo che son stati costretti a trovare delle case, ma non qui a Visso… qui a Visso ce ne saranno 10 o 15… purtroppo stanno ad una distanza di 50 o 60 chilometri e per chi lavora qua è costretto a fare da un anno il pendolare, e chi non lavora qua ha trovato lavoro fuori. Questa è la cosa peggiore che poteva capitare, perché in questo modo è stata già sicuramente persa una parte di popolazione e con il passare del tempo si rischia di perderne altra. Ciò significa che se prima del terremoto, al 24 agosto, Visso, Ussita e Castelsantangelo sul Nera potevano contare su circa 1800-2000 persone fisse, il rischio è che da qui ad un anno, quando la situazione potrebbe essere normalizzata a livello abitativo, potremmo risultare anche poco più di mille, quindi aver perso un 30-40% di popolazione e questa è una cosa gravissima. È gravissima perché io ritengo che uno Stato moderno come l’Italia, che si ritiene industrializzato, che fa parte dell’Europa, quel giorno, quel 26 ottobre e soprattutto il 30 di ottobre, non aver avuto un piano d’emergenza già programmato è gravissimo: io posso accettare l’idea che per motivi di sicurezza si sfolla della gente ad una certa distanza, ma sempre per motivi di sicurezza e per organizzare i campi dove accogliere di nuovo le persone, ma al massimo un mese, un mese e mezzo. È inconcepibile che a distanza di 12-13 mesi non ci siano ancora delle Soluzioni Abitative chiamate d’Emergenza [SAE], perché dopo un anno la parola emergenza… penso che non abbia più senso: qui parliamo ormai di tempi ordinari. Se io avessi dovuto costruirmi una casa da solo, penso che in 6 mesi una casetta di legno l’avrei realizzata sicuramente. Per cui questa è la cosa che mi amareggia di più, cioè l’aver perso del tempo e quindi di conseguenza perderemo sicuramente una fetta importante di popolazione. Tornerà? Chi lo sa. Potrebbero tornare se le condizioni lavorative lo permetteranno, naturalmente: siamo a Visso, a Ussita a Castelsantangelo sul Nera perché si vive bene, il tenore di vita è buono, a livello di salute l’aria è buona, si sta bene, però ovviamente per andare avanti nella vita servono i soldi e, se non c’è possibilità lavorativa è ovvio che le persone non possono avere un’idea di rientrare. Quindi bisogna mettersi in testa che bisogna fare uno sforzo enorme, che oltre a creare il discorso abitativo, bisogna avere dei tempi strettissimi per far sì che ci sia possibilità di lavoro, che le attività possano riaprire in modo non temporaneo, ma molto più stabile rispetto ad oggi, e che quindi ci sia l’attrazione sia da parte della popolazione che è andata via sia ovviamente a livello turistico di ritornare in queste zone. Ovviamente il fatto che abbiamo una strada statale Val Nerina ancora oggi praticamente chiusa, se non aperta a piccole fasce orarie, che ci collega all’Umbria e ai comuni limitrofi, che erano un bacino commerciale importante per noi, anche questo ci ha danneggiato seriamente. Ora qualcosa si muove, siamo sempre a distanza di più di un anno, ma qualcosa si muove: speriamo che anche questo permetta un miglioramento della situazione, la riapertura della strada Val Nerina è una cosa importantissima, perché ovviamente permette una maggiore circolazione delle persone e altrimenti ci troviamo come fossimo in un imbuto, si arriva a Visso ma non si può andare da nessun’altra parte: né andare verso l’Umbria, né salire verso Castelluccio. Quindi questi sono aspetti importanti, soprattutto per me che lo vivo direttamente essendo un commerciante: vedo cosa significa non avere gente che gira e se la gente non gira e non spende ovviamente il lavoro non si può ricreare. La fortuna vuole che abbiamo una grossa fabbrica qui a Visso che permette a molte famiglie di ricevere uno stipendio fisso, questa forse è l’unica nota positiva che qui ancora c’è. Per cui dal 24 agosto ad oggi, perché io metto il 24 agosto come partenza diciamo del danno economico del paese, il 26 ottobre è il danno materiale strutturale, ma già dal 24 agosto, le perdite sono elevate a livello economico. Che dire, la situazione non è bella. Io normalmente sono sempre molto positivo, quindi vedo sempre il bicchiere mezzo pieno invece che mezzo vuoto, però dopo un anno anche i positivi come me un pochettino perdono le speranze, perché vedi che tu ti dai da fare, cerchi di sforzarti a capire perché, dove si può andare a migliorare le cose, cercare anche di essere d’aiuto, di dare un consiglio, poi però sembra quasi che non si riesce a ottenere niente, non si riesce a capire le colpe di questi ritardi, e quindi uno diventa pazzo… Perché? Un anno fa pensavo, e non solo io ma anche altre persone: che magari dietro c’è un progetto di spopolamento dell’Appennino, punto di domanda? Perché una gestione così scandalosa, diciamolo chiaramente, del terremoto, di questo terremoto, è visibile agli occhi di tutti. Di tutti quelli che son venuti qua e di tutti quello che anche attraverso la televisione, i giornali, ormai si son resi conto della situazione. Nessun altro terremoto, pur se questo è molto più vasto sia del terremoto del ’97, che terremoto de L’Aquila, che il terremoto dell’Emilia… però vedere una disorganizzazione a livello generale così grande, lascia perplessi. Per cui o è incapacità o è malafede, e quindi c’è volontà di spopolare, ma ovviamente spopolando l’Appennino, spopolando questa zona delle Marche, rischiano di danneggiare a livello economico anche i comuni più grandi vicini: se vengono a mancare le persone qua, anche verso la costa vengono danneggiati o se non è la costa è la zona di Macerata, perché comunque c’era gente che da qui scendeva a far spesa o comunque si muoveva verso queste realtà. Ma se questa gente che ora è qua, si sposta in altre realtà, che non sono questi comuni limitrofi, credo che il danneggiamento sia anche per loro. Credo ci voglia un cambio di rotta su tutta la questione. Speriamo che ci sia, perché se queste sono le premesse, ho paura che per la ricostruzione ci vorranno 20-30 anni: se per fare le casette, che sono d’emergenza, ci vorranno a questo punto un anno e mezzo o due anni, per la ricostruzione di un centro storico come quello di Visso, dove ho l’abitazione… c’è rischio che non la rivedrò mai più neanch’io che ho un’età di 44 anni. Son domande che uno si deve fare perché, parliamoci chiaro, qui già ci sono problemi R4, di rischio idrogeologico, dovranno risolvere quei problemi, dovranno fare tante verifiche, per cui il problema è enorme. Il pensare che un centro storico come quello di Visso non possa essere ricostruito, secondo me è follia, però l’intenzione ad oggi è quella. Ho timore che queste realtà possano sparire, perché a differenza di quello che è stato fatto magari in Emilia Romagna, dove hai una pianura, puoi anche delocalizzare un paese di un chilometro o due, ma un paese come Visso come fai a delocalizzarlo? Dove lo sposti? Cioè non c’è possibilità di spostarlo di un chilometro o due. Se anticamente l’hanno fatto lì, e siccome io ritengo che i nostri nonni, i nostri bisnonni, i nostri erano più intelligenti di noi, se l’hanno costruito lì un motivo ci sarà. Per cui nel 2017, ormai alle porte del 2018, non possiamo farci spaventare da problemi idrogeologici, penso che dobbiamo essere in grado di risolverli questi problemi, oppure contenerli. Sapere che Visso non potrà più essere ricostruito, è una cosa che mi fa piangere. Quindi questo terremoto, invece che distruggerci, dovrebbe servire per rilanciarci, per rifare più bello il paese, per ridare opportunità lavorative, quindi anziché perdere la popolazione dovrebbe darci la possibilità di far ricrescere la popolazione, e spero che nelle capocce dei nostri politici questa cosa possa entrare, anche perché la scelta di riempire le città, dove non si vive più, penso che sia una scelta folle: bisognerebbe invece cercare di favorire e cercare di far sì che ci sia un esodo verso queste realtà, ripopolare le montagne, perché è importante, perché anche i bambini vivono meglio in posti così piuttosto che all’interno delle città, dove se c’è la nebbia allora c’è lo smog e i bambini non possono uscire, l’estate fa caldo… queste sono zone bellissime, dovrebbero essere valorizzate di più dai nostri politici, invece che metterli all’interno delle città e farli diventare stupidi. Io sono molto arrabbiato, a volte quasi… che mi vergogno di essere italiano per come ci stanno trattando, è una cosa allucinante e grave. Vedere famiglie con bambini ancora ospitati in albergo, oppure stare in delle abitazioni a 50-60 chilometri quando invece hanno la volontà di rientrare, e non lo possono fare perché non sanno dove andare: io questa cosa la ritengo gravissima, ed è la cosa che mi dispiace di più di questo terremoto, cioè vedere come sono state trattate le persone. Per non parlare ad ottobre quando sono state mandate sui campeggi, e poi a maggio, quando i turisti arrivavano, sono state cacciate dai campeggi: questa cosa anche è gravissima. Non sono pacchi postali! Per cui se io dico sto in roulotte, sì, ma allora, forse, sono stato meglio io in roulotte che queste persone trattate veramente come pacchi. Il mio stato d’animo ad oggi è ancora combattivo, perché tornerò tranquillo quando la gente sarà tornata a Visso, a Ussita, a Castelsantangelo sul Nera, a Pievetorina o comunque quando vedrò che tutta la gente è rientrata, solo allora tornerò in pace con me stesso. Fino a quel momento sarò incazzato nero, come lo sono non dal 26 ottobre, ma dal 30 ottobre, perché fino al 30 c’è stata talmente tanta confusione in testa che ovvio, uno non aveva metabolizzato la cosa: perché a me era capitato di averla viste in televisione queste cose, gente senza una casa, gente disperata e invece adesso mi ritrovo io insieme ai miei concittadini in questa situazione. Per cui sono arrabbiatissimo e tornerò ad avere un minimo di pace solo quando, solo quando la gente potrà tornare alla propria abitazione. La cosa che da qui a 15-20 giorni mi fa stare peggio è che molto probabilmente io alla fine di novembre forse riuscirò ad avere una abitazione, però il sapere che altri miei concittadini dovranno ancora aspettare del tempo è una cosa che mi fa veramente male, perché non è concepibile una cosa del genere. Cioè io avrò della felicità perché tornerò in una abitazione, ma gli altri? Uno potrebbe dire, vabbè, rinunci tu alla tua casetta? Sì, potrebbe anche questa essere una soluzione, però pure io vivo in una roulotte, quanto posso ancora andare avanti in una roulotte? Quindi ripeto, se da un lato ho la felicità perché magari riacquisto un minimo di libertà e un minimo di… calore familiare, anche se io vivo da solo, però ogni tanto vengono a trovarmi i miei genitori, dall’altra parte però mi dispiace vedere persone ancora fuori. Ma questo ovviamente non significa che io come vado rompendo le palle in tutti i cantieri, compreso quello dove dovrò andare io, in modo più assiduo ovviamente, non è che quando io avrò l’abitazione non andrò più sugli altri cantieri a rompere le scatole: ci andrò ugualmente. Proprio perché smetterò di rompere, smetterò di essere rompiscatole, quando tutte le casette richieste saranno terminate e tutti i miei concittadini saranno tornati qua. Allora sarà un giorno di festa qui a Visso. Fino ad allora non credo, fino ad allora non credo proprio. Basta. Intervista video Andrea Giuli [52] e Stefania Paternesi [53], Visso, 9 novembre 2017
Andrea: Io mi chiamo Giuli Andrea e purtroppo sono uno dei tanti capitati in questa situazione. Il 24 agosto casa nostra aveva retto bene e non ha subito danni, pensavamo di esserci salvati ma, purtroppo, il 26 ottobre casa nostra è stata distrutta, e da quella sera in poi non abbiamo più messo piede in casa. Abbiamo fatto un’odissea: siamo stati prima a dormire in macchina per qualche giorno, poi a dormire dentro gli spogliatoi del campo sportivo, poi con la scossa veramente bestiale del 30 mattina siamo stati costretti ad andare via tutti, e quindi siamo stati al mare. Prima in un villaggio, poi in un altro villaggio, poi Stefania col suo problema del lavoro, lavora qui a Visso in una fabbrica… Stefania: …alla SVILA… Andrea: …alla SVILA… ed aveva la navetta per venire su: erano tantissime le ore in giro e non ce la faceva più. Anche io avrei dovuto cominciare a lavorare qui a Visso con una ditta di movimento terra, e quindi siamo venuti… Abbiamo preso la decisione, la triste decisione, di dover venire dentro questi dormitori. Si pensava che qui ci si doveva stare qualche mese solo, noi siamo arrivati qui che era marzo, prima pensavamo che avrebbero consegnato le casette ad agosto, poi che le avrebbero consegnate a ottobre… adesso siamo a novembre e ancora stiamo qui. Non è facile vivere qui… Non è che uno si vuole lamentare, perché grazie a Dio abbiamo questa struttura, però siamo arrivati ad un livello di stress molto alto; non ce la facciamo più. Sappiamo che dobbiamo restare qui ancora qualche mese… Stefania: Se basta. Secondo me no. Andrea: Io penso che prima di febbraio non se ne parli, quindi sarà dura. Sarà dura vivere tutti i giorni, sarà dura… diventa duro il rapporto di coppia, diventa duro il rapporto con le altre persone, diventa duro tutto… tutto è duro. Poi ho avuto la sfortuna che sul lavoro ho avuto un infortunio, mi sono rotto una caviglia, e dal 14 settembre sono immobilizzato: immaginate voi, immobilizzato dentro a questa scatola, perché io la chiamo la scatola. E questo è quanto. I lavori vanno avanti, vanno avanti con fatica, di problematiche ce ne sono state tante, nessuno c’ha colpa perché poi non si può dare… Noi abbiamo il nostro sindaco [Paolo Pazzaglini] che sta facendo miracoli, però più di quello non può fare, e le date che lui ci aveva detto, erano quelle che avevano dato a lui: ma non sono mai state rispettate. Ad oggi stiamo qui, dimenticati, ed è duro. È dura, pensare a domani, è molto dura. Bisogna vivere giorno per giorno. Quello che dico sempre io a Stefania è alzarsi la mattina e impegnarsi a non andare fuori di testa. Questo. Lo scopo nostro adesso è questo: alzarsi tutti i giorni e tenere duro e non andare fuori di testa, perché qui si rischia proprio di andarci. Stefania: Io mi chiamo Stefania Paternesi, ho 53 anni. Con Andrea siamo una coppia, viviamo insieme e no, non è facile infatti stare qua dentro: è una cosa non bruttissima ma, tra poco ci si odierà pure fra di noi. Anzi, io penso che ci odiamo fra di noi anche a causa di tutte le condizioni in cui ci troviamo, non avendo neppure il bagno per conto proprio. […] È una cosa brutta, non… non m’era mai capitata e capisco adesso le persone cui è accaduto quello che hanno potuto provare. Se non lo si passa non ci si crede. Rimanere senza casa è una cosa… dipendere dagli altri… e poi non ti danno retta, perché ci sono le esigenze che hai e che non sono assecondate poiché non le vivono e non le capiscono. Io una cosa così non la auguro a nessuno di viverla. Andrea: Ma quello che bisogna pensare è questo: 7:40 di sera, stai a casa come tutte le sere normali, ti stai cucinando, stavamo cucinando la cena. Dopo 3 minuti eravamo fuori di casa. Stefania: È finita la vita. Andrea: Non avevamo più né una casa, né una cena e non avevamo più niente. Siamo usciti di casa quella sera, alle 7:40 e non siamo più rientrati. Casa nostra purtroppo ha subito dei danni molto gravi ed è da demolire. Non è crollata, quindi ci ha salvato la vita e questo grazie al Signore che ne siamo usciti vivi, come tutti, come tutta la popolazione di Visso, Ussita e Castelsantangelo sul Nera. Ad Amatrice purtroppo piangono quasi 300 morti. Questa è stata una grazia che il Signore ci ha fatto, anche perché il terremoto del 24 agosto, ci ha messo in allerta. Casa nostra non ci avrebbe ammazzato, però è da demolire: è scoppiata completamente. […] Immaginate questa cosa qui, con tre secondi, con quaranta secondi, con cinquanta secondi la tua vita cambia completamente. Avevamo una bellissima casa, bellissima per noi, comoda, con tutte le nostre comodità, avevamo 246 metri quadrati di casa, potevamo ospitare amici, potevamo fare cene, potevamo… cioè stavamo lottando con la vita di tutti i giorni, perché oggi nessuno qui sta a meraviglia, però noi avevamo tutto. Con trenta secondi non abbiamo più niente. Stefania: Ah di certo, con la vita che facciamo qui, in confronto a quella che facevamo prima… Adesso io fortunatamente lavoro, mezza giornata è occupata: quindi mezza giornata siamo fuori da qui, però rientri, ceni, noi ceniamo alle sette e mezzo, e alle otto vieni in camera, ti metti qui, naturalmente sul letto, ti guardi la televisione e dopo due secondi dormi: la vita è questa tutta la settimana. Anche perché fuori dove vai? Non c’è un bar aperto, non c’è niente… Adesso fa pure freddo, per cui… Non è che puoi andare chissà dove: dici esco dieci minuti, vado a prendere un gelato o qualche cosa. No. Assolutamente. Non c’è niente, c’è il coprifuoco. Freddo fa freddo perché ormai l’inverno è arrivato. Andrea: Alle 5 è notte. Stefania: Alle 5 si fa notte. Stai qui dentro. Eh… non ti puoi muovere più di tanto perché purtroppo, non purtroppo vabbè, è una cosa che poveracci pure loro… Qui abbiamo la chiesa, quindi ad una cert’ora c’è la messa, tutte le sere, e quindi, se uno vuole… Andrea: Non ho mai assistito a tante messe in vita mia. Stefania: …se uno vuole scambiare due chiacchiere in gruppo, non lo può fare perché la messa non è posta in un locale chiuso, ma è tutto aperto: non è che uno si può mettere seduto nel salotto davanti alla televisione con la messa lì a fianco, mentre dicono la messa. Di fatto ognuno è nelle proprie camere. In pratica siamo ognuno per conto nostro, neanche si può socializzare più di tanto. Però, come dicevo prima, anche se ci conosciamo tutti, ci odieremo tutti perché non ci potremo più vedere per quanto stiamo vicini e appiccicati tutto il giorno. Andrea: Io mi sono trasferito qui nel ’97 da Roma, perché amavo questo posto, perché mi piaceva proprio: ho vissuto il terremoto del ’97 e non ho mollato, e ho vissuto questo terremoto che in confronto a quello del ’97 non c’ha proprio niente a che vedere. Stefania: Beh, quello non c’ha buttato fuori casa. Andrea: Con quel terremoto non abbiamo subito nessuno stress perché, in pratica, siamo usciti di casa qualche notte per paura, ma siamo rientrati e non abbiamo mai avuto problemi, anzi ha portato lavoro, ha portato qualche vantaggio. Questo è stato distruttivo, tantissimo. Questo è il primo vero terremoto che, secondo me, da tantissimi anni questi posti subiscono: ma non mollerò, neanche per questo. Mi dispiace per chi c’ha le attività, mi dispiace… io dico sempre che noi non ci rendevamo conto, prima di questo terremoto, quanto in questo piccolo paese di novecento persone avevamo tutto a portata di mano e tutto quello che ci serviva: non avevamo bisogno mai di uscire da qui. Adesso ci troviamo che qui non abbiamo più niente, abbiamo solo questo posto per dormire, una mensa per mangiare, un bar che si è adattato a fare pure ristorazione… Però le montagne stanno ancora lì e quindi io non me ne andrò mai, anche se dovessimo rimanere io e lei da soli qui a Visso. Io non me ne andrò. Però è dura. È dura per noi, è dura per tutta l’altra gente. Stefania: È dura pure perché ci demoralizzano, perché ci fanno promesse, ci dicono cose. Anche per esempio queste casette: è passato un anno! Si può dire che abbiano iniziato i lavori a fine estate. Qui da noi l’inverno è rigido. Adesso come pretendono di poter finire queste casette? Come fanno? E se inizia a nevicare? Se inizia a piovere? Come pensano di poter finire le casette? E quindi, a quando va a finire? A primavera prossima noi potremo entrare dentro queste casette? Ti stressano con queste cose… Andrea: Ma comunque sia adesso, o a primavera, o un mese prima o un mese dopo nessuno lo può dire, dipende dal tempo, dipende se nevica presto o se il tempo è clemente. Però, comunque sia, ad occhio, vedere l’attuale situazione dei lavori, minimo altri due mesi e mezzo, tre mesi se tutto fila liscio, ce li vogliono. Considerate che Natale lo facciamo qui, gennaio staremo qui… io penso che i primi di febbraio, se tutto va bene, dovremo avere queste casette. È il nostro primo, è il nostro imminente obbiettivo. Raggiungere quell’obbiettivo lì è la cosa che adesso a noi ci preme di più , anche se poi non è una cosa che poi risolverà… Stefania: …i problemi… Andrea: …i nostri problemi, perché vivere in un villaggio… Dopo due anni che uno vive in un villaggio, attaccati l’uno all’altro, diventerà, non dico come qui, ma purtroppo diventerà sempre una cosa molto sacrificata, per noi e per tutti quelli che ci vivono. Stefania: Vabbè, però c’hai casa tua, per conto tuo… Andrea: Sì, infatti dico quello è il nostro primo obbiettivo. Siamo con la testa puntati a raggiungere lo scopo di entrare in questa casetta, poi… Stefania: …che non arriva mai… Andrea: …forse un giorno ritorneremo pure a casa nostra, forse un giorno. Io non ho la certezza matematica che riavrò… Stefania: …ci parlano di vent’anni… Andrea: …ho 52 anni, quindi non so se rivedrò casa mia finita, se non la rivedrò, se se la godranno i nostri ragazzi: non lo so quello, comunque il nostro adesso, il nostro scopo, il nostro obbiettivo, la nostra ansia è lasciare questo posto ed entrare in queste benedette casette, che tra l’altro sono fatte anche bene. A Gualdo [frazione di Castelsantangelo sul Nera] le hanno già consegnate e, a sentire chi sta dentro, sono casette fatte molto bene, si sta molto caldi, sono molto comode: è già un sollievo sentire questo. Insomma non ci sono problemi. Poi certo, non è casa tua. Non è casa tua. Stefania: Vabbè, comunque è sempre casa tua, perché ci stai tu da solo e non devi render conto a nessuno. Cioè stai per conto tuo. Non è come stiamo adesso che la mattina c’è… qui vivi in una comunità, quindi ci sono anche delle regole da rispettare, cosa che magari non tutti fanno, perché purtroppo la maggior parte delle persone che stanno qua dentro sono anziane, la mattina si alzano alle 6, parlano, sbattono le porte. Non pensano che magari tu, che ne so, stai dormendo perché la sera prima sei uscito dal lavoro tardi e ti vuoi riposare un po’ di più, oppure il pomeriggio ti vai a riposare perché te sei alzato alle 5. Andrea: Ma vabbè, la cosa è spiegabile in questo modo… Stefania: È stressante anche questo. Andrea: …è già difficile una convivenza con un’altra persona, immaginate voi convivere con altre 23-24 persone… Cioè… Stefania: Non è facile. L’odissea è stata quella. Io ho due figli: uno di trent’anni, uno di 27 anni. Uno è collocato a Colfiorito ed era rimasto qui a Visso fino a febbraio… Andrea: …fino alla terribile nevicata che ha fatto… Stefania: …che ha fatto, sì. Poi dopo se n’è andato… Andrea: …e viveva dentro una roulotte… […] Stefania: …al campo Bronx. Andrea: …dopo ha deciso di prendere l’autonoma sistemazione [CAS] e trasferirsi a Colfiorito. Stefania: L’altro invece sta a Macerata, perché lavora lì. C’è stato sempre, anche quando ha fatto il terremoto… Andrea: Già prima del terremoto viveva a Macerata. Beh ringraziando Dio c’abbiamo i ragazzi che sono sistemati molto meglio di noi, e questo, per noi, è un sollievo: almeno sapere che loro stanno… Stefania: …bene. Andrea: …bene. È un sollievo. È un sollievo. Per noi è dura. Per noi è dura, dobbiamo essere forti. Saremo forti perché ce la faremo, perché siamo anche montanari e noi montanari… Io, io sono… Stefania: Io sinceramente, non lo so… se ce la farò. Andrea: Noi montanari siamo forti. Perché io sono un montanaro nato per sbaglio al mare, quindi mi ritengo montanaro in tutto e per tutto. E quindi ce la faremo. Ce la faremo. Ce la dobbiamo fare. Stefania: Per forza. Andrea: Ce la dobbiamo fare. Dobbiamo essere… Stefania: Almeno per vedere queste casette, provare a vedere come si sta dentro. Mica dico tanto. Andrea: Ripeto che dobbiamo essere forti a non… a non farci sorprendere dalla depressione, o dall’esaurimento perché, vi garantisco, che è dura non cadere in depressione in questo anno. In tutte le fasi di questo anno, chi non ha subito conseguenze in questo è bravo. È bravo. Stefania: Fortunatamente ringraziamo Dio perché abbiamo un lavoro, perché è molto importante. Io faccio una settimana la mattina, una settimana il pomeriggio, quindi mezza giornata la passo al lavoro… La SVILA che non c’ha abbandonato e ha fatto subito i lavori, e così siamo potuti ritornare a lavorare subito… Andrea: E agli amici. E gli amici. Stefania: E gli amici che abbiamo perché ci sosteniamo a vicenda. Andrea: È molto importante. Gli amici sono molto importanti in questi momenti e noi li abbiamo e abbiamo potuto contare su di loro… gente che sta nelle stesse situazioni nostre, anche peggio. Noi bene o male viviamo in questa scatola, come la chiamo io, insomma è sempre… Stefania: … meglio di una roulotte. Andrea: … meglio di una roulotte e di un camper. Abbiamo amici che vivono in un camper e io li ammiro fortemente perché ancora riescono a starci. Però l’amicizia pure in queste tragedie è molto importante e noi… e noi abbiamo molti amici e possiamo contare su di loro e i nostri amici possono contare su di noi. È importante questo. Io ripeto: bisogna essere bravi e quando tornerà tutto alla normalità… Non devi subire lo stress che hai accumulato in questo anno, devi riderci sopra, scherzarci sopra, far finta che va tutto bene, farci forza l’uno con l’altro. È questo… Stefania: Cioè adesso uno vive e neanche se ne rende conto ancora… Cominciamo adesso a renderci conto della situazione, perché lì per lì, quando c’è stato tutto quel trambusto, cioè siamo stati spostati di qua, di là… Poi, sai, lì per lì uno non se rende mai conto delle situazioni, no? È dopo che, col passar del tempo che magari ti esce fuori tutto. Speriamo che ci passa via così. Insomma è stato un anno, come posso dire… di passaggio, così, una cosa diversa. La prendiamo così, ecco. Andrea: Un anno che cancelleremo dalla nostra mente. Stefania: Beh, no, dai. Cancellare no, perché tutto serve nella vita. Questa pure è una esperienza che può servire a farci riflettere su tante altre cose. Quello no. Perché ogni cosa serve. Però speriamo che non ci ricapiterà più, per lo meno finché saremo in vita. E auguro anche agli altri, ai miei figli, che non gli accadrà mai perché è tanto brutto. Io è una cosa che non auguro a nessuno. Andrea: Io spero solo che la ricostruzione sarà fatta in modo che in futuro le persone non dovranno più passare questa situazione, perché è vero che il terremoto grazie a Dio non ti ha ucciso, ti ha salvato la pelle, però credetemi che poi il disagio che ti crea dopo, nei mesi successivi e qui stiamo parlando di più di un anno ormai, è una cosa che… è una cosa dura da affrontare perché ti senti che non sei più niente, impotente. Devi adattarti a quello che hai e scordarti tutto quello che avevi prima e andare avanti così. Il disagio che crea. La ricostruzione deve essere fatta intelligentemente. Se dovesse succedere un’altra situazione del genere, qui è inutile negarlo ci troviamo in una zona ad alto rischio sismico, la terra trema e tremerà sempre e c’è quando esagera e quando è clemente, quindi la ricostruzione deve essere fatta in modo che la gente raccoglie due quadri, raccoglie due vetri per terra e rimane dentro casa. Questo è l’intelligenza, per me, del futuro di questi posti, perché sennò, non c’è futuro. Non c’è futuro. Perché fra tre, quattro, cinque, sei venti o trent’anni può risuccedere una cosa del genere e la gente si ritrova da capo a dieci… e quindi bisogna esser intelligenti. Ci sono oggi delle soluzioni antisismiche molto più moderne e bisogna usarle… bisogna usarle, in modo che la gente possa rimanere dentro casa propria, e non c’è più bisogno di starsene fuori. Questo. Anche perché se mi ricostruiscono una casa di pietra… io non ci rientro! Che poi non bisogna dimenticare un’altra cosa: il trauma che uno ha subito. La paura. E non è facile. Parecchie persone hanno la fobia di rientrare dentro una casa in muratura e questo pure è un fatto da non sottovalutare. Stefania: Pure noi non lo sappiamo perché… Andrea: Noi non lo sappiamo. Fino ad oggi, in un anno non ci siamo più rientrati dentro… Stefania: …quattro mura… Andrea: …una struttura in cemento armato o in muratura o in pietra che sia. Però sicuramente non dormirei tranquillo. Non dormirei tranquillo, se non so di stare dentro una struttura fatta con il vero criterio antisismico: non ci starei. Preferisco star dentro un container… capisci? Intervista video Anna Rosa Alesi [59], Visso (MC), 7 novembre 2017
Vivevo a Villa Sant’Antonio, o meglio a Piè di Villa. Sono lì dal gennaio 2016 perché avevo desiderio di tornarci a vivere. Vengo da Roma, e quindi ad agosto il terremoto mi ha impressionato ma non mi ha comunque fatto desistere da questa intenzione e da questo scelta, per cui ho continuato a stare lì, felice di starci. Invece ad ottobre, durante la prima scossa, quella delle diciannove e poco più, ero a casa, tranquilla, stavo cuocendo le castagne, avevo acceso il fuoco e dopo la prima scossa, ho comunque deciso di non lasciare la casa, son voluta restare, pensavo fosse una cosa passeggera, una cosa così… un po’ come quella di agosto. E invece poi alle 21 mi sono resa conto che forse la cosa era molto seria, molto grave e quindi malgrado tutto ho cercato di uscire da casa: non è stato semplice. Fuori pioveva, era notte, una sensazione di assoluto e disorientamento completo. Poi però uscita fuori ho visto che c’era tanta gente come me che cercava riparo dalla pioggia, che cercava di capire quello che stesse succedendo, e che insieme a me si è poi radunata in un piazzale a Visso dove, più o meno, abbiamo cercato di passare la notte tra le scosse, la pioggia e la paura. Dopo questa nottata, per qualche giorno, ho avuto la fortuna con dei compaesani di essere ricoverata in una struttura antisismica del comune di Visso, dove siamo stati per circa quattro giorni in comunità. È stata una bella esperienza perché ci siamo aiutati, ci siamo confortati e perché pensavamo di aver trovato una soluzione di vita, mentre invece poi siamo stati radunati, dopo la scossa del 30, e portati via: il sindaco ci consigliò di andarcene e noi, pensando di fare la cosa giusta, ci siamo spostati tutti da Visso. Nel mio caso sono stata trasferita in una struttura sulla costa, dove ho vissuto per 7 mesi, non senza difficoltà perché essendo io una persona sola, sono abituata a vivere da sola. All’inizio i miei amici son stati cari e m’hanno voluto veramente bene perché hanno condiviso con me la loro abitazione, ci avevano dato un bungalow piuttosto piccolo, ma poi dopo qualche giorno ce lo hanno cambiato e siamo andati in un bungalow più grande: abbiamo vissuto insieme qualche giorno perché subito ci siamo resi conto che la convivenza è una cosa piuttosto difficile. Difficile ma proprio perché non eravamo noi, eravamo un po’ qualcosa d’altro. Ci siamo separati, loro hanno fatto la scelta di trasferirsi in un’altra struttura e io sono rimasta lì da sola e ho avuto anche la fortuna di rimanere in uno spazio piuttosto ampio, per cui devo dire che non ho vissuto male se non per la distanza dai miei luoghi, se non per la preoccupazione di aver perso la mia casa, perché non l’ho detto ma la mia casa è crollata, e quindi i tanti pensieri nella mente. M’ha aiutato questa iniziativa che avevo preso appena trasferita a Visso, cioè di frequentare un corso professionale per poter diventare un tecnico di trasformazione delle materie prime alimentari e di porre l’accento su quelle che erano e che sono le migliori, le eccellenze del nostro territorio, le Marche, perché il mio territorio sono le Marche, non il Lazio. Quindi questo corso ha fatto sì che occupassi un po’ la mia mente, il mio tempo e soprattutto che potessi trascorrere del tempo a Visso, cioè il mio desiderio era quello di stare più possibile a Visso perché questo mio allontanamento ha pesato a me, come a tutti, tantissimo. Per chi ama i nostri luoghi, per chi sente che quello è il proprio luogo, per chi si sente bene soltanto respirando quell’aria e guardando quei panorami, è molto importante riuscire a tornare anche per poche ore. E di fatto, io ho iniziato uno stage in una attività commerciale, per altro l’unica che era rimasta in piedi in quel momento a Visso. Ho iniziato questo stage che mi portava a Visso quattro volte a settimana per 8-10 ore al giorno. È stata una cosa molto importante perché ci siamo trovati tutti nella stessa condizione, tutti cercavamo di farci coraggio, di non piangere, chi più chi meno tutti avevamo delle crisi di pianto, considerando che il terremoto ancora si faceva sentire, e spesso. Abbiamo passato un inverno terribile, con la neve, con tanti disagi, ma pieno di calore, pieno di fratellanza, pieno di consapevolezza di avere le stesse preoccupazioni. E questo un po’ mi commuove perché mi dispiace che, superata questa prima fase di disorientamento, le persone sono tornate ad essere cattive, ad essere invidiose, ad essere gelose, a pensare solo a se stesse e a dividersi. Questa cosa di essere stati spostati dalla costa e frammentati, polverizzati in mille località di tutta la regione, ha fatto si che abbiamo perso anche il senso di unità, il senso di socialità, di comunità. Siamo lontani, non abbiamo possibilità di vederci, di confrontarci, di sentirci, se non tornando qualche volta a Visso, che peraltro è lo spettro di Visso, perché Visso è completamente cambiata e tutti stiamo prendendo coscienza del fatto che forse domani sarà una cosa diversa. Però vedo che l’unica cosa che ci accomuna è questo forte desiderio di tornare, questa necessità di tornare e malgrado le notizie di questi ultimi giorni, e cioè che queste famose SAE, queste casette non ci verranno consegnate neanche per Natale. Abbiamo sempre il desiderio di insistere, forse abbiamo perso la speranza, ma non il desiderio e la voglia di tornare nei nostri luoghi, nel nostro territorio e questa è una cosa che ancora, per lo meno, credo ci accomuni. Adesso vivo qui a Colfiorito, da giugno, quindi sono già 5 mesi e probabilmente dovrò passarcene altri cinque o sei o sette, non lo so. Vivo in questa stanza. Per fortuna sono in campagna, a me la campagna piace per cui in questo senso sono stata fortunata: ci sono tanti animali, li adoro e questa segregazione così, un po’ forzata, perché vivere in un ambiente così piccolo non è semplice, e non è facile lasciarsi risalire, risorgere e spesso ci si lascia andare un po’ alla tristezza, si pensa un po’ alla propria casa, alle proprie cose. Io per esempio quando piove, penso sempre a quello che è rimasto lì sotto, ai miei ricordi. Ho capito l’importanza e la non importanza degli oggetti, per fortuna, e quindi ho imparato che gli oggetti sono cose che vanno e vengono, a cui non possiamo affidare completamente i nostri ricordi, ed è vero poi che i ricordi restano nel cuore, nella mente. Però c’è sempre un po’ di nostalgia e quindi alcune volte, quando piove, penso a tutto quello che sta lì sotto, che andrà distrutto, che è andato distrutto. Ma da un po’ di tempo non posso non pensare che questa forse è un’opportunità per iniziare una vita nuova, per lasciare andare anche tutti quegli aspetti che della mia vita che forse non erano proprio così soddisfacenti, o che comunque avrei voluto cambiare… e questo taglio netto dalla vita precedente a questa vita, che poi non è ancora quella definitiva, non è ancora quella proprio che desidero, credo che abbia fatto sì d’aver lasciato lungo questo percorso tutta una serie di cose che non avevano una grandissima importanza e che alle quali spesso diamo importanza eccessiva, relativa. Quindi malgrado tutto, malgrado i problemi spero davvero che possa riiniziare per me, per tutti, se riescono a cogliere questa opportunità, un modo di vivere nuovo, diverso, più leggero, più sopra le cose e soprattutto di riacquistare un po’ di fiducia nell’essere umano e nel prossimo, perché allo stato attuale devo dire che veramente è l’animale peggiore che esista… Hahaha… E qui mi sento proprio di dover fare un percorso lungo perché, insomma, non ho grande fiducia nel prossimo, ma neanche in me stessa, probabilmente perché è chiaro che anch’io avrò una parte di me, delle angolazioni di me, che non sono completamente giuste. Però ripeto, l’importante è che ognuno di noi si fermi a riflettere qualche secondo per capire se poi da tutto questo possiamo migliorarci, non migliorare soltanto le nostre case ma migliorare proprio anche la nostra umanità, i nostri sentimenti, il nostro essere uomini e dover lottare tutti allo stesso modo per andare avanti. Ecco, questo è. Video intervista Giovan Battista Aleotti (Battista) [21], Ussita (MC), 31 ottobre 2017
Vivo da sempre qui ad Ussita, tranne quando ci hanno evacuato a seguito delle scosse del 30 ottobre e con un mio amico [Stefano Riccioni] abbiamo fatto avanti e dietro [dalla costa] per un mese consecutivo, sono rimasto qui accanto ai miei animali. Dal 24 agosto ad ottobre è stata una cosa molto leggera, il terremoto di Amatrice si era sentito, ma era stata una scossa che non aveva provocato gravi danni, c’era qualche edificio inagibile ma niente di particolare. Tutto il dramma è iniziato la sera del 26 ottobre, quando alle 7:10 circa c’è stata la prima scossa che è stata molto forte con epicentro qui vicino, a Castelsantangelo sul Nera. Io con mio padre stavamo andando da nonna per controllare come stava, perché viveva da sola, ed infatti abbiamo preso la prima scossa dentro casa sua [lo scorso luglio è deceduta]: è andata via la luce, ho pensato «adesso finisce!» ed invece continuava a tremare ed allora ho preso nonna, che essendo anziana non poteva fare uno scatto come un ragazzo giovane, l’ho portata fuori casa. Siamo usciti tutti quanti. Mia madre stava salendo da Visso in auto dopo il lavoro, ed ha chiesto cosa è fosse accaduto perché non se ne rendeva conto. Io le ho risposto: «Guarda c’è stata una scossa fortissima. Andiamo fuori, non rientriamo in casa, è stata molto più forte di quella del 24 agosto.» Molto di più. In un modo totalmente diverso. Da lì siamo andati giù a casa nella frazione Sasso, per cenare, però ovviamente sempre con un piede fuori ed uno dentro perché avevamo preso paura. Ci aveva avvertiti bene ed infatti, abbiamo cenato e da lì a poco è arrivata la scossa delle 21:20, la scossa veramente distruttiva. La peggiore di tutti. Epicentro sempre tra Ussita e Castelsantangelo sul Nera ed è stata fortissima. Io con la mia famiglia stavamo sul pianerottolo di casa, dove stanno le scale, e quando abbiamo sentito la scossa siamo usciti tutti fuori in uno spazio più ampio e siamo rimasti lì fino alla fine. Abbiamo dormito in auto per un paio di notti, poi ci siamo arrangiati qui nella roulotte fino alla mattina del 30 ottobre, che è stata il culmine del terremoto, e dopo il quale hanno evacuato tutto il paese perché non era più possibile restare. È stata fortissima anche se l’epicentro era più lontano, spostato verso Norcia, Preci ma era di magnitudo superiore ed ha ampliato i danni che c’erano già dal 26 [ottobre]. Gli edifici agibili erano pochissimi, come tutt’ora: un ottanta percento delle case sono inagibili. Stiamo aspettando le casette [SAE] in questa nuova area e nel frattempo continuo a vivere nella roulotte. Quest’inverno l’ho passato in un camper dove comunque sia si stava bene, con la stufetta si riusciva a mantenere una temperatura ideale. L’inverno però è stato duro, è stato lungo, è stato uno dei peggiori che ho passato, sicuramente il peggiore perché quando rientri dentro una roulotte non è come quando rientri a casa vicino al camino: se sei bagnato metti ad asciugare la giacca… nella roulotte non metti ad asciugare niente, con una stufetta asciughi poco. Quando facevamo avanti e dietro dopo il terremoto, dalla sera del 30 ottobre abbiamo fatto la spola da Porto Recanati, una distanza di 130 chilometri andata e 130 chilometri ritorno, oltre la spesa del gasolio c’è il sacrificio, perché parti da qui stanco morto dopo aver lavorato tutto il giorno. Poi a volte non stai bene perché hai il raffreddore o altro, ma la strada c’era da farla ugualmente. L’abbiamo fatto, non è stato semplice, però fin qui ci siamo arrivati. Adesso aspettiamo le casette. Dicono che per la fine di novembre dovrebbero essere pronte, anche se ci avevano promesso che sarebbero state pronte il 30 di aprile, cosa che assolutamente non poteva esser vera perché tanto… i politici parlano, ma i fatti parlano più dei politici: se i lavori non iniziano, poi non si possono fare in cinque minuti. Per urbanizzare una zona serve del tempo, serve il personale, servono molti mezzi e che le condizioni climatiche siano adatte perché se inizia a piovere o nevicare… sappiamo che andrà per le lunghe. Adesso ho di nuovo la mia famiglia a Porto Recanati: inizialmente era alloggiata in un campeggio a Porto Recanati, poi è stata sposta a Sirolo e poi a Loreto. Troppe tappe sono state fatte. La mia casa è inagibile come tantissime altre. Ho passato l’inverno qui ad Ussita perché ho un centinaio di pecore che con il passare del tempo sicuramente aumenterò, per fare un’azienda più grande, migliore. Fortunatamente ho una stalla che ha retto molto bene al terremoto, ma ciò non cambia che l’inverno sia stato molto difficile perché abbiamo anche seri problemi d’acqua su a Macereto. Sono due anni che non abbiamo più acqua. Dopo il terremoto del 24 agosto era iniziata a calare fino a non uscire più affatto dalla sorgente, poi verso febbraio dello scorso anno è tornata l’acqua, sembrava che la sorgente fosse riemersa, e invece quando siamo tornati su ad aprile-maggio l’acqua non c’era più. Tutta questa estate, il comune ha trasportato l’acqua con l’autobotte per far bere gli animali. Speriamo che anche questo problema venga risolto col passare del tempo perché ci vuole tempo, ci vuole pazienza. Lo scorso inverno ci siamo organizzati, noi pochi rimasti qui in zona, con altri gli allevatori, i carabinieri, per mangiare in una casetta di legno presso il Parco Ruggeri, dove adesso è sorta la nuova area commerciale. Fino a tutto dicembre invece, avevamo mangiato nella tenda della Protezione Civile… ma qui l’inverno è molto rigido: anche se il clima è mite, la notte fa delle consistenti gelate. Infine abbiamo iniziato ad utilizzare quella casetta di legno, che ci ha ospitato per tutta la durata dell’inverno finché non ha riaperto il locale della zona, La Mezza Luna. Abbiamo ricevuto parecchi aiuti, tanti da persone molto generose che ci hanno donato fieno, mangimi e tantissime altre cose. Video intervista Elisabetta Ottaviani (Bettina) [17], Marco Ottaviani (Faro) [19], Visso (MC), 29 ottobre 2017
Elisabetta: Il 24 agosto, con quella grande scossa sismica abbiamo avuto un po’ paura perché ci ha preso nella notte. Io non me ne ero neppure accorta, sentivo soltanto mamma che urlava: non ho fatto in tempo a vestirmi, ho preso di corsa dei panni e sono scesa. Uscita di casa, tutti i vicini erano già fuori. Quella notte è stata un incubo. Successivamente siamo rientrati per prendere delle cose da mettere in auto, dove siamo rimasti fino al giorno dopo. Quando siamo tornati a vedere com’era la situazione a casa: al piano di sotto non era successo quasi nulla, ma di sopra erano visibili delle crepe ed infatti hanno dichiarato la casa inagibile. Avendo sempre paura, papà e mamma hanno comprato una roulotte, ma io, mio fratello e alcuni ragazzi alloggiavamo qui al campo sportivo dove per il primo mese il comune di Visso aveva piazzato delle tende. Quando è cominciato la scuola siamo tornati nella roulotte. Io il 26 ottobre pensavo di morire. Il terremoto mi ha trovata in piazza e la porta del ristorante, che era vicino al municipio, non si apriva perché s’era bloccata. Fuori pioveva, era bagnato. È andata via la luce. Quando siamo riusciti ad uscire siamo andati un po’ qui e un po’ là: eravamo sei ragazzi e nessuno ci ha capito niente. Alla fine mi sono trovata con un ragazzo [Andrea Lupidi], abbiamo passato l’arco della piazza e siamo andati davanti la pompa della benzina che era crollata. Un ragazzo mi ha portata a casa in auto perché le vie erano bloccate e a piedi non facevano passare. È stato brutto: chiamavo mamma e non rispondeva. Chiamavo papà e non rispondeva. Mio fratello non rispondeva perché le linee erano occupate. Non sapevo cosa fare. Alla fine m’han portata su: c’era mamma che piangeva ed erano tutti preoccupati perché è stata troppo forte. Avendo la roulotte, non eravamo partiti verso la costa con bambini, anziani ed altre persone. Ci eravamo detti: aspettiamo e vediamo cosa succede. Il 30 ottobre invece, quando ha fatto la scossa della mattina, noi eravamo in roulotte vicino casa, uno dei posti dove ora stanno facendo le casette, e sentivamo fin là le urla della gente che stava qui al campo sportivo. Papà è sceso, siamo venuti qui al campo insieme alle altre persone e poi è arrivato un elicottero dei pompieri e ci han detto: «dovete andare via.» Questa è stata la botta finale. «Nessuno può restare qui, se non partire arriva la polizia e vi porta via.» Mamma ha preso delle cose in roulotte, abbiamo fatto le valigie e siamo partiti per il mare. Arrivati giù eravamo come pesci fuor d’acqua perché vivendo in montagna e d’inverno il mare fa un altro effetto. Siamo rimasti 15 giorni perché poi mamma riprendeva a lavorare qua, ed anche papà lavorava qua, mio fratello doveva finire la scuola e il pomeriggio andava dagli animali. Avevamo tutto qua e non potevamo fare avanti e indietro dal mare. Arrivati qui al campo a Visso non conoscevo nessuno, o meglio conoscevo alcune famiglie. Da una parte il terremoto ci ha rovinato, dall’altra è come se avesse ricostruito una nuova società. Io con gli altri che vivono qui mi trovo più che bene, voglio bene a tutti allo stesso modo e glielo dico. Quando arriveranno le casette mi dispiacerà tanto perché comunque sia loro erano come una famiglia per me. Marco: Quando siamo andati al mare, era come una nuova situazione e pensavo: vediamo come la possiamo affrontare. Però una volta arrivato, la situazione era un po’ monotona perché non sapevo cosa fare. Ero da solo perché conoscevo poca gente. Noi l’abbiamo fatto, di scendere al mare, perché qui c’era un terremoto ogni due secondi, anche piccoli ma comunque la testa ne risentiva. Inoltre mio padre non poteva lavorare perché la ditta s’era fermata, anche la SVILA dove lavora mia madre aveva interrotto l’attività perché c’erano stati dei danni, la scuola era chiusa, quindi ci abbiamo provato. Io e mio padre tornavamo quassù a Visso soltanto per il bestiame: cosa stavamo a fare qui, non c’era nulla. L’abbiamo fatto per riposarci. La prima settimana è passata abbastanza velocemente, ma poi la situazione cominciava a diventare pesante, la scuola ricominciava, mamma e papà riprendevano a lavorare e quindi anche a noi rimaneva più comodo partire da qui per andare a scuola invece che partire da giù al mare. Siamo quindi tornati qui a Visso, abbiamo anche il bestiame che va accudito. Siamo stati per un primo momento nella zona vicino la Croce Rossa con tutte le altre roulotte, il datore di lavoro di mio padre ci passava la corrente. In seguito siamo venuti a conoscenza che potevamo spostarci qui al campo sportivo, ed è stata una cosa favorevole perché la corrente c’era, per le docce basta comprare il gasolio per la caldaia… Cerchiamo di avere una vita normale, abbiamo anche adibito una stanza a cucina, e ci siamo arrangiati: chi aveva tavoli, chi aveva sedie, ognuno ci mette del suo… È un po’ insolito perché siamo una trentina di persone, ed in un contesto familiare non si è in così tanti. Ci siamo dovuti adattare, ognuno ci mette del suo. Fai nuove amicizie. È una situazione un po’ strana ma è favorevole per tutti. Non avendo una stalla di mia proprietà, tenevo gli animali da un mio amico, il quale aveva una stalla abbastanza grande, e avendo pochi capi c’era spazio per potermi far appoggiare durante il periodo invernale. Io portavo gli animali da lui in una frazione [Aschio] a 5-6 chilometri da Visso, e la sera li andavo a pulire e gli davo da mangiare. Mi aiutava dandomi un posto dove tenerli d’inverno. Non avevo mai stipulato un contratto d’affitto, perché essendo amici non ce n’era bisogno. Dividevo con lui le spese per la corrente, per l’acqua e per alcuni anni è andata avanti così. In seguito al terremoto invece, con la prima scossa la stalla si era danneggiata, con la seconda era ormai demolita all’80 percento e con quella della domenica sono rimaste in piedi quattro colonne. Ho fatto domanda alla Regione per dei moduli per il bestiame, perché qui d’inverno le temperature scendono parecchio e generalmente nevica molto, ma mi è stato risposto che non mi spettavano perché non avevo un contratto d’affitto che testimoniasse che tenevo gli animali nelle stalle del mio amico. Mi sono dunque dovuto arrangiare da solo creando dei moduli provvisori con delle stanghe di ferro, bandoni e teli che mantengono il calore all’interno. Non so per quanto tempo sarà possibile continuare in questo modo, e se anche volessi aumentare il numero di capi non potrei, perché non avendo una stalla non posso andare avanti con dei moduletti provvisori. Se volessi ingrandire l’azienda non potrei. Ho chiesto anche al comune, che ha una stalla di proprietà che è qui vicino, se era possibile acquistarla e mi han risposto che la cedono con particolari condizioni. La stalla ha dei problemi, ci sarebbe da spendere dei soldi: anche se i muri hanno qualche filatura la struttura è solida, ma i tramezzi sono un po’ lesionati, il tetto è di amianto. Io ho proposto al comune: i lavori li farei a mie spese e loro me la venderebbero con un prezzo di favore e invece vogliono che io aggiusti la stalla che poi loro mi vendono per buona. Un attimo ci penso! È come se quei soldi li buttassi via, perché in fin dei conti se una stalla la compri a prezzo pieno, la compri buona e non una su cui c’è da rimetterci le mani. Scartata dunque questa ipotesi, se volessi metter su una bella azienda, cosa che mi piacerebbe fare, dovrei spostare la residenza in Umbria a Preci, paese d’origine di mio padre, perché lì, a mio avviso, valorizzano di più l’agricoltura e l’allevamento. Sarei dunque obbligato a spostarmi là, dove avrei già trovato la terra in affitto e i capannoni dove sistemare il bestiame. Questa è la decisione che dovrò prendere a breve, e ad oggi sono propenso a spostarmi nella zona umbra. Elisabetta: Noi stiamo aspettando le casette, è passato un anno pochi giorni fa e ci siamo stufati di vivere così. L’ho detto prima, quando andrò via di qui, le persone che adesso stanno con me mi mancheranno da morire. Li vedrò tutti i giorni ma non sarà come prima. Magari mi alzo e mi dicono buon giorno, andiamo a pranzo tutti insieme e 27 persone sono tante… Stare insieme a ventisette persone è bellissimo, però non è la quotidianità. Io lo dico: mi sono stufata di vivere così. Mi mancheranno, però si devono sbrigare a costruire le casette. La data di ultimazione dei lavori qui al campo sportivo è scaduta due giorni fa e devono ancora consegnare le prime venti. Dove invece sarà la nostra casetta, l’altro giorno lavorava solo un operaio. Sono pochi! Noi ci siamo stufati! Le altre aree, stanno tutte com’erano inizialmente: forse quelle più verso Villa [Sant’Antonio] sono ad un stadio più avanzato, ma vicino all’ex Parco Hotel, di Fronte alla Vissana [Salumi] non c’è ancora nessuna casetta montata. Gli operai sono pochi, si devono svegliare! Devono iniziare a mettere più operai, e si devono dare una mossa perché noi vogliamo una casa! Video intervista Riccardo Paternesi [27], Castelsantangelo sul Nera (MC), 22 ottobre 2017
Quando nel 1997 ci fu il terremoto di Umbria e Marche, io avevo 7 anni ed è nella stessa casa, nella stessa camera da cui mia nonna mi prese impaurito e mi portò fuori, che la sera del 24 agosto dell’anno scorso, mentre dormivo con la mia ragazza, al primo accenno sono saltato su e ho detto «Il terremoto!» come se qualcosa dentro di me si aspettasse che sarebbe tornato, e questa volta ho portato io fuori di casa mia nonna. Voglio che racconti questo, il resto è uguale per tutti. La casa è stata da subito inagibile, ma all’inizio mia madre e mia nonna hanno comunque dormito lì perché non volevano andare nella tendopoli approntata davanti allo stabilimento della Nerea, mentre io e mio padre ci siamo trasferiti di fuori in una tenda perché avevo paura. Comunque, dopo qualche giorno, ci siamo spostati tutti nella tendopoli. Il 10 ottobre abbiamo finalmente trovato una casetta in affitto qui a Castelsantangelo, ma con le scosse del 26 ottobre è diventata inagibile anche quella. Io lavoro qui alla Nerea, amo questo territorio, mi piace questa terra. L’unica soluzione è rimanere a vivere qui. Per questo motivo vivo in una roulotte che ho modificato in base alle mie esigenze: ho messo l’isolante, questo scaffale, dove sei ora tu c’era un altro letto, ho modificato gli spazi perché prima era più stretto, e ho messo il matrimoniale per stare più comodo con la mia ragazza. Mi sono dovuto organizzare per passarci il prossimo inverno, il secondo, perché qui le casette non sono pronte. Laura Sisini, Fabio Ottaviani (Sputafoco), Visso (MC), 22 ottobre 2017
Dal 24 agosto stiamo disagiati per il terremoto: la casa è già stata lesionata, poi il 26 ottobre è arrivata la scossa fortissima che l’ha rovinata del tutto. Stiamo fuori, viviamo in roulotte qui al campo sportivo a Vallopa insieme ad altre 25 persone, siamo circa in trenta. Abbiamo deciso di rimanere a Visso e non siamo voluti restare al mare per il lavoro e anche perché abbiamo una piccola azienda [con 17 animali]. La notte del 24 agosto alle 3.40 s’è sentita una forte scossa e siamo usciti, Visso era nel panico, la gente che scappava. Quel giorno c’erano 6 mila abitanti e la mattina stessa sono spariti tutti, se ne sono andati tutti. Noi siamo scesi per vedere la situazione ed era un disastro, tutti che scappavano. Il 26 ottobre, l’apocalisse. Il 30 ottobre sono venuti qui al campo sportivo e ci hanno mandato via, lungo la costa. Giù sono rimasta circa quindici giorni ma poi sono tornata qui a Visso, un po’ per il lavoro, un po’ perché non era il posto dove volevo stare. Già il 24 agosto noi abbiamo deciso di comprare la roulotte, un po’ per paura e un po’ perché casa era lesionata. Ci è stato dato anche un camper, poiché per noi essendo quattro persone, era impossibile vivere solo con la roulotte. Siamo divisi, i figli nel camper, noi nella roulotte. Ci è stata data l’opportunità di rimanere qui al campo sportivo e di usufruire dello stabile, dove abbiamo le docce, i bagni e uno stanzone in cui abbiamo adibito una cucina e stiamo tutti insieme. Video intervista Stefano Riccioni (Buttero) [38], Michela Paris [31], Diego [5], Emma [4], Ussita (MC), 22 ottobre 2017
Michela: È iniziato tutto con la scossa del 24 agosto: piena notte, la luce era saltata, eravamo in pieno panico dentro casa perché non ce l’aspettavamo. Quella stessa sera ci siamo trasferiti nel campeggio il Quercione, dove ci siamo trattenuti fino alle scosse di ottobre. Saremmo rientrati a casa il lunedì, ma poi la domenica [30 ottobre] è successo il caos. Non siamo più rientrati. Speravamo di essercela cavata col terremoto del 24 agosto e invece, con le altre due scosse ci ha messo in ginocchio perché siamo stati mandati a Porto Recanati. Io con i bambini stavo giù, Stefano è rimasto qui ad Ussita. La situazione è andata avanti per quasi un anno, siamo tornati quassù a giugno. In questi mesi in cui ho dovuto fare avanti e dietro, i bambini stavano giù, lui scendeva una volta ogni tre giorni. La famiglia era praticamente divisa: è stato questo che ci ha devastato ancora di più. In questi mesi passati a Porto Recanti le persone sono state veramente solidali perché ci hanno veramente aiutati, ci hanno dato una mano. Però un conto è Porto Recanati, un conto è casa. Più di altro, è lo stare insieme che ci è mancato tantissimo. A giugno, finito l’asilo a Loreto, abbiamo deciso di fermarci temporaneamente in camper, e sono tornata in attesa ad Ussita con i bambini, perché non abbiamo ancora niente, della casetta e delle stalle. Ci siamo organizzati con gli altri ragazzi che sono rimasti, Stefano ha passato quassù tutto l’inverno e siamo ancora un po’ accampati. Stanno facendo le gettate questi giorni, sia di casa che delle stalle: speriamo che duri il sole e il tempo buono per poter finire tranquillamente tutti i lavori. Stefano: C’è stata la decisione di mandare via tutti. Lei è andata al mare, io mi sono dovuto fermare perché abbiamo il bestiame. Abbiamo passato un’invernata lunghissima. Prima di tutto per la lontananza dalla famiglia, dai bambini, da Michela e poi da tutta la popolazione che è stata tutta completamente disgregata. Tra qualche amico e qualche conoscente che è rimasto perché doveva, si è creato questo piccolo gruppo di persone ed abbiamo passato l’inverno tutti insieme, cercando di darci una mano per quello che era possibile. In primavera le cose sono iniziate ad andare un po’ meglio. Michela e i bambini sono tornati sul camper. Abbiamo passato un’estate abbastanza calda sul camper… Poi cercando siamo riusciti a trovare questa casetta, che per quanto piccola e scomoda, è però sicuramente meglio di un camper. Il terremoto è stata un’esperienza bruttissima. Ha devastato case, famiglie, tessuto sociale. Non penso che si riprenderà una situazione come quella precedente al sisma, forse sono pessimista, ma ci vorranno anni ed anni per ripristinare qualcosa di buono. A parte i danni, quelli strutturali delle cose, c’è tutto un discorso di turismo, di gente che se n’è andata e non tornerà, di famiglie giovani che hanno deciso di cambiare totalmente vita e quindi sicuramente niente sarà più come prima. Il terremoto deve ancora venire. L’importante è la pelle... tutto si ricostruisce, tutto si rifà. Oddio forse proprio tutto no, perché il bene materiale si ripristina, ma c’è gente che ha perso veramente tutto. Ha perso la famiglia anche solo perché la gente s’è [separata]… reazioni diverse da diversi caratteri, hanno provocato cose che uno non si sarebbe mai aspettato. Stefano e Michela: Ha tirato fuori il peggio ed il meglio delle persone. Michela: Da persone cui forse ti aspettavi una mano, non te l’hanno data e neanche ti hanno chiesto se ti serviva, e persone invece che non te lo saresti mai aspettato, che stavano lì già senza che neppure glielo avessi chiesto ed avevano già teso la mano. Nei momenti difficili viene fuori quello che sei, quello che vuoi: viene fuori la chiarezza. Tante persone si sono rivelate quello che erano alla fine. Stefano: Nel bene e nel male. Michela: Nel bene e nel male, sì. E su tante persone ti ricredi perché non gli avresti dato un soldo di fiducia e invece hanno tirato fuori il meglio. Stefano: O perlomeno ci hanno provato. Michela: Forse prima non lo vedevi neanche perché davi per scontato che non erano così… Non lo vedevi… Forse non lo vedevamo. Perché alla fine penso che non… Stefano: Non conoscevi il lato di quelle persone. Michela: Se vai a guardar bene si comportano come si comportavano prima, solo che eravamo proprio noi a non vederlo. Questo è quello che penso. Ha aperto gli occhi anche a noi: adesso vedi la vita e le persone con un altro occhio. Alla fine il terremoto è una cosa naturale, non possiamo farci nulla, ma l’assurdità è morire sotto ad un terremoto. Quello che è veramente assurdo? Che succeda nel 2016… questo è assurdo. Stefano: Eppure succede! Michela: Adesso come adesso, rientrare dentro una casa di cemento non mi passa neanche per l’anticamera del cervello! Ho paura! Ho paura per me, ho paura per i figli, ho paura per.. Ho paura! Non ce la farei, anche perché la botta è stata veramente grande. Raccontarla a persone che non l’hanno vissuta sembra assurdo, descrivi delle cose che.. Io, quando lo dico, mi metto anche nei panni di chi mi ascolta: quando gli dici che la mia macchina fuori casa oscillava, che cioè faceva effettivamente così, non ci crede assolutamente. E invece era così. Era talmente forte che se non lo passi non te ne rendi conto. Stefano: Le devi vivere queste cose, sennò non le capisci. Michela: Ti dicono ti metti sotto al tavolino.. Ma il tavolino non sta fermo, ti devi spostare col tavolino, devi camminare dietro al tavolino.. C’è andata bene, tantissimo. Alla fine ha riaperto anche il bar, ha riaperto l’alimentari… Hanno riaperto dopo un anno, per carità, però quando ci ritroviamo tutti quanti lì e ne parliamo… è questo che conta, che ne parli! Perché siamo tutti vivi, alla fine la fortuna è quella! Sì, casa ti può dispiacere, però siamo vivi. Abbiamo rischiato di morire! Di cosa vogliamo parlare!? Non si può parlare di altro. Stefano: Sicuramente sarà un’occasione per dare una scremata su chi veramente aveva voglia di restare qui e costruire qualcosa e su chi invece stava un po’ in dubbio, non tornerà più. Michela: Quello che mi fa brutto è che tante persone non si rendono conto che rischiavano di morire, che c’era questa possibilità e mettono davanti ancora.. Stefano: ..le cavolate, le discussioni per le cavolate.. Michela: ..discorsi superficiali, che secondo me non.. Stefano: .. casetta dieci metri, casetta 20 metri. Il peggio sarà… T’ho detto il terremoto deve ancora arrivare qui. Il terremoto saranno anni di attesa, anni che non vedrai in giro turisti, gente che pensavi di vedere. Vedrai ditte, gente che sta lavorando, ma sicuramente non vedrai i ragazzini a giocare a pallone in piazza. Purtroppo sarà così. Arriveranno un miliardo di ditte e basta. Camion. Ruspe. Operai. Michela: Sì però se si mettono bene le basi.. secondo me si può partire. Stefano: Sempre però che vent’anni devono passare per vedere qualcosa di “normale”. È inutile a dire: i danni sono tanti. Chi vuole restare deve restare e deve avere la possibilità di crescere, questo è importante adesso. Di crescere, di fare, di poter provare a fare e invece qui, adesso, provi nonostante tutto a fare una cosa, e hai sempre le mani legate. Michela: La burocrazia è una cosa… Stefano: …è una cosa grave. Michela: Viviamo giorno per giorno, come Rambo ahahah. Come vivi adesso? Giorno per giorno. Stefano: Giorno per giorno no, però non pensiamo poi così a lungo perché qui le cose… L’abbiamo vissuto, le cose possono cambiare da un giorno all’altro, totalmente. Ti puoi mettere in testa quello che ti pare, ma con un giorno ti resetta tutto. Ti azzera. Fare, cercar di fare, di far bene, però.. Io penso che valorizzerà la vita, questa esperienza ti deve valorizzare nella vita, nel senso che devi capire che la vita è fatta di… Michela: Ti deve far apprezzare la vita più che altro. Stefano: Ecco, far apprezzare la vita. Michela: Cioè vivi! Vivi! Perché su questa vita ci devi vivere. Stefano: Lavori, fai, triboli... Poi in realtà devi capire che la vita va anche vissuta perché poi da un giorno all’altro non hai più niente. C’è gente che ha perso familiari che sono morti, gente che ha perso la casa, il lavoro, gente che ha perso familiari perché non sono morti ma se ne sono andati, e l’ha persi ugualmente. Sono brutte esperienze. Però penso che nonostante tutto, per mezzo di un evento così, te ne fai un po’ una ragione di tutto, tanto che puoi fare? Non puoi fare niente. Ti prendi le cose per come sono. Michela: No, si può migliorare perché la prossima volta… Stefano: Sì, può servire da lezione per determinate cose, ma per altre no. La paura… cioè ste cose tu non le puoi spiegare. Michela: La paura la puoi superare stando dentro una casetta di legno, senti la scossa, stai sicuro, sai che stai sicuro e continui a rimanere qui. Però devi stare sicuro. Non è che puoi stare con la paura che ti casca il comignolo sulla testa, un coppo sulla testa. Adesso come adesso, ma poi anche tra due anni, non è che tra due anni ci scordiamo e continuiamo ancora… Stefano: Eppure le gente si scorda, Michela. Michela: La gente si scorda perché non l’ha vissuto! Io l’ho vissuto e non mi scordo! A me, adesso come adesso, solo la casa di legno, punto! Stefano: Sì, ma poi arriverai un giorno, avrai una casa… Michela: Sempre di legno! Stefano: Che magari te la ricostruiscono… Michela: Io anche nel 1997 ho avuto veramente paura. Io ho sempre avuto paura dei terremoti. Stefano: Tutti hanno paura dei terremoti. Michela: Appunto, non si può sapere: quindi casetta di legno. Sicura. Può fare altre tre mila scosse... però quando dormi sicuro e sai che la famiglia tua è al sicuro, stai apposto. Stefano: E sì, però c’è pure gente che non ha lavoro. Adesso è complicata la cosa. Michela: Il lavoro… Io penso, che piano piano riprenderà tutto. Stefano: Ci vorrebbero posti di lavoro a gogo adesso. Se uno riuscisse a inventarsi qualsiasi cosa per poter far restare qualche famiglia in più… Sarebbe fondamentale, però che t’inventi qui? Non lo so se è passato, io sono ancora convinto che il peggio deve venire. Michela: Ah, quello è sicuro! Stefano: Stiamo qui nella fase iniziale: il terremoto, la paura, ci siamo salvati, un anno fuori, un anno a tribolare, può darsi anche un altro anno.. Però poi, non è detto che siano tutte rose e fiori. Può darsi che sia pure un casino uguale. Michela: Vabbè, pensiamone una per volta. Stefano: Non ci si può far niente. Bisogna vedere che piega prende tutta la situazione. Michela: Intanto facciamo quello che dobbiamo fare, poi… poi piano piano vediamo. Video intervista Pierfrancesco Gallo, Peco [47], Ussita (MC), 16 ottobre 2017
Da undici anni vivo qui ad Ussita. Con la prima scossa, quella del 24 agosto, la mia casa era già diventata inagibile. Eravamo io, mia moglie, e due cani.. Mi è appena arrivato un messaggio che il 10 novembre ho la prima udienza di separazione, di cani una è morta quindi ne è rimasta una sola che sta qui con me in camper. Dal 24 agosto siamo andati, un po’ sbattuti, cercando una soluzione provvisoria anche al mare, e infine abbiamo preso una casa in affitto in una frazione di Ussita, Cuore di Sorbo. Alla prima scossa, alle 19 del 26 ottobre, stavo festeggiando a Visso, in una condizione già abbastanza drammatica, una donazione da parte di una banca ai suoi clienti, tra i quali io, che mi ha permesso di comprare integralmente questa casa su ruote in cui vivo da un anno prossimo il 3 novembre. Scappo su da solo a prendere i cani e le cose nella casa in affitto che è sotto il Monte Bove, dove prendo la seconda scossa, quella delle 21: non ho mai avuto tanta paura in vita mia, strillavo come un bambino di 10 anni. Da lì la vita si è complicata molto. La scelta del camper è stata fatta in due con mia moglie, ma dopo 20 giorni d’inverno… Forse d’estate in vacanza si può fare ma in una situazione complicata è veramente complicato e difficile. Non ce l’ha fatta e se n’è andata. Sono rimasto a Ussita perché anche la mia attività l’ho portata undici anni fa a Ussita insieme a me. A cinquanta metri dal camper c’è il mio ufficio che ovviamente è inagibile e molti macchinari li ho dovuti buttare: io mi occupo di digitalizzazione di archivi storici. La risposta più pronta ovviamente dai parenti e amici, ma le risposte veramente pratiche, che mi hanno permesso di andare avanti, sono state questa donazione da parte di una banca e i miei clienti. Pochi ma buoni, storici, quindi parlo di Vaticano, Archivio Storico del Quirinale, l’Università di Macerata che si sono veramente sbattuti per cercare di offrirmi un posto dove portare le attrezzature e continuare a lavorare. Dopo quattro mesi di completa inattività sono riuscito a portare un 30 percento delle attrezzature in Vaticano, e quantomeno ho ricominciato a lavorare: da sette dipendenti adesso ne ho quattro, ma almeno quelli riusciamo a più o meno pagarli, più o meno nei tempi. I tre che non ci sono più ovviamente erano di Visso, perché purtroppo lavoravano qui. Adesso stiamo cercando di ripartire con il lavoro, se ce la faccio proprio con l’Archivio Storico di Visso e di Ussita: questo mi permetterà di rimanere in questo posto maledetto che è bellissimo. Per questo non me ne vado. Credo che stare qui, prima di tutto personalmente, a me serve perché faccio una vita che altrove non potrei fare, immerso in una natura meravigliosa che mi consente sia di lavorare che di vivere all’aria aperta. Poi il fatto di rimanere qui, credo stimoli parzialmente chi dovrebbe lavorare per noi a lavorare per noi, vedendo che c’è la gente che qua ci sta e ci vuole tornare e non ce so’ né santi né madonne: si mettessero in testa che quello che si sono presi se lo sono presi punto, quello che ci devono dare ce lo diano nei tempi e poi ci facciano fare: case più sicure e possibilmente più belle cercando di eliminare il brutto. Questa potrebbe essere una opportunità per ripartire in modo migliore, non in modo peggiore, non ripartire da metà ma ripartire dal cinquanta percento in avanti, una ricostruzione lungimirante, come se fossimo nel Nord Europa. Una cosa impossibile ma… ci vuole tigna, ci vuole essere un po’ coesi e questa è un’altra cosa che manca molto. Che dire, andiamo avanti, l’unica direzione che ci ha dato nostro signore è andare avanti, quindi non si può scappare da questo, dietro abbiamo toccato, lo spazio è finito quindi andiamo avanti. Video intervista Gianbattista Sisini, Panelli [53], Visso (MC), 15 ottobre 2017
Io sono Sisini Gianbattista, 53 anni, di Visso. Basta. Vuoi sapere la storia? La storia è semplice: il 24 ha fatto il terremoto, agosto. Qui non ha fatto enormi danni, quindi abbiamo continuato a vivere normalmente. Poi alla fine di ottobre c’è stata la scossa forte che ha distrutto un po’ tutto e hanno voluto mandar via un po’ tutti, tra cui noi. Ma noi siamo rimasti qua. Tutto qui. Con una bella roulotte, eccola, non è che sia bellissima però c’abbiamo passato quest’anno. Io il lavoro ce l’ho qui, non ho mai smesso di lavorare. Ci ho provato ad andare al mare, un giorno, ma che io mi debba svegliare la mattina alle 5 per venire su, e la sera alle 8 ripartire e tornare giù, non era il caso. Colleghi miei l’han fatto e continuano a farlo. Per me no, non è fattibile. Video intervista Christian Mocci, Il Condor [37], Visso (MC), 15 ottobre 2017
Da un anno a questa parte abito nelle roulotte e insieme agli altri ragazzi ho deciso di rimanere sul territorio per mantenere gli usi, le tradizioni e non abbandonare perché pensavamo fosse importante rimanere per dare un segno forte. A livello politico ci hanno abbandonato però abbiamo avuto comunque la forza di rimanere qua nelle roulotte. Il comune ci ha dato questo spazio a disposizione e siamo riusciti ad organizzarci la cucina, i bagni, ecc. La cosa brutta è che se vedi le casette dietro a me sono 20 contro 270 che ne dovrebbero fare. Avremo molte difficoltà nel futuro, la ricostruzione sarà lenta, anzi lentissima, si parla che il centro storico nemmeno lo rifaranno, però noi comunque vogliamo rimanere qua perché questa è la nostra casa, la nostra terra e dobbiamo rimanere qua. Noi tutti quanti che siamo rimasti dobbiamo ringraziare non lo Stato Italiano ma gli Italiani, grandissime persone perché la roulotte me l’ha prestata un amico che lavora con me, agli altri ci sono state donazioni, gli Italiani ci sono stati sempre vicino e grazie a loro siamo riusciti a rimanere qua e a vivere una situazione quasi normale nonostante abitiamo nelle roulotte, quattro pezzi di latta. Non è semplicissimo perché quest’inverno ci sono stati 3 metri di neve, questa estate 40 gradi, però siamo riusciti ad organizzarci. Siamo riusciti a vivere una vita normale nonostante alcuni non vogliono che rimaniamo: a livello istituzionale alto nessuno voleva che rimanessimo qua, invece siamo rimasti. Dopo la scossa del 24 agosto alcune case hanno avuto dei danni, anche la mia, ma non eccessivamente. Lavoro in Croce Rossa, il 26 ottobre dopo la scossa delle 19 i colleghi ci hanno chiamato perché controllassimo le case di riposo di Castelsantangelo e Ussita. Scendendo per andare a Ussita abbiamo sentito il terremoto delle 21, ed è stato brutto perché il mio collega non riusciva a guidare, ci è crollata la montagna davanti e abbiamo rischiato la vita, pensavamo di morire. Video intervista Angelica Sepi, La Lupara [20], Visso (MC), 13 ottobre 2017
Ho i nonni che sono nativi di una frazione di Visso, Fematre, che però si trova dall’altra parte della Val Nerina: prima ci volevano 10 minuti, ora che la strada è interrotta ne occorrono 45. Per questo motivo, io che lavoro a Visso tutte le mattine, sono qua al Bronx e dormo in roulotte senza la mia famiglia che, al contrario, è rimasta con i miei nonni poiché abbiamo anche degli animali. Vivere qui è brutto perché stai lontano dalla famiglia, non hai più una casa, non hai più il senso di familiarità, però quest’ultima è stata ritrovata grazie alla gente con cui vivo che ti fa sentire a casa: ormai siamo diventati tutti una famiglia. Tra le cose brutte del terremoto abbiamo trovato anche un po’ di amore, di serenità stando tutti insieme. L’evento brutto che conduce a conseguenze brutte ha portato, a parer mio, nuovi inizi. Spero e ambisco che questo paese, come anche quelli limitrofi, abbiano delle opportunità di rinascita e di ricrescita. Visso è uno dei borghi più belli d’Italia. Viviamo in dei luoghi che vanno apprezzati perché sono, se vogliamo, delle piccolezze, ma nella loro bellezza è come al sud: quando vieni a Visso, piangi quando arrivi e piangi quando te ne vai. Spero che, come dicevano, non ci lascino soli. Video intervista |