Elisabetta Ottaviani (Bettina) [17], Marco Ottaviani (Faro) [19], Visso (MC), 29 ottobre 2017 Elisabetta: Il 24 agosto, con quella grande scossa sismica abbiamo avuto un po’ paura perché ci ha preso nella notte. Io non me ne ero neppure accorta, sentivo soltanto mamma che urlava: non ho fatto in tempo a vestirmi, ho preso di corsa dei panni e sono scesa. Uscita di casa, tutti i vicini erano già fuori. Quella notte è stata un incubo. Successivamente siamo rientrati per prendere delle cose da mettere in auto, dove siamo rimasti fino al giorno dopo. Quando siamo tornati a vedere com’era la situazione a casa: al piano di sotto non era successo quasi nulla, ma di sopra erano visibili delle crepe ed infatti hanno dichiarato la casa inagibile. Avendo sempre paura, papà e mamma hanno comprato una roulotte, ma io, mio fratello e alcuni ragazzi alloggiavamo qui al campo sportivo dove per il primo mese il comune di Visso aveva piazzato delle tende. Quando è cominciato la scuola siamo tornati nella roulotte. Io il 26 ottobre pensavo di morire. Il terremoto mi ha trovata in piazza e la porta del ristorante, che era vicino al municipio, non si apriva perché s’era bloccata. Fuori pioveva, era bagnato. È andata via la luce. Quando siamo riusciti ad uscire siamo andati un po’ qui e un po’ là: eravamo sei ragazzi e nessuno ci ha capito niente. Alla fine mi sono trovata con un ragazzo [Alessandro], abbiamo passato l’arco della piazza e siamo andati davanti la pompa della benzina che era crollata. Un ragazzo [Andrea Lupidi] mi ha portata a casa in auto perché le vie erano bloccate e a piedi non facevano passare. È stato brutto: chiamavo mamma e non rispondeva. Chiamavo papà e non rispondeva. Mio fratello non rispondeva perché le linee erano occupate. Non sapevo cosa fare. Alla fine m’han portata su: c’era mamma che piangeva ed erano tutti preoccupati perché è stata troppo forte. Avendo la roulotte, non eravamo partiti verso la costa con bambini, anziani ed altre persone. Ci eravamo detti: aspettiamo e vediamo cosa succede. Il 30 ottobre invece, quando ha fatto la scossa della mattina, noi eravamo in roulotte vicino casa, uno dei posti dove ora stanno facendo le casette, e sentivamo fin là le urla della gente che stava qui al campo sportivo. Papà è sceso, siamo venuti qui al campo insieme alle altre persone e poi è arrivato un elicottero dei pompieri e ci han detto: «dovete andare via.» Questa è stata la botta finale. «Nessuno può restare qui, se non partire arriva la polizia e vi porta via.» Mamma ha preso delle cose in roulotte, abbiamo fatto le valigie e siamo partiti per il mare. Arrivati giù eravamo come pesci fuor d’acqua perché vivendo in montagna e d’inverno il mare fa un altro effetto. Siamo rimasti 15 giorni perché poi mamma riprendeva a lavorare qua, ed anche papà lavorava qua, mio fratello doveva finire la scuola e il pomeriggio andava dagli animali. Avevamo tutto qua e non potevamo fare avanti e indietro dal mare. Arrivati qui al campo a Visso non conoscevo nessuno, o meglio conoscevo alcune famiglie. Da una parte il terremoto ci ha rovinato, dall’altra è come se avesse ricostruito una nuova società. Io con gli altri che vivono qui mi trovo più che bene, voglio bene a tutti allo stesso modo e glielo dico. Quando arriveranno le casette mi dispiacerà tanto perché comunque sia loro erano come una famiglia per me. Marco: Quando siamo andati al mare, era come una nuova situazione e pensavo: vediamo come la possiamo affrontare. Però una volta arrivato, la situazione era un po’ monotona perché non sapevo cosa fare. Ero da solo perché conoscevo poca gente. Noi l’abbiamo fatto, di scendere al mare, perché qui c’era un terremoto ogni due secondi, anche piccoli ma comunque la testa ne risentiva. Inoltre mio padre non poteva lavorare perché la ditta s’era fermata, anche la SVILA dove lavora mia madre aveva interrotto l’attività perché c’erano stati dei danni, la scuola era chiusa, quindi ci abbiamo provato. Io e mio padre tornavamo quassù a Visso soltanto per il bestiame: cosa stavamo a fare qui, non c’era nulla. L’abbiamo fatto per riposarci. La prima settimana è passata abbastanza velocemente, ma poi la situazione cominciava a diventare pesante, la scuola ricominciava, mamma e papà riprendevano a lavorare e quindi anche a noi rimaneva più comodo partire da qui per andare a scuola invece che partire da giù al mare. Siamo quindi tornati qui a Visso, abbiamo anche il bestiame che va accudito. Siamo stati per un primo momento nella zona vicino la Croce Rossa con tutte le altre roulotte, il datore di lavoro di mio padre ci passava la corrente. In seguito siamo venuti a conoscenza che potevamo spostarci qui al campo sportivo, ed è stata una cosa favorevole perché la corrente c’era, per le docce basta comprare il gasolio per la caldaia… Cerchiamo di avere una vita normale, abbiamo anche adibito una stanza a cucina, e ci siamo arrangiati: chi aveva tavoli, chi aveva sedie, ognuno ci mette del suo… È un po’ insolito perché siamo una trentina di persone, ed in un contesto familiare non si è in così tanti. Ci siamo dovuti adattare, ognuno ci mette del suo. Fai nuove amicizie. È una situazione un po’ strana ma è favorevole per tutti. Non avendo una stalla di mia proprietà, tenevo gli animali da un mio amico, il quale aveva una stalla abbastanza grande, e avendo pochi capi c’era spazio per potermi far appoggiare durante il periodo invernale. Io portavo gli animali da lui in una frazione [Aschio] a 5-6 chilometri da Visso, e la sera li andavo a pulire e gli davo da mangiare. Mi aiutava dandomi un posto dove tenerli d’inverno. Non avevo mai stipulato un contratto d’affitto, perché essendo amici non ce n’era bisogno. Dividevo con lui le spese per la corrente, per l’acqua e per alcuni anni è andata avanti così. In seguito al terremoto invece, con la prima scossa la stalla si era danneggiata, con la seconda era ormai demolita all’80 percento e con quella della domenica sono rimaste in piedi quattro colonne. Ho fatto domanda alla Regione per dei moduli per il bestiame, perché qui d’inverno le temperature scendono parecchio e generalmente nevica molto, ma mi è stato risposto che non mi spettavano perché non avevo un contratto d’affitto che testimoniasse che tenevo gli animali nelle stalle del mio amico. Mi sono dunque dovuto arrangiare da solo creando dei moduli provvisori con delle stanghe di ferro, bandoni e teli che mantengono il calore all’interno. Non so per quanto tempo sarà possibile continuare in questo modo, e se anche volessi aumentare il numero di capi non potrei, perché non avendo una stalla non posso andare avanti con dei moduletti provvisori. Se volessi ingrandire l’azienda non potrei. Ho chiesto anche al comune, che ha una stalla di proprietà che è qui vicino, se era possibile acquistarla e mi han risposto che la cedono con particolari condizioni. La stalla ha dei problemi, ci sarebbe da spendere dei soldi: anche se i muri hanno qualche filatura la struttura è solida, ma i tramezzi sono un po’ lesionati, il tetto è di amianto. Io ho proposto al comune: i lavori li farei a mie spese e loro me la venderebbero con un prezzo di favore e invece vogliono che io aggiusti la stalla che poi loro mi vendono per buona. Un attimo ci penso! È come se quei soldi li buttassi via, perché in fin dei conti se una stalla la compri a prezzo pieno, la compri buona e non una su cui c’è da rimetterci le mani. Scartata dunque questa ipotesi, se volessi metter su una bella azienda, cosa che mi piacerebbe fare, dovrei spostare la residenza in Umbria a Preci, paese d’origine di mio padre, perché lì, a mio avviso, valorizzano di più l’agricoltura e l’allevamento. Sarei dunque obbligato a spostarmi là, dove avrei già trovato la terra in affitto e i capannoni dove sistemare il bestiame. Questa è la decisione che dovrò prendere a breve, e ad oggi sono propenso a spostarmi nella zona umbra. Elisabetta: Noi stiamo aspettando le casette, è passato un anno pochi giorni fa e ci siamo stufati di vivere così. L’ho detto prima, quando andrò via di qui, le persone che adesso stanno con me mi mancheranno da morire. Li vedrò tutti i giorni ma non sarà come prima. Magari mi alzo e mi dicono buon giorno, andiamo a pranzo tutti insieme e 27 persone sono tante… Stare insieme a ventisette persone è bellissimo, però non è la quotidianità. Io lo dico: mi sono stufata di vivere così. Mi mancheranno, però si devono sbrigare a costruire le casette. La data di ultimazione dei lavori qui al campo sportivo è scaduta due giorni fa e devono ancora consegnare le prime venti. Dove invece sarà la nostra casetta, l’altro giorno lavorava solo un operaio. Sono pochi! Noi ci siamo stufati! Le altre aree, stanno tutte com’erano inizialmente: forse quelle più verso Villa [Sant’Antonio] sono ad un stadio più avanzato, ma vicino all’ex Parco Hotel, di Fronte alla Vissana [Salumi] non c’è ancora nessuna casetta montata. Gli operai sono pochi, si devono svegliare! Devono iniziare a mettere più operai, e si devono dare una mossa perché noi vogliamo una casa! Video intervista
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Riccardo Paternesi [27], Castelsantangelo sul Nera (MC), 22 ottobre 2017
Quando nel 1997 ci fu il terremoto di Umbria e Marche, io avevo 7 anni ed è nella stessa casa, nella stessa camera da cui mia nonna mi prese impaurito e mi portò fuori, che la sera del 24 agosto dell’anno scorso, mentre dormivo con la mia ragazza, al primo accenno sono saltato su e ho detto «Il terremoto!» come se qualcosa dentro di me si aspettasse che sarebbe tornato, e questa volta ho portato io fuori di casa mia nonna. Voglio che racconti questo, il resto è uguale per tutti. La casa è stata da subito inagibile, ma all’inizio mia madre e mia nonna hanno comunque dormito lì perché non volevano andare nella tendopoli approntata davanti allo stabilimento della Nerea, mentre io e mio padre ci siamo trasferiti di fuori in una tenda perché avevo paura. Comunque, dopo qualche giorno, ci siamo spostati tutti nella tendopoli. Il 10 ottobre abbiamo finalmente trovato una casetta in affitto qui a Castelsantangelo, ma con le scosse del 26 ottobre è diventata inagibile anche quella. Io lavoro qui alla Nerea, amo questo territorio, mi piace questa terra. L’unica soluzione è rimanere a vivere qui. Per questo motivo vivo in una roulotte che ho modificato in base alle mie esigenze: ho messo l’isolante, questo scaffale, dove sei ora tu c’era un altro letto, ho modificato gli spazi perché prima era più stretto, e ho messo il matrimoniale per stare più comodo con la mia ragazza. Mi sono dovuto organizzare per passarci il prossimo inverno, il secondo, perché qui le casette non sono pronte. Laura Sisini, Fabio Ottaviani (Sputafoco), Visso (MC), 22 ottobre 2017 Dal 24 agosto stiamo disagiati per il terremoto: la casa è già stata lesionata, poi il 26 ottobre è arrivata la scossa fortissima che l’ha rovinata del tutto. Stiamo fuori, viviamo in roulotte qui al campo sportivo a Vallopa insieme ad altre 25 persone, siamo circa in trenta. Abbiamo deciso di rimanere a Visso e non siamo voluti restare al mare per il lavoro e anche perché abbiamo una piccola azienda [con 17 animali]. La notte del 24 agosto alle 3.40 s’è sentita una forte scossa e siamo usciti, Visso era nel panico, la gente che scappava. Quel giorno c’erano 6 mila abitanti e la mattina stessa sono spariti tutti, se ne sono andati tutti. Noi siamo scesi per vedere la situazione ed era un disastro, tutti che scappavano. Il 26 ottobre, l’apocalisse. Il 30 ottobre sono venuti qui al campo sportivo e ci hanno mandato via, lungo la costa. Giù sono rimasta circa quindici giorni ma poi sono tornata qui a Visso, un po’ per il lavoro, un po’ perché non era il posto dove volevo stare. Già il 24 agosto noi abbiamo deciso di comprare la roulotte, un po’ per paura e un po’ perché casa era lesionata. Ci è stato dato anche un camper, poiché per noi essendo quattro persone, era impossibile vivere solo con la roulotte. Siamo divisi, i figli nel camper, noi nella roulotte. Ci è stata data l’opportunità di rimanere qui al campo sportivo e di usufruire dello stabile, dove abbiamo le docce, i bagni e uno stanzone in cui abbiamo adibito una cucina e stiamo tutti insieme. Video intervista Stefano Riccioni (Buttero) [38], Michela Paris [31], Diego [5], Emma [4, ]Ussita (MC), 22 ottobre 2017 Michela: È iniziato tutto con la scossa del 24 agosto: piena notte, la luce era saltata, eravamo in pieno panico dentro casa perché non ce l’aspettavamo. Quella stessa sera ci siamo trasferiti nel campeggio il Quercione, dove ci siamo trattenuti fino alle scosse di ottobre. Saremmo rientrati a casa il lunedì, ma poi la domenica [30 ottobre] è successo il caos. Non siamo più rientrati. Speravamo di essercela cavata col terremoto del 24 agosto e invece, con le altre due scosse ci ha messo in ginocchio perché siamo stati mandati a Porto Recanati. Io con i bambini stavo giù, Stefano è rimasto qui ad Ussita. La situazione è andata avanti per quasi un anno, siamo tornati quassù a giugno. In questi mesi in cui ho dovuto fare avanti e dietro, i bambini stavano giù, lui scendeva una volta ogni tre giorni. La famiglia era praticamente divisa: è stato questo che ci ha devastato ancora di più. In questi mesi passati a Porto Recanti le persone sono state veramente solidali perché ci hanno veramente aiutati, ci hanno dato una mano. Però un conto è Porto Recanati, un conto è casa. Più di altro, è lo stare insieme che ci è mancato tantissimo. A giugno, finito l’asilo a Loreto, abbiamo deciso di fermarci temporaneamente in camper, e sono tornata in attesa ad Ussita con i bambini, perché non abbiamo ancora niente, della casetta e delle stalle. Ci siamo organizzati con gli altri ragazzi che sono rimasti, Stefano ha passato quassù tutto l’inverno e siamo ancora un po’ accampati. Stanno facendo le gettate questi giorni, sia di casa che delle stalle: speriamo che duri il sole e il tempo buono per poter finire tranquillamente tutti i lavori. Stefano: C’è stata la decisione di mandare via tutti. Lei è andata al mare, io mi sono dovuto fermare perché abbiamo il bestiame. Abbiamo passato un’invernata lunghissima. Prima di tutto per la lontananza dalla famiglia, dai bambini, da Michela e poi da tutta la popolazione che è stata tutta completamente disgregata. Tra qualche amico e qualche conoscente che è rimasto perché doveva, si è creato questo piccolo gruppo di persone ed abbiamo passato l’inverno tutti insieme, cercando di darci una mano per quello che era possibile. In primavera le cose sono iniziate ad andare un po’ meglio. Michela e i bambini sono tornati sul camper. Abbiamo passato un’estate abbastanza calda sul camper… Poi cercando siamo riusciti a trovare questa casetta, che per quanto piccola e scomoda, è però sicuramente meglio di un camper. Il terremoto è stata un’esperienza bruttissima. Ha devastato case, famiglie, tessuto sociale. Non penso che si riprenderà una situazione come quella precedente al sisma, forse sono pessimista, ma ci vorranno anni ed anni per ripristinare qualcosa di buono. A parte i danni, quelli strutturali delle cose, c’è tutto un discorso di turismo, di gente che se n’è andata e non tornerà, di famiglie giovani che hanno deciso di cambiare totalmente vita e quindi sicuramente niente sarà più come prima. Il terremoto deve ancora venire. L’importante è la pelle... tutto si ricostruisce, tutto si rifà. Oddio forse proprio tutto no, perché il bene materiale si ripristina, ma c’è gente che ha perso veramente tutto. Ha perso la famiglia anche solo perché la gente s’è [separata]… reazioni diverse da diversi caratteri, hanno provocato cose che uno non si sarebbe mai aspettato. Stefano e Michela: Ha tirato fuori il peggio ed il meglio delle persone. Michela: Da persone cui forse ti aspettavi una mano, non te l’hanno data e neanche ti hanno chiesto se ti serviva, e persone invece che non te lo saresti mai aspettato, che stavano lì già senza che neppure glielo avessi chiesto ed avevano già teso la mano. Nei momenti difficili viene fuori quello che sei, quello che vuoi: viene fuori la chiarezza. Tante persone si sono rivelate quello che erano alla fine. Stefano: Nel bene e nel male. Michela: Nel bene e nel male, sì. E su tante persone ti ricredi perché non gli avresti dato un soldo di fiducia e invece hanno tirato fuori il meglio. Stefano: O perlomeno ci hanno provato. Michela: Forse prima non lo vedevi neanche perché davi per scontato che non erano così… Non lo vedevi… Forse non lo vedevamo. Perché alla fine penso che non… Stefano: Non conoscevi il lato di quelle persone. Michela: Se vai a guardar bene si comportano come si comportavano prima, solo che eravamo proprio noi a non vederlo. Questo è quello che penso. Ha aperto gli occhi anche a noi: adesso vedi la vita e le persone con un altro occhio. Alla fine il terremoto è una cosa naturale, non possiamo farci nulla, ma l’assurdità è morire sotto ad un terremoto. Quello che è veramente assurdo? Che succeda nel 2016… questo è assurdo. Stefano: Eppure succede! Michela: Adesso come adesso, rientrare dentro una casa di cemento non mi passa neanche per l’anticamera del cervello! Ho paura! Ho paura per me, ho paura per i figli, ho paura per.. Ho paura! Non ce la farei, anche perché la botta è stata veramente grande. Raccontarla a persone che non l’hanno vissuta sembra assurdo, descrivi delle cose che.. Io, quando lo dico, mi metto anche nei panni di chi mi ascolta: quando gli dici che la mia macchina fuori casa oscillava, che cioè faceva effettivamente così, non ci crede assolutamente. E invece era così. Era talmente forte che se non lo passi non te ne rendi conto. Stefano: Le devi vivere queste cose, sennò non le capisci. Michela: Ti dicono ti metti sotto al tavolino.. Ma il tavolino non sta fermo, ti devi spostare col tavolino, devi camminare dietro al tavolino.. C’è andata bene, tantissimo. Alla fine ha riaperto anche il bar, ha riaperto l’alimentari… Hanno riaperto dopo un anno, per carità, però quando ci ritroviamo tutti quanti lì e ne parliamo… è questo che conta, che ne parli! Perché siamo tutti vivi, alla fine la fortuna è quella! Sì, casa ti può dispiacere, però siamo vivi. Abbiamo rischiato di morire! Di cosa vogliamo parlare!? Non si può parlare di altro. Stefano: Sicuramente sarà un’occasione per dare una scremata su chi veramente aveva voglia di restare qui e costruire qualcosa e su chi invece stava un po’ in dubbio, non tornerà più. Michela: Quello che mi fa brutto è che tante persone non si rendono conto che rischiavano di morire, che c’era questa possibilità e mettono davanti ancora.. Stefano: ..le cavolate, le discussioni per le cavolate.. Michela: ..discorsi superficiali, che secondo me non.. Stefano: .. casetta dieci metri, casetta 20 metri. Il peggio sarà… T’ho detto il terremoto deve ancora arrivare qui. Il terremoto saranno anni di attesa, anni che non vedrai in giro turisti, gente che pensavi di vedere. Vedrai ditte, gente che sta lavorando, ma sicuramente non vedrai i ragazzini a giocare a pallone in piazza. Purtroppo sarà così. Arriveranno un miliardo di ditte e basta. Camion. Ruspe. Operai. Michela: Sì però se si mettono bene le basi.. secondo me si può partire. Stefano: Sempre però che vent’anni devono passare per vedere qualcosa di “normale”. È inutile a dire: i danni sono tanti. Chi vuole restare deve restare e deve avere la possibilità di crescere, questo è importante adesso. Di crescere, di fare, di poter provare a fare e invece qui, adesso, provi nonostante tutto a fare una cosa, e hai sempre le mani legate. Michela: La burocrazia è una cosa… Stefano: …è una cosa grave. Michela: Viviamo giorno per giorno, come Rambo ahahah. Come vivi adesso? Giorno per giorno. Stefano: Giorno per giorno no, però non pensiamo poi così a lungo perché qui le cose… L’abbiamo vissuto, le cose possono cambiare da un giorno all’altro, totalmente. Ti puoi mettere in testa quello che ti pare, ma con un giorno ti resetta tutto. Ti azzera. Fare, cercar di fare, di far bene, però.. Io penso che valorizzerà la vita, questa esperienza ti deve valorizzare nella vita, nel senso che devi capire che la vita è fatta di… Michela: Ti deve far apprezzare la vita più che altro. Stefano: Ecco, far apprezzare la vita. Michela: Cioè vivi! Vivi! Perché su questa vita ci devi vivere. Stefano: Lavori, fai, triboli... Poi in realtà devi capire che la vita va anche vissuta perché poi da un giorno all’altro non hai più niente. C’è gente che ha perso familiari che sono morti, gente che ha perso la casa, il lavoro, gente che ha perso familiari perché non sono morti ma se ne sono andati, e l’ha persi ugualmente. Sono brutte esperienze. Però penso che nonostante tutto, per mezzo di un evento così, te ne fai un po’ una ragione di tutto, tanto che puoi fare? Non puoi fare niente. Ti prendi le cose per come sono. Michela: No, si può migliorare perché la prossima volta… Stefano: Sì, può servire da lezione per determinate cose, ma per altre no. La paura… cioè ste cose tu non le puoi spiegare. Michela: La paura la puoi superare stando dentro una casetta di legno, senti la scossa, stai sicuro, sai che stai sicuro e continui a rimanere qui. Però devi stare sicuro. Non è che puoi stare con la paura che ti casca il comignolo sulla testa, un coppo sulla testa. Adesso come adesso, ma poi anche tra due anni, non è che tra due anni ci scordiamo e continuiamo ancora… Stefano: Eppure le gente si scorda, Michela. Michela: La gente si scorda perché non l’ha vissuto! Io l’ho vissuto e non mi scordo! A me, adesso come adesso, solo la casa di legno, punto! Stefano: Sì, ma poi arriverai un giorno, avrai una casa… Michela: Sempre di legno! Stefano: Che magari te la ricostruiscono… Michela: Io anche nel 1997 ho avuto veramente paura. Io ho sempre avuto paura dei terremoti. Stefano: Tutti hanno paura dei terremoti. Michela: Appunto, non si può sapere: quindi casetta di legno. Sicura. Può fare altre tre mila scosse... però quando dormi sicuro e sai che la famiglia tua è al sicuro, stai apposto. Stefano: E sì, però c’è pure gente che non ha lavoro. Adesso è complicata la cosa. Michela: Il lavoro… Io penso, che piano piano riprenderà tutto. Stefano: Ci vorrebbero posti di lavoro a gogo adesso. Se uno riuscisse a inventarsi qualsiasi cosa per poter far restare qualche famiglia in più… Sarebbe fondamentale, però che t’inventi qui? Non lo so se è passato, io sono ancora convinto che il peggio deve venire. Michela: Ah, quello è sicuro! Stefano: Stiamo qui nella fase iniziale: il terremoto, la paura, ci siamo salvati, un anno fuori, un anno a tribolare, può darsi anche un altro anno.. Però poi, non è detto che siano tutte rose e fiori. Può darsi che sia pure un casino uguale. Michela: Vabbè, pensiamone una per volta. Stefano: Non ci si può far niente. Bisogna vedere che piega prende tutta la situazione. Michela: Intanto facciamo quello che dobbiamo fare, poi… poi piano piano vediamo. Video intervista Pierfrancesco Gallo, Peco [47], Ussita (MC), 16 ottobre 2017 Da undici anni vivo qui ad Ussita. Con la prima scossa, quella del 24 agosto, la mia casa era già diventata inagibile. Eravamo io, mia moglie, e due cani.. Mi è appena arrivato un messaggio che il 10 novembre ho la prima udienza di separazione, di cani una è morta quindi ne è rimasta una sola che sta qui con me in camper. Dal 24 agosto siamo andati, un po’ sbattuti, cercando una soluzione provvisoria anche al mare, e infine abbiamo preso una casa in affitto in una frazione di Ussita, Cuore di Sorbo. Alla prima scossa, alle 19 del 26 ottobre, stavo festeggiando a Visso, in una condizione già abbastanza drammatica, una donazione da parte di una banca ai suoi clienti, tra i quali io, che mi ha permesso di comprare integralmente questa casa su ruote in cui vivo da un anno prossimo il 3 novembre. Scappo su da solo a prendere i cani e le cose nella casa in affitto che è sotto il Monte Bove, dove prendo la seconda scossa, quella delle 21: non ho mai avuto tanta paura in vita mia, strillavo come un bambino di 10 anni. Da lì la vita si è complicata molto. La scelta del camper è stata fatta in due con mia moglie, ma dopo 20 giorni d’inverno… Forse d’estate in vacanza si può fare ma in una situazione complicata è veramente complicato e difficile. Non ce l’ha fatta e se n’è andata. Sono rimasto a Ussita perché anche la mia attività l’ho portata undici anni fa a Ussita insieme a me. A cinquanta metri dal camper c’è il mio ufficio che ovviamente è inagibile e molti macchinari li ho dovuti buttare: io mi occupo di digitalizzazione di archivi storici. La risposta più pronta ovviamente dai parenti e amici, ma le risposte veramente pratiche, che mi hanno permesso di andare avanti, sono state questa donazione da parte di una banca e i miei clienti. Pochi ma buoni, storici, quindi parlo di Vaticano, Archivio Storico del Quirinale, l’Università di Macerata che si sono veramente sbattuti per cercare di offrirmi un posto dove portare le attrezzature e continuare a lavorare. Dopo quattro mesi di completa inattività sono riuscito a portare un 30 percento delle attrezzature in Vaticano, e quantomeno ho ricominciato a lavorare: da sette dipendenti adesso ne ho quattro, ma almeno quelli riusciamo a più o meno pagarli, più o meno nei tempi. I tre che non ci sono più ovviamente erano di Visso, perché purtroppo lavoravano qui. Adesso stiamo cercando di ripartire con il lavoro, se ce la faccio proprio con l’Archivio Storico di Visso e di Ussita: questo mi permetterà di rimanere in questo posto maledetto che è bellissimo. Per questo non me ne vado. Credo che stare qui, prima di tutto personalmente, a me serve perché faccio una vita che altrove non potrei fare, immerso in una natura meravigliosa che mi consente sia di lavorare che di vivere all’aria aperta. Poi il fatto di rimanere qui, credo stimoli parzialmente chi dovrebbe lavorare per noi a lavorare per noi, vedendo che c’è la gente che qua ci sta e ci vuole tornare e non ce so’ né santi né madonne: si mettessero in testa che quello che si sono presi se lo sono presi punto, quello che ci devono dare ce lo diano nei tempi e poi ci facciano fare: case più sicure e possibilmente più belle cercando di eliminare il brutto. Questa potrebbe essere una opportunità per ripartire in modo migliore, non in modo peggiore, non ripartire da metà ma ripartire dal cinquanta percento in avanti, una ricostruzione lungimirante, come se fossimo nel Nord Europa. Una cosa impossibile ma… ci vuole tigna, ci vuole essere un po’ coesi e questa è un’altra cosa che manca molto. Che dire, andiamo avanti, l’unica direzione che ci ha dato nostro signore è andare avanti, quindi non si può scappare da questo, dietro abbiamo toccato, lo spazio è finito quindi andiamo avanti. Video intervista Gianbattista Sisini, Panelli [53], Visso (MC), 15 ottobre 2017 Io sono Sisini Gianbattista, 53 anni, di Visso. Basta. Vuoi sapere la storia? La storia è semplice: il 24 ha fatto il terremoto, agosto. Qui non ha fatto enormi danni, quindi abbiamo continuato a vivere normalmente. Poi alla fine di ottobre c’è stata la scossa forte che ha distrutto un po’ tutto e hanno voluto mandar via un po’ tutti, tra cui noi. Ma noi siamo rimasti qua. Tutto qui. Con una bella roulotte, eccola, non è che sia bellissima però c’abbiamo passato quest’anno. Io il lavoro ce l’ho qui, non ho mai smesso di lavorare. Ci ho provato ad andare al mare, un giorno, ma che io mi debba svegliare la mattina alle 5 per venire su, e la sera alle 8 ripartire e tornare giù, non era il caso. Colleghi miei l’han fatto e continuano a farlo. Per me no, non è fattibile. Video intervista Christian Mocci, Il Condor [37], Visso (MC), 15 ottobre 2017 Da un anno a questa parte abito nelle roulotte e insieme agli altri ragazzi ho deciso di rimanere sul territorio per mantenere gli usi, le tradizioni e non abbandonare perché pensavamo fosse importante rimanere per dare un segno forte. A livello politico ci hanno abbandonato però abbiamo avuto comunque la forza di rimanere qua nelle roulotte. Il comune ci ha dato questo spazio a disposizione e siamo riusciti ad organizzarci la cucina, i bagni, ecc. La cosa brutta è che se vedi le casette dietro a me sono 20 contro 270 che ne dovrebbero fare. Avremo molte difficoltà nel futuro, la ricostruzione sarà lenta, anzi lentissima, si parla che il centro storico nemmeno lo rifaranno, però noi comunque vogliamo rimanere qua perché questa è la nostra casa, la nostra terra e dobbiamo rimanere qua. Noi tutti quanti che siamo rimasti dobbiamo ringraziare non lo Stato Italiano ma gli Italiani, grandissime persone perché la roulotte me l’ha prestata un amico che lavora con me, agli altri ci sono state donazioni, gli Italiani ci sono stati sempre vicino e grazie a loro siamo riusciti a rimanere qua e a vivere una situazione quasi normale nonostante abitiamo nelle roulotte, quattro pezzi di latta. Non è semplicissimo perché quest’inverno ci sono stati 3 metri di neve, questa estate 40 gradi, però siamo riusciti ad organizzarci. Siamo riusciti a vivere una vita normale nonostante alcuni non vogliono che rimaniamo: a livello istituzionale alto nessuno voleva che rimanessimo qua, invece siamo rimasti. Dopo la scossa del 24 agosto alcune case hanno avuto dei danni, anche la mia, ma non eccessivamente. Lavoro in Croce Rossa, il 26 ottobre dopo la scossa delle 19 i colleghi ci hanno chiamato perché controllassimo le case di riposo di Castelsantangelo e Ussita. Scendendo per andare a Ussita abbiamo sentito il terremoto delle 21, ed è stato brutto perché il mio collega non riusciva a guidare, ci è crollata la montagna davanti e abbiamo rischiato la vita, pensavamo di morire. Video intervista Angelica Sepi, La Lupara [20], Visso (MC), 13 ottobre 2017 Ho i nonni che sono nativi di una frazione di Visso, Fematre, che però si trova dall’altra parte della Val Nerina: prima ci volevano 10 minuti, ora che la strada è interrotta ne occorrono 45. Per questo motivo, io che lavoro a Visso tutte le mattine, sono qua al Bronx e dormo in roulotte senza la mia famiglia che, al contrario, è rimasta con i miei nonni poiché abbiamo anche degli animali. Vivere qui è brutto perché stai lontano dalla famiglia, non hai più una casa, non hai più il senso di familiarità, però quest’ultima è stata ritrovata grazie alla gente con cui vivo che ti fa sentire a casa: ormai siamo diventati tutti una famiglia. Tra le cose brutte del terremoto abbiamo trovato anche un po’ di amore, di serenità stando tutti insieme. L’evento brutto che conduce a conseguenze brutte ha portato, a parer mio, nuovi inizi. Spero e ambisco che questo paese, come anche quelli limitrofi, abbiano delle opportunità di rinascita e di ricrescita. Visso è uno dei borghi più belli d’Italia. Viviamo in dei luoghi che vanno apprezzati perché sono, se vogliamo, delle piccolezze, ma nella loro bellezza è come al sud: quando vieni a Visso, piangi quando arrivi e piangi quando te ne vai. Spero che, come dicevano, non ci lascino soli. Video intervista Patrizia Vita [48], Ussita (MC), 12 ottobre 2017 Sono nata e vissuta a Ussita fino ai 23 anni, poi sono stata via vent’anni e infine tornata nel 2012 con l’idea di costruire un nuovo progetto di vita sia professionale che personale. Avevo aperto un B&B a Sorbo, La Casa dell’Ortigiana: la mia idea era di creare un punto non soltanto dove dormire, ma dove far nascere idee, situazioni sentivo vicine. Il 24 agosto avevo otto persone al B&B, dormivo nelle dépandance nell’orto, non mi sono resa conto subito della situazione, solo quando è iniziato a cadere tutto a terra, ho capito quello che stava davvero succedendo e la sensazione terribile è stata: io ora esco, la casa è giù e gli ospiti sono morti. Così non è successo per fortuna. Da quella notte ho preso consapevolezza che quella casa lì non mi proteggeva più, non era più la mia casa, non era più un posto sicuro. Ci entravo solo accompagnata dagli amici: dal 24 agosto al 26 ottobre ho vissuto in una condizione di terrore. Avevo paura, paura che potesse succedere ancora. Razionalmente cercavo di combatterla questa paura perché la mia casa era il mio lavoro, mi dicevo che gli ospiti pian piano sarebbero tornati e che, assieme a loro, avrei ritrovato il coraggio di ricominciare e cacciare l’ansia. Poi è arrivato il 26 ottobre che ha decretato la fine del mio progetto. Sono uscita di casa con le scosse delle 19 e non ci sono più entrata. Dopo le scosse del 30 ho capito che non solo non ci sarei più entrata ma che la casa deve essere demolita. Dopo questa notizia, paradossalmente, mi sono sentita più leggera, la casa non sarebbe stata più il mio nemico. È stato il terremoto delle persone, abbiamo incontrato tante persone che ci hanno sostenuto, e per noi è stato fondamentale. Cosa possiamo fare per la comunità: ricominciare con uno spirito più collettivo e meno individualista. Dobbiamo essere consapevoli che questo posto sarà un’altra cosa ancora, che non sarà quello che era fino al 23 agosto. Io spero che siamo tutti consapevoli di questa cosa, che sarà tutto diverso con una comunità da ricostruire in un posto sicuro. Conoscere le persone per quello che sono e non per sentito dire o in base a ciò che mi raccontano, questa è una delle cose che ho imparato quest’inverno. La natura che ci circonda si può trasformare, si può arrabbiare, ci può far paura ma è il suo corso, siamo noi che ci dobbiamo adeguare. Non è il terremoto che uccide le persone, ma sono le case che uccidono le persone. Video intervista: parte 1, parte 2 |