Renato Marziali (Pastorello) [79], Ussita (MC), 23 agosto 2023 Renato: [13:30] Mi sa che ho finito, eh eh eh… Veramente devo dire che sì, la vita mia dal terremoto sia stata pure un’odissea ‘ché c’hanno portati al mare, da lì è ricominciato… aemo ricominciato a risalì piano piano, e dal mare so’ arrivato a Montecassiano, da Montecassiano a Cupi e da Cupi piano piamo semo entrati sulle casette. Veramente, questa teoria, chiamamola non lo so, che m’ero letta, ‘sti libri che m’ero letti m’hanno aiuto tanto, perché la filosofia, secondo me, aiuta tanto a vive. Non è una teoria fine a se stessa, la filosofia è un segno di vita. Qualcuno mi dice che so’ un maestro di vita io, perché la filosofia, secondo me, la filosofia e la religione sono due cose che ti aiutano e ti fanno sta’ tranquillu e quasci sempre contentu, si affrontano anche delle malattie, delle cose… Avemo affrontata la pandemia, che non è stata uno scherzo eh, e questa pure è un’altra cosa che, a quello che ho detto prima, quelli sulla città penso che so’ stati tanto tanto peggio de noi eh, ma tanto eh… Noi bene o male qui se scappava un pochetto eh, se faceva anche du’ passi magari da solo… [15:10]
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Alessandro Morani (Sasha) [50], Visso, 18 settembre 2023 Alessandro: [00:00] Mi chiamo Alessandro Morani, sono un commerciante, e dal novembre 2017 vivo in questa SAE [Soluzione Abitativa in Emergenza] di 40 metri quadri, dopo l’esperienza di quasi un anno di roulotte. Dal novembre 2017 appunto sto in questa SAE che è molto confortevole, mi ci trovo bene. Non è la mia abitazione però bisogna anche accontentarsi di quello che ci è stato dato dopo il terremoto. Ovviamente la mia vita è cambiata perché all’improvviso dopo il terremoto è cambiata: è cambiata con la SAE perché ho riacquistato la mia vita privata che prima, dovuta al terremoto, non ho più avuto perché ho vissuto con altri compagni un’avventura che abbiamo chiamato Bronx, con delle roulotte, circa 20 roulotte e circa 35-40 persone che poi via via con la consegna delle SAE a tutti i componenti è andato svuotando e poi è finito, anche se ogni tanto ci ritroviamo per qualche cena o per qualche festa, ecco. Altre cose importanti che sono successe da quel novembre 2017, circa 2 anni dopo ho riacquistato l’utilizzo del mio negozio, le mura del mio negozio, perché per due anni e mezzo ho praticato l’attività di commerciante in una casetta di 12 metri quadri, e poi grazie un po’ alla mia testardaggine, un po’ diciamo al fatto che sono riuscito a sbrigare le pratiche, è stata fatta il recupero della palazzina dove io ho l’attività, e quindi il mio negozio da aprile 2019 è tornato agibile, e quindi almeno quella, almeno quella diciamo cosa importante che è il lavoro, l’ho potuto riprendere nella mia vecchia mura. Poi dopo nell’arco degli anni sono successe molte cose, sono venute a mancare tante persone, soprattutto anziane, però sono avvenute anche tante nascite che purtroppo dal terremoto fino agli anni 2018-2019 purtroppo non c’erano state perché comunque il trambusto è stato enorme. Da quell’anno, dal 2019 ci sono state molte nascite e ai giorni d’oggi, nel 2023, ci sono addirittura tipo 15 iscritti al nido, quindi è un dato molto importante per la nostra vita sociale del paese, perché è un paese comunque piccolo che purtroppo prima del terremoto contava circa 1.200 abitanti ma ora siamo addirittura sotto i 1.000 abitanti, sotto i 1.000 residenti. Però bisogna guardare al futuro, guardare con un occhio benevolo e quindi queste nascite potrebbero essere per una nuova rinascita di Visso e di tutto il comprensorio dell’Alta Valnerina. Altre cose particolari io non ne ho da raccontare perché la mia vita è ripresa com’era prima del terremoto sotto il profilo lavorativo, anche se purtroppo venendo a mancare le seconde case, viene a mancare quel turismo che diciamo statico, cioè che sta almeno 15-20 giorni, un mese ad agosto, Natale un periodo di 5-10-15 giorni e comunque il periodo estivo normalmente i nonni venivano con i nipoti anche 2-3 mesi, adesso purtroppo mancando le seconde case è un turismo mordi e fuggi, e quindi ovviamente le persone che girano le vedi oggi ma il pomeriggio già ripartono, perché purtroppo chi c’ha casa soprattutto il 90% a Roma, è ovvio che la distanza non permette di venire su troppo spesso, però anche sotto questo profilo il 2023 è un anno dove si vede una buona ricostruzione, quindi un buon 60-70% delle abitazioni fuori il centro storico sono iniziate ad essere ricostruite, demolizioni e ri-inizio delle ricostruzioni e quindi io penso che nell’arco di 2-3 anni, almeno al di fuori del centro storico di Visso, un buon 40-50% delle abitazioni torneranno agibili, e questo sarà un altro passo importante per il futuro di Visso perché permetterà ai residenti di tornare nelle proprie e di non stare nelle SAE, ma anche avere possibilità di alloggi come seconde case per il turismo e quindi bisogna avere questo sguardo positivo per il futuro, tanto peggio di quello che abbiamo vissuto non lo so quello che potrebbe avvenire, per cui bisogna guardare con positività e questa è un altro dato importante. È di questi giorni invece la demolizione della mia abitazione che è nel centro storico, è un’abitazione che aveva circa 200 anni, però a causa del sisma gravemente danneggiata e la demolizione è stata fatta per permettere poi, successivamente rimosse le macerie, fare una strada che permetta ai camion di entrare nel centro storico e poter finalmente anche iniziare i lavori proprio anche all’interno della piazza e quindi non essendo in modo… non vivendo la vita in modo egoistico ho detto, va bene, casa mia viene demolita, la rivedrò però tra 10 anni almeno, perché comunque prima deve essere rifatto proprio la piazza, poi inizia la via appena successiva al centro storico dove ho l’abitazione, per cui dovrò vivere ancora in questa casetta, forse a essere positivo 7-8 anni però, come ho detto all’inizio, mi ci trovo bene, è confortevole, d’inverno si sta bene sono abbastanza calde, d’estate, tutto sommato se non fa i 40°C costanti per tantissimi giorni comunque si vive bene anche senza climatizzatore. Diciamo che è un villaggio, questo del campo sportivo dove io mi trovo, dove ci sono circa 40 SAE, ci conosciamo tutti e diciamo è una vita abbastanza diversa da prima dove eravamo tutti sparsi per il paese e adesso siamo ovviamente tutti vicini, dobbiamo, dobbiamo anche accettarci con tutti i nostri difetti perché ovviamente vivere in comunità così non tutti c’erano abituati: io venendo da Perugia ero abituato ad un condominio di 36 famiglie, quindi un po’ l’idea ce l’ho, però ovviamente non tutti erano abituati, per cui non devi far rumore, devi rispettare le ore di silenzio, ci sono i bambini che dormono in certi orari quindi devi stare attento, quindi rispettare il prossimo, ecco… molti devono impararlo di nuovo, io devo ricordarmi quello che dovevo fare a suo tempo… per cui chiudendo diciamo che posso dire il mio sguardo al futuro è più roseo rispetto a 7 anni fa, al 2016 quando c’è stato il terremoto, quando sinceramente era una catastrofe: non c’erano più le case, non c’erano più gli abitanti, anche perché noi del Bronx eravamo 30-35 come ho detto e tra militari ed esercito e vigili del fuoco, saremo stati un 100-150 persone a Visso che ovviamente rispetto, voglio dire, ad agosto 2016 quando c’erano circa 7-8.000 persone è un dramma non indifferente da accettare. Certo, qualcuno ha deciso di andarsene. Ti veniva… poteva venirti la voglia di abbandonare tutto perché ovvio, in quel modo… in quel momento ti cade il mondo addosso, però io come altri abbiamo resistito e ad oggi forse questa resistenza, resilienza, forse è servita a qualcosa perché qualcosa sta ripartendo, come ho detto, anzi molto più di qualcosa e Visso lo vedo con un futuro di nuovo roseo, con una popolazione di nuovo in crescita secondo me e quindi nell’arco di 3-4 anni forse avremo nuovamente un po’ di turismo, a Visso abbiamo una nuova piazza che comunque non sarà la piazza di prima, però in attesa di rivedere la vecchia piazza da parte dei vissani, è comunque un punto di aggregazione, un punto di ritrovo, un punto dove l’estate comunque si possono organizzare qualche spettacolo e vedere un po’ più di gente, un po’ di movimento e quindi ripeto: è guardare con ottimismo, guardare il bicchiere mezzo pieno e non mezzo vuoto, perché tanto ormai piangerci addosso non servirebbe a niente e quindi ecco, la speranza è che Visso torni quello che era prima. Nel 2016 la speranza c’era ma, ovviamente, era più una speranza e non una certezza… Oggi posso dire che ho la certezza che Visso tornerà, tornerà Visso, Ussita, Castelsantangelo [sul Nera], tutti i paesi terremotati torneranno. Ci vorrà ancora del tempo e pazienza, però giorno dopo giorno io vedo miglioramenti e quindi se la salute ci assiste vedremo di nuovo Visso ai suoi splendori, com’era prima, tra 10 anni secondo me rivedremo Visso com’era prima del 2016. Un saluto a tutti. Pierfrancesco Gallo (Peco) [53], Ussita, 25 agosto 2023 Pierfrancesco: [04:02] … Ho degli ottimi vicini. Ho avuto ed ho degli ottimi vicini, veramente sono stato molto fortunato in questa cosa. Devo ringraziare la mia vicina [Patrizia Vita], la mia è l’ultima casetta di una schiera, quindi ho soltanto un’altra casetta attaccata e di là no, c’è il giardinetto. E la mia vicina era anche la mia vicina di camper [Patrizia Vita], quindi la ringrazio ufficialmente come le ho sempre detto, perché è stata lei che mi ha detto «segnamoci per quest’area» qui che si chiama Forapezza. […] Abbiamo un ottimo rapporto tra di noi, facciamo delle bellissime cene sociali qua davanti. […] Mi sono recentissimamente segnato alla neonata associazione bocciofila di Ussita, il che appunto… sono il più giovane socio dell’associazione bocciofila di Ussita e questo la dice lunga, però ecco, iniziano ad esserci dopo tanti anni, iniziano ad esserci delle attività extralavorative-sociali che accomunano un po’ di persone di questo paese, che notoriamente non sono molto unite tra di loro. Sicuramente come tutti sappiamo il terremoto ha influito molto più sulle teste che sulle mura, secondo me molto più sulle teste che sulle mura: in psicanalisi è uno shock post traumatico* quello che stiamo vivendo e che abbiamo vissuto, è proprio studiato, c’è una piccola branca che studia proprio la situazione dei terremotati, e quindi comunque è bene che la gente se ne renda conto, perché se si pensa di essere normali come prima, i conti non tornano. Abbiamo subito dei traumi, bisogna reagire a questi traumi, o con l’aiuto di qualcuno o comunque sapendo di averli subiti, con l’aiuto di noi stessi. Sono soddisfatto, diciamo non mi lamento, il lavoro va bene, ho anche girato un film nei mesi passati che speriamo si veda presto, che non è un documentario sul terremoto ma è veramente un film fatto da un ragazzo di Firenze che studia all’accademia nazionale del cinema di Berlino, sponsorizzato dall’accademia nazionale del cinema di Berlino e sono molto curioso di vedere com’è venuto. L’abbiamo girato in amicizia con un’amica, insomma eravamo tutti amici: gli attori eravamo tutti di qua, poi è venuta questa combriccola di pazzi da fuori, è stato… sono stati dei mesi divertenti. Un’esperienza interessante oltre che divertente. Quindi abbiamo conosciuto delle persone nuove, che qui mancano perché in realtà non c’è quasi più nulla da fare. [07:36] *Disturbo da stress post traumatico (PTSD), vedi Istituto Superiore di Sanità Patrizia Vita [54], Ussita, 11 agosto 2023 Patrizia: [01:40] … io ho la fortuna di essere in una soluzione abitativa molto piccola rispetto alle altre che sono ad Ussita però è un cambiamento importante nella modalità di approccio, perché noi che vivevamo quasi tutti in frazioni con pochissime persone per ogni frazione e quindi, nel bene e nel male che può esserci in questo, vivendo in maniera abbastanza solitaria, ovviamente ci siamo ritrovati ad avere dei vicini, dei dirimpettai, delle persone che hanno una vita diversa dalla tua, che conoscevi di vista ma che di fatto poi alla fine non ti conoscevi perché ovviamente la conoscenza è altro di quella che è una conoscenza superficiale. La mia fortuna è che insieme a me, nel contesto sia pre che dopo sisma, come me ci sono delle persone che negli ultimi avevo della relazioni, non tutte ma con molte, avevo delle relazioni importanti, e dunque questa ha tranquillizzato anche un po’ tutti noi. Ci siamo resi conto poi, vivendo tutti insieme che forse è stata una fortuna, forse è stata una coincidenza o forse siamo bravi noi, questo è tutto da dire, senza nessun tipo di forzature, senza nessun tipo di… come se fosse la cosa più naturale del mondo, ci siamo trovato a vivere molto bene tra di noi, almeno diciamo suddividendoci un po’ in casette, cioè c’è un’armonia, non ci sono mai stati degli screzi, non ci sono state problematiche legate al nostro vivere qua e quindi ti rendi conto che ovviamente, sì è vero, devi ricostruire la tua casa, devi fare tante cose però alla fine non si sta troppo male in questo posto: c’è un po’ il mutuo aiuto del vicino, prendimi questo, fammi questo, sto fuori facendo un aperitivo con gli amici, se mi fa piacere ti invito sennò «ciao, come stai», cioè veramente massima massima libertà. Detto questo, ovviamente, per quanto mi riguarda, l’aver messo piede in questa casetta sì, mi ha permesso di ricreare quello che poteva essere un habitat. Io vivo in una Soluzione Abitativa di Emergenza [SAE] da 40 metri, che è la metratura destinata ai single e alle coppie, ho un pezzo di giardino davanti, quindi diciamo che per molta parte del tempo vivo un po’ fuori. Ovvio che essendo una Soluzione Abitativa d’Emergenza, dovendo vivere qui per tre anni, questa poteva essere una buona soluzione, ovviamente non posso ospitare amici, non posso… cioè la mia modalità di vita, rispetto a quella che era prima, dove la mia casa era sempre piena di gente, in questo momento è un po’ sacrificato, nel senso che le relazioni che io avevo fuori dal mio paese, che erano la maggior parte, in qualche modo le curavo spostandomi io o ricevendo amici in casa. Con un unico divano letto e un’unica stanza da letto, questo ovviamente è molto complesso e quindi […] ci siamo dovuti riadattare tutti ad una cosa che per l’ennesima volta non abbiamo scelto, però sicuramente, appunto quello che è importante, è importante… io ho scoperto due cose, molto belle, con questa Soluzione Abitativa d’Emergenza, che con le persone giuste è bello vivere insieme, perché appunto nel periodo che ho vissuto a Sorbo [frazione di Ussita] che avevo il B&B [La Casa dell'Ortigiana], avevo una dimensione molto solitaria e molto indipendente, molto centrata solo su me stessa, in questa soluzione qua invece in qualche modo riadattarmi, ma è stata una roba che è venuta in maniera davvero naturalissima. La seconda cosa è un fiume [Ussita], nel senso che io vivendo a Sorbo, ovviamente non c’è il fiume perché è in alto, e vivendo qua mi sono resa conto che sento la bella energia del fiume che è vicino le nostre casette, nel bene e nel male… è più umido… però anche proprio sentire, stando la sera fuori seduta, il suono del fiume, perché poi il silenzio c’è, è comunque un’altra modalità di vivere questo paese. Mi ha fatto scoprire parti di paese che non conoscevo, perché ero molto concentrata nella mia frazione, e invece qui… posso non prendere la macchina per andare a fare la spesa perché la nuova area commerciale è a 3 minuti a piedi da qua, ci sono un sacco di strade piane, e la sera si fanno un sacco di giri, le passeggiate, accompagni i tuoi amici a spasso con il proprio cane, o le amiche. Quindi diciamo che c’è una modalità di vita completamente diversa. Ovviamente questo lo dico adesso, questo è il quinto anno che sto qua dentro. Io non appena sono entrato in questa casetta, diciamo che sono crollata: l’adrenalina dell’emergenza è andata scemando, ed è iniziato quel periodo che ognuno di noi ha poi vissuto, dipenda da quanto, che è la depressione e quindi diciamo che inizialmente non accettavo questo posto, non mi piacevano tante cose. Ad un certo punto, ovviamente Emergency era presente nei territori con i servizi di infermieristica e di psicologia, e quando mi sono resa conto una sera che il livello in cui stavo non era un livello che mi piaceva più, che non mi stavo più riconoscendo, ho deciso di intraprendere una terapia con loro, ed è stato un percorso importante e fondamentale, risolutivo diciamo per il mio voler stare qua, per accettare tutto quello che man mano mi sarebbe accaduto, mi stava accadendo in quel periodo lì, quindi anche il fatto che ti devi trovare un lavoro stabili altrimenti non sai come andare avanti, dal momento che non hai pensato minimamente cosa poter fare e cosa voler fare di tutto questo, quindi cioè tutta una serie di certezze venivano minate, e diciamo questo percorso inizia… lo porto avanti fin quando appunto non arriva l’ennesima situazione che colpisce il mondo, e che è la pandemia… [08:42] Francesca Sbriccoli, Sabatino Riccioni [69], Ussita, 17 maggio 2019 Francesca: Io mi chiamo Francesca, Sbriccoli tanto non m’importa niente, l’età non te la dico. Te dico quella de Sabatino che ce n’ha 69, io molti di meno e…. il 26, cominciamo dal 26 agosto… Sabatino: No il 24. Francesca: Il 24 una nottataccia perché sapete quello che è successo… Sabatino: Alle 3 e rotti è arrivato il terremoto e noi, due giorni dopo, siamo andati a Colorito [camping] dai preti. Francesca: Abbiamo dormito, ci siamo stati fino… Sabatino: … al 20… Francesca: … che era il 30… Sabatino: … il 20 di ottobre. Francesca: Il venti d’ottobre? Sabatino: Che avevamo deciso di rientrare a casa, perché a casa non è che gli aveva fatto molti danni, e avevamo aggiustato il tetto che l’aveva spaccato. Abbiamo provato la sera prima del terremoto [del 26 ottobre 2016] il focolaio che c’era, se tirava, se non tirava il fumo, perché l’avevano abbassato un pochettino che era caduto. E purtroppo il giorno è arrivato… Francesca: … no il giorno dopo… Sabatino: … eh, sì il giorno dopo… Francesca: … la sera che c’era acceso il fuoco, no? Sabatino: No. No la sera che c’era acceso… o sì? Francesca: Sì! Sabatino: Ah, la sera del 26. Sì. Francesca: Che erano pronti i tortellini, veramente. Sabatino: La sera del 26 avevamo acceso il fuoco, stavamo mangiando però non eravamo ancora rientrati a casa. Mangiavamo a casa e dormivamo sempre su a Colorito, dai preti. Eh, è arrivato la prima scossa verso le 7, che stavamo a cena, e purtroppo siamo usciti, siamo usciti. Pioveva. Siamo andati sotto la casa da un altro tetto vicino, perché non ce fidavamo della casa, e siamo partiti. Abbiamo spento tutto. È arrivato il figlio, Stefano, e siamo andati su a Colorito, per andare sulla casetta di legno a dormire. Siamo entrati dentro, c’erano altri amici, Carlo e Secondina, che c’avevano il bar a Ussita, che c’avevano la stanza e noi un’altra; il bagno in società, insomma. Mentre stavamo qui è arrivato quello delle 9 [di sera] del 26 ottobre che c’ha tolto le finestre, porte, sportelloni, armadi sopra i letti, c’ha buttato tutto per aria. Francesca a imboccato la via dell’uscita e l’ha sbracata in mezzo al piazzale davanti la casetta, finché non è finito il terremoto non je l’ha fatta a rialzasse. Francesca: Ero tutta nera [di lividi] io, non mi sono accorta di niente, non mi faceva male niente. Sabatino: Tutta la notte, dopo, dal 26 via… una [scossa] ogni cinque minuti, sei minuti, sette minuti, è stato un bombardamento. Bububuum. Tant’è vero che da Colorito, sotto c’è [lo stabilimento] la Roana, l’acqua, io pensavo che andavamo giù, perché io guardavo per terra, e dico qui si apre la terra annamo giù a valle dalla Roana, perché… Francesca: Gli strilli!! Sabatino: … era una roba pazzesca. E in più abbiamo fatto un giretto quando che è finita ‘sta botta, per vedere le case se com’erano, come non erano… E erano messe male, tutte quante. Siamo andati, con Bruno Falconetti che c’aveva il bar, dice andiamo a vedere intorno a Sorbo [fraz. di Ussita], dalla provinciale se si vede… e purtroppo era[no] massacrate. E niente, da lì abbiamo cominciato a vedere quello che dovevamo fare. Noi da Colorito siamo scesi… no! Francesca: Sì! Oramai era deciso che dovevamo rimanere l’inverno lì… Sabatino: Sì. Dovevamo… Francesca: … perché avevano portato anche per mettere della breccia intorno, anche per la cucina si stavano organizzando, e invece la mattina ce semo alzati… io sono scesa con quell’amica mia… Sabatino: No, questa era la domenica. Francesca: Eh, beh, questo è il giorno dopo che ha fatto… Sabatino: Il 30. Francesca: … il 30. Sabatino: Il 30 mattina… Francesca: Io sono scesa… Sabatino: … siccome la lavatrice era giù al campeggio, dice, andiamo a lavare i panni e li mettiamo su, perché siccome c’era la fila, andiamo presto e li riprendiamo presto. Io sono andato giù perché c’avevamo i nipotini e Stefano con le bestie, Michela, stavano su una casetta giù al campeggio e io mi stavo allacciando gli scarponi addosso alla macchina, è arrivata questa del 30 mattina. 30 mattina una cosa pazzesca, perché… oltretutto non hai fatto manco in tempo ad alzà gli occhi che s’era oscurato tutto di polvere: Castelfantellino, la Valle… più era ripartita Francesca con questa amica, Secondina, che riandava a Colorito sotto al Monte Bove che se sentiva una cosa pazzesca. Francesca: Veniva giù tutti massi, tutti sassi. Sabatino: I massi. Bububuuum. Le piante che te venivano sopra. Stefano era andato al maneggio per vedere le bestie, s’è fermato, gli era sembrato di aver bucato e invece era[no] i sobbalzi che gli faceva fare il terremoto. Io via, mi sono messo a corre[re] e sono entrato dentro al campeggio, nella prima casetta c’era Michela coi nipotini, per dargli una mano che ancora stavano dormendo. Pori monelli so’ rimasti paralizzati, perché da… E da lì, verso le 9 è arrivato il sindaco, ha detto: qui, a mezzogiorno, tutti fuori. Tutti via da Ussita. Chi ha la macchina va via con la macchina, chi non ha la macchina arriva il pullman li carica e tutti a [Porto] Sant’Elpidio a Mare a… allo smistamento. Deportati insomma. Francesca: Purtroppo la cosa brutta è quella. Come se fa… Sabatino: Per me ha fatto una cosa fatta bene. Parlamose chiari. All’attimo. Però dopo non siamo più stati seguiti, non siamo stati più… Per carità… Però all’attimo doveva esser così. Non se poteva stare lì perché… Francesca: Beh, non c’era le case. Sabatino: … ogni due o tre minuti c’era una scossa madornale. Non è che… sembrava proprio una pentola che bolliva! Boboboom! Boboboom! Boboboom! Non poteva da rischià da lascià la gente… infatti invalidi, cose è stato un massacro. La partenza. Noi siamo arrivati a La Sfercia [fraz. di Camerino] sul punto lì della superstrada che c’era il bar prendere qualche cosa, perché era mezzogiorno e mezzo l’una, per mangiare qualche cosa, i bambini s’era fatti tutti e due la pipì sotto perché la paura è la paura. Francesca: Eh! Tosta. Tosta. È stata tosta. Sabatino: E siamo andati a [Porto] Sant’Elpidio. A [Porto] Sant’Elpidio all’Holiday. Francesca: Pieno di gente: Camerino, Caldarola Sabatino: Eravamo… Se te perdi manco li ritrovavi, perché noi eravamo abituati a cinquanta persone, a cento persone… Vai laggiù tutto pieno, tutto pieno. Per fortuna avevano deciso qui, o il sindaco o il vicesindaco, dice guarda: Ussita tutti da una parte perché già c’abbiamo un campeggio che… li aspetta. Allora ci hanno inquadrati e siamo andati giù. Francesca: Tutti fuori di testa. Sabatino: Embè. Francesca: Fuori di testa. Io mi ricordo solo che m’ero messa seduta in quel muretto appena entravi a Bellamare [camping a Porto Sant’Elpidio]. Cioè, se non c’era Michela, io con la carta d’identità… io non me ricordo niente. Dopo c’hanno dato i lenzoli, le coperte. Andate giù. Tutto… come un sogno, no? Così! Poi dopo pensavi a quei due piccoletti, perché quelli come solo sentivano il vento (1) già… capito? Piagneva. Eh! Facevano «Ecco il terremoto!». La notte Michela tante volte s’è dovuta rialzare. Eh… Poi c’emo passato un anno? Sabatino: Diciotto mesi. Francesca: Un anno. Diciotto mesi. Sabatino: Anche anche. E sì. Francesca: Diciotto mesi. Mmm. Però, tutto sommato, noi abbiamo trovato persone bravissime, anche amici, perché adesso veramente bisogna dire la verità. Però non è casa tua. Non è il posto tuo. Tanto casa manco questa è la tua, però non stai nel tuo ambiente. Capito? Sei un po’ fori… fori de testa. Sicuro! Sabatino: Oltretutto 24 ore su 24 ore non sai come passà il tempo, perché fai, prendi il giornale, leggi il giornale, guardi la televisione, però non è… non era una vita da montanari come eravamo abituati noi, che magari con le bestie c’hai da fa questo, c’hai da fa quello… Laggiù non c’hai niente da fa. Neanche al mare perché non ce piaceva… anzi… se te bagnavano i piedi scappavi via! Dunque… Francesca: È stata dura! Ma ce l’abbiamo fatta. Sabatino: Però siamo stati via… Francesca: Ce l’abbiamo fatta! Poi dopo pensavi… Allora: Stefano stava quassù, vabbè veniva su Michela, però sapevi tutti i problemi che c’erano… Noi con quei due bambini laggiù, dunque… Sabatino: Li dovevi accompagnare all’asilo. Francesca: … per fortuna! Sabatino: È vero! Francesca: Perché sennò eravamo annati via de testa. Poi pensavi quell’altro figlio, Giuseppe, che stava qui prima sotto la tenda, poi insomma è stato tutto un putiferio così, guarda. Per carità! Non… non se augura a nessuno. Però mai uno avrebbe pensato a una cosa del genere. Io lo dicevo pure ieri. Se c’avessero detto un po’ anni fa guarda che deve succede questa cosa, noi avremmo detto «Ma che state a dì!». Eh. Sabatino: Però quello che pensiamo adesso, che c’hanno dato questa casetta… Francesca: Se sta bene… Sabatino: … se sta bene, se sta caldi, tutto quanto, però siccome ci dobbiamo tirare le gambe qua dentro, pensavamo anche da stare un tantino… non dico tanto… gli scarponi invece da lasciarli ad acqua e vento, da metterli dentro la casa. Una stanzetta. 40 metri so’ 40 metri, devi sta’ proprio… risicato, perché sennò non c’hai manco posto da… da fare niente. Francesca: Eh vabbè. È andata così, apposto. L’importante… tanto noi, noi casa non… Sabatino: Noi non la ricordiamo. Francesca: … non la vedremo più. Sabatino: Quello sicuro. Francesca: E, io una volta ho detto che mi piacerebbe rivedere come riviene Sorbo [fraz. di Ussita], perché noi semo de lì… Lui: «va bene, lasciamo il numero a Michela, ce manna su una foto. Eheheh.» Sabatino: Ahahah. Francesca: Quindi stiamo tranquilli che lo rivedremo. Eh, dopo tre anni che non hanno smosso niente. Noi come semo usciti da casa, lì era così e così è! Sabatino: La più cosa sporca che c’è, prima di tutto il prezzo delle casette, che una tira l’altra… più o meno gira attorno ai 4 mila euro al metro. Con 4 mila euro al metro, se c’avevano dato i soldi, noi c’eravamo rifatti casa e stavamo apposto. Prima cosa. Anche che dovevamo ritardare un anno, due anni. Però questa è una vergogna, solo questo. Più, fanno portare via le macerie addirittura a 70 chilometri, senza chiamare una persona di, che c’abbiamo delle cave che sono vuote, da riempire, che potevano fare lo smistamento locale i tre comuni, Visso, Ussita, Castello [Castelsantangelo sul Nera] minimo… c’abbiamo qui a due passi. Dunque. È una vergogna. Senza far lavorare la gente locale e affamarla. Ed è una cosa. Più? Tutta questa gente che è girata? Con tanto di rispetto ai vigili del fuoco, con tanto di rispetto a tutti, qui le case chi cazzo l’ha svaligiate? Parlamose chiari! Se non c’era nessuno, i controlli c’erano! Allora? Quelli che sono entrati! Eh! A ‘sto punto, è questo, la valutazione del paese. C’erano carabinieri, forestali, guardia di finanza, vigili del fuoco, militari che ancora ce l’abbiamo… Ma questa gente, quando entrava uno in un paese che volevano questo, quello e quell’altro, li contavano la gente che stava dentro la macchina? Entravano in cinque ne usciva uno… quell’altri che facevano, preparavano per il giorno dopo? La Regione non ne parliamo. Sono venuti a fare i bell’imbusti quando è stato inaugurato un bar e un alimentari… Questo si deve vedere? È una vergogna, bella e buona. Non è una Regione. Tutta ‘sta burocrazia. Uno ha aperto una finestra, c’ha casa demolita, per ripartire se c’ha una B (2) bisogna fare il condono, su quest’altro devi fa’ quello, quell’altro deve fa’ quell’altro sennò non si parte. Ma che è? C’è stato un terremoto o non c’è stato un terremoto, sennò sciacquateve dai cojoni, no? Eh. Francesca: La finale è che casa non ce la rifaranno mai. Sabatino: Quello è… Francesca: Però domani… ci sentiranno! (3) Sabatino: Sì? Francesca: Eheheh. Domani ci sentiranno! Sabatino: Ah beh, domani vai a Roma, allora… Ci stanno i parlamentari che vi guardano dalla finestra, no? E dicono: guarda ‘si deficienti ancora vengono giù a fa’ li sverti. Francesca: Bisogna falli. Sabatino: Perché ci prendono per i fondelli, oppure per il culo, non lo so com’è meglio, ‘ché loro pure me sembra che quando parlano non siano così delicati, eh… Non è che sono dolci. Francesca: Comunque. Bisogna vede’ adesso, bisogna solo pensa’ a fa bene… Sabatino: Però, se stiamo bene, non ce ne frega più niente. L’anni ce l’avemo. Francesca: Sei tu che sei vecchio. Eheheh. Sabatino: Bello questo. T’aiutano, per la discesa, no? Oltretutto te mando anche in giro a fa le domande. Allora? Stregnemola la questione. La matassa… bisogna strignela. Fa la ioma. Arrotolalla. Ah… Sennò non se finisce. Però siccome a questi non gliene frega niente. Da una parte je entra, da quell’altra je esce. Uno più o uno meno che gliene frega a loro. Loro stanno tranquilli. Francesca: Mmmm. Sabatino: A questo punto Mauro non lo so. Che te devo aggiunge? Basta. Francesca: Hai parlato troppo. Sabatino: Sì, perché dopo me pijano le madonne… Francesca: Eheheh. Sabatino: … e non je la faccio più a… regolamme. Francesca: L’importante è che curino queste… Sabatino: Eh, quello sicuro. Tenessero le casette… Perché già da 5 anni, hanno detto che sono passati a 4 di… [garanzia] Francesca: Un altro po’… Eheheh Sabatino: Oltretutto c’hanno fatto le casette che erano per il mare… o per le pianure, coi tetti piatti… che se fa una nevicata ce schiaccia giù sotto… Speriamo che sia leggero lu tittu, sennò ce fa crepà quassotto. Se non c’ha ammazzatto lu terremoto c’ammazza la casetta, allora non… Tiri la maniglia e te ‘rmane sulle mano. Vai ad aprì l’acqua… lu lavandino non se apre oppure gira tutto e l’acqua scappa de sotto. La tazza fa questo, quell’altro fa quell’altro. Le puzze non ne parliamo perché, anche che stiamo in montagna, forse le pendenze loro non le capiscono, perché sennò de solito diceano che la merda va sempre in i’gnò. Invece non… non je la fanno manco a mannalla via, l’hanno trattenuta sotto la casetta, capito? Questo è… è un bel lavoro… è un bel lavoro. Se non sai da’ la pendenza, a 800 metri, 850… quanto stamo qui. Dunque pensa un po’ a che livello stamo. Questi sono i grandi architetti, geometri, ingegneri… non lo so io chi cazzo hanno chiamato. A parte che hanno pijato li quattro poracci che li annavano a carcà, oltre Italia eh, non voglio dire dove… però andavano là, ne pijavano 40-50, non avevano fatto mai questo lavoro… Le mattonelle, se c’hai le ciabatte, tocca sta’ attento sennò t’ammazzi dentro casa perché una c’è un dito dall’altra che sta staccata per aria. I termosifoni perdono acqua dappertutto. Non lo so io, boh! Francesca: E c’è andata bene. Sabatino: E c’erano delle ditte locali che stavano a morisse de fame. Però queste nessuno le ha interpellate… perché ce dovevano magnare sopra. ‘Na vergona! Francesca: E dire che a noi c’è andata bene. Sabatino: I controlli non si sa chi li doveva fare. Non ci sono stati controlli, perché sennò non poteva esser così. I portoncini di casa sono per interni, non sono per esterni. Siccome quando piove l’acqua entra dentro casa, la neve viene dentro casa. Allora tutta l’umidità fracida i portoncini. Dopo ce l’hanno detto: sono portoncini da interno, non da esterno. Non lo sapevano dove andavano? Allora che ce l’hanno portate a fa’? Carogne! Basta, non te dico più niente perché già me pijano le madonne. Francesca: Già è agitato. Super agitato. Sabatino: Beh. Francesca: Apposta devi veni’ a Roma. Sabatino: Questa è la realtà. Non è che dicemo le fregnacce. Compreso il Capo dello Stato eh. Francesca: E c’è andata bene! Sabatino: Che c’è venuto e c’ha detto «Non vi lasceremo soli» Francesca: Eheheh. Sabatino: E ‘na madonna. Certo! C’abbiamo l’accompagno qui. Non ci lasceremo soli. Ah, non lo so io. Non s’è visto più nisciunu. Cerescioli è arrivato dalla Regione, a fare lo sverto. Francesca: Ma che voi fa? Sabatino: Oppure coso… Sciapichetti: un nome ‘na garanzia! Francesca: Comunque. Tanto è andata così ormai, è inutile arrabbiarsi. Sabatino: Però purtroppo è così, paesi piccoli non contiamo niente, perché che contiamo? Noi siamo 300 persone? 300 voti. Vanno a Civitanova [Marche] una palazzina ne fa 400. Allora che conti, non puoi contare. Allora però lo dicessero. Se dobbiamo andare via, ce devono dire chiaro e… «Andate via perché ‘ete rotto li cojoni». Ecco. Il Parco [Nazionale dei Monti Sibillini] ha fatto la parte sua, e noi, ne parlo perché c’abbiamo il bestiame: mio figlio, non io. Io sto in pensione. Quella poca che m’hanno dato. Dunque: non ci possiamo più permettere di pascolare in alta quota, non ci possiamo permettere… I pascoli non ci sono più. Una riunione del parco, gli abbiamo detto i pascoli non ci sono… [Hanno risposto:] Dovete farli ripulire al bestiame. Allora gli è stato detto: se gli compriamo le motoseghe perché ci sono alberi grandi come un palo di luce… Non lo so io chi li deve ripulì ‘sti parchi! Questi pascoli! Come si fanno? Una fonte non c’è più. Però c’abbiamo il camoscio in alta quota. Questo è importantissimo per l’Italia… per le persone no! Perché tanto vale più lu camoscio che mille cristiani intorno qui a ‘sti tre comuni. Francesca: Do’ sti i mille? Sabatino: Beh, tre comuni, pressappoco lo famo, via. Cervi. Per carità, ci vogliono, allora bisogna che li mantieni. Noi prima di uscire con le mucche ci fanno vaccinarle. Prima di uscire con le pecore ci fanno vaccinarle. Queste bestie loro, che sono loro per la voce. Se fanno i danni non sono le loro. La bestia mia sì, perché sa va addosso a una mucca io devo pagare, se va addosso a un cervo? Loro non pagano niente perché c’è il parco! Allora me sembra che quessa è una legge forilegge. Ecco quello che è! Non è una legge fatta come va fatta. Fontanili non ci sono. Pascoli non ci sono. Ma che cercamo? Venite a vederlo, no? Noi siamo ad Ussita e vi aspettiamo. Chiamatemi. Io sono alla SAE [Soluzione Abitativa in Emergenza] numero 37, Riccioni Sabatino, 69 anni e me so’ rotto li cojoni. Oltretutto c’abbiamo una bella aziendina che potrebbe andà veramente bene, però non si va avanti così! Francesca: Finito? Sabatino: Sì. Francesca: È dieci volte che lo dici basta. Poi eheheh… Sabatino: Francesca, tu? Non gli dici niente? Francesca: Sto zitta, perché ‘i detto tutto tu. Sabatino: Eh. Acconsenti allora. Metti la firma. Acconsenti. Francesca: No. In certe cose no. Perciò dopo annamo in discussione. Sabatino: Ah no? In certe cose no? Francesca: In certe cose no. Sabatino: Quale? Quale? Francesca: Tante. Tante. E allora… Sabatino: Me cojoni! Francesca: Eheheh. Sabatino: Va beh! Francesca: E allora sto zitta. Sabatino: In ogni modo ringraziamo sempre dio che non c’ha levato la pelle. Francesca: In ogni modo, quando lo senti… ancora l’altra sera… Sabatino: Embè. Francesca: … l’altra notte è stato bello… Sabatino: Alle 4 ti arriva quelle schicchere! Francesca: … non è che riesci più a dormire! Anche che… Sabatino: Dopo se non è… Chi non l’ha sentito… Perché qui c’è gente che parla parla e lu terremoto non l’ha sentito eh, non è che dici…. Sennò se avrebbero sentito il terremoto, tutte ‘se stronzate non andrebbero avanti. Perché è così. Francesca: Loro non hanno… C’è gente che ha sentito appena quello del 26… Sabatino: … del 24 agosto. Francesca: … del 24 agosto Sabatino: Che da noi, sinceramente, non aveva fatto… qualche filatura… Francesca: Sì, era stata forte ma… non è che… Sabatino: … non aveva fatto danni eccessivi. Francesca: Ma noi l’abbiamo! Voi non avete sentito proprio niente. Quello del 30 penso che. Sabatino: Però per me il peggio che è stato, quello del 26 alle 9 [di sera]. Il 26 alle 9 io pensavo veramente che… Francesca: Il 26 alle 9 le aveva le case tutte… come te posso di’… tutte allentate. No? Dopo quello del 30. Chiaro. Però a vede’ una cosa del genere. Noi eravamo quasi arrivate su a Colorito che te giri e vedi… Sabatino: Ma le piante oh… Francesca: Fontignano, le cime… Sabatino: … le piante alte 20 metri… Francesca: … così. Sabatino: … te se accovacciavano sopra, mica madonne. Francesca: È stata una cosa… Sabatino: Perdio. Francesca: Giratte e non vede’ più niente. Sabatino: Io sinceramente. Francesca: Vedevi tutta la polvere. Tutto fumo. Non capivi più. Dicevi: ma che sta a succede? Infatti come lo senti, non ho paura nel senso che dici «Tanto qui non… Speriamo che qui non succede niente» Sabatino: Però adesso siamo dentro la casetta, tutto quanto, vediamo che è partite queste strade per comunicazioni, ma con tutti questi milioni che stanno spendendo… milioni di euro spesi male. Spesi male. Perché non si può spendere tutti questi soldi per una strada di montagna che è stata fatta da una ruspa e 4 mine. Dunque se è stata fatta a quei tempi, 50-60-70 anni fa che è stata tagliata la montagna, quello di monte è stato messo a valle, ci sarà un riporto di 2 metri e quello si è mosso. È un riporto. Allora tagliamone altri 2 metri e riportiamola a destra, da sinistra a destra e abbiamo risolto. Che so’ tutte ‘ste stronzate che vanno facendo. Questi sono soldi buttati via. E bisogna che la gente lo sa, perché è così. Francesca: Lo sanno tutti. Sabatino: Solo le stronzate vanno avanti. Oppure lo dicessero chiaro e tondo: qui ce deve magnare Tizio, Caio e Sempronio. Nessun altro. Manni per aria tutti oppure metti a stipendio. Con tutti ‘sti sordi con cui hanno messo in sicurezza che poi va demolito c’avevano rifatto i paesi. Ma che non lo capiscono? Io ho fatto la quinta elementare, non è che so’ un ingegnere, però questi sono deficienti. Chi gli ha permesso di fare queste cose. Francesca: Mah… Mo basta, silenzio. Sabatino: Basta, sennò me ‘ncazzo troppo. Francesca: Esatto. Devi andà dalle pecore… devi andà. Sabatino: Chiudi Mauro, basta. Francesca: Che già si è agitato troppo. Sabatino: No, non è agitato, è una questione che più te ‘nfochi, più te pijano le madonne perché… Francesca: Apposta devi venì a Roma. Sabatino: Ma che è? No. A Roma che vengo a fa, io ci verrei te l’ho detto… come dico io però. Francesca: Tutti così dicono. Sabatino: No, no tutti cuscì. Li vista la Francia? Ambè! Francesca: I Gilet Gialli? Se li famo arancione. Sabatino: Io però non sono per sfasciare pure i negozi di quei pori disgraziati che stanno a lavorà, capito? Ecco. Io so’ per annà al parlamento, quello devi crocchià. Francesca: Bah. Sabatino: No sfascià la bottega o da’ foco a la macchina de Tizio Caio. Francesca: Pure… pure Macerata mi sa viene? Non lo so. Sabatino: Eh cazzo. Le ragioni ce l’hai, dopo non c’hai più ragione perché hai fatto un casino, perché non può esse così. Francesca: Ah, poi c’è quelli dell’Umbria che vengono, vanno il 2 giugno. Sabatino: Come la vedo io, poi poesse me sbaglio pure io, non… non me sembra giusta. Come tanti che ce l’hanno con lu padrone e je ‘mmazzano la bestia. E me cojoni. Questo non esiste. Francesca: Hai detto che stavi zitto. Silenzio. Basta. Oggi non devi andà da nisciuna parte? Sabatino: Sci! Vado via. C’ho le mucche in giro, su da Don Angelo Intervista video Note
Laura Pazzaglia [27], Mariapaola Galassi [54], Ussita, 5 maggio 2018
Laura: Mi chiamo Laura Pazzaglia ed ho 27 anni, siamo ad Ussita, zona SAE Forapezza, e… Mariapaola: Io sono mamma, di Laura Pazzaglia, Galassi Maria Paola, 54 anni, e… Laura: 54? Mariapaola: Sì, sicura. Laura: Allora, la storia del terremoto dal 24 agosto [2016] sono successe un botto di cose. Dal, va beh, il trauma della stessa notte del 24 che ti sveglia e ti fa render conto che si comincia tutto da capo perché io, nel ’97 ero piccola, però ricordo com’è andata insomma e m’è rivenuto in mente subito tutto appena risvegliata in mezzo al buio, non riuscivo nemmeno a tirarmi su dal letto, e ho detto: «Bene, si ricomincia!». E niente, da quella notte in poi, c’è stato quel piccolo lasso di tempo dal 24 agosto in poi, fino al 26 ottobre in cui uno si era un po’ tranquillizzato, perché la situazione sembrava abbastanza, insomma abbastanza tranquilla, sembrava che stesse scemando un po’ tutto… Mariapaola: … e invece… Laura: … e invece, poi c’ha fregato e… Mariapaola: … alle 7 [della sera]… Laura: Sì. Io la scossa del 26 ottobre [2016], quella delle 7 non c’ero a casa. Mariapaola: No. Laura: Non c’ero manco a quella dopo. Mariapaola: No. Laura: Dovevamo andare a cena fuori con delle amiche, ma alle 7 ci ha beccato in un paese qua vicino, Muccia [MC]. Abbiamo deciso di tornare indietro e fermarci a Visso [MC], e abbiamo deciso di fermarci a casa di Mario [Troiani], un amico nostro di Visso e loro erano tutti là fuori, i parenti, i genitori, i vicini… «Aspettiamo. Aspettiamo»… tanto che io alle 9 [di sera] avevo deciso che «Va beh, me ne torno a casa», perché dovevo fare cena e avevo anche un po’ fame… e loro, Mario [Troiani], Fabio [Troiani], mi dicevano «No. Aspetta un po’. Rimani qui con noi». Infatti, poi, alle 9:20 [di sera], c’è stata questa… Mariapaola: … la botta grossa… Laura: Eh! La botta grossa proprio. Per me è stata, a mio parere è stato quella più grossa, quella del 26 [ottobre], alle 9:20 [di sera] erano? Mariapaola: Sì, circa. Noi stavamo tutti a casa. Laura: Ed è stata… io non posso, io non immagino quello che è stato da dentro una casa perché io ero fuori, stavamo all’aperto. Mariapaola: Terribile. Terribile proprio. La paura… Laura: Da fuori anche è stata una cosa impressionante. Mariapaola: Oltretutto noi stavamo tutti a casa e avevamo finito di cenare allora, con la luce che se n’è andata subito. Veramente non sapevamo che pensare. Io ho pensato un attimo «Moriamo tutti. Moriamo tutti.» C’ho mamma che era andata a letto e noi stavamo lì che non sapevamo… non si vedeva niente, era tutto buio. Laura: Che poi, porina, lei la chiamava e nonna, poretta… Mariapaola: Io urlavo: «Mamma. Mamma. Mamma.» ma forte, perché dico oddio…. Laura: Eheheh. L’ha messa secondo me ancora più nel panico… Mariapaola: E poi siccome era caduto giù tutto, non aveva nemmeno la via di fuga, e quindi non poteva venire… Poi per l’urlare ho perso i denti, perché ho urlato e digrignato i denti, e quindi mi sono trovata… Manuele Cacciatori [42], Mara Checchia [31], Emma Checchia [3], Ussita (MC), 6 maggio 2018
Manuele: Manuale Cacciatori, 42 anni, vengo da Roma risiedo ad Ussita da 12. Mara: Io sono Mara Checchia, ho quasi 32 anni, vengo da Tolentino e sono stata adottata da Ussita da un paio di anni. E poi c'è la piccola Emma che ha tre anni quasi 4. Emma: Dopo divento come te, dopo divento più alta come papà Mara: Perfetto, speriamo alta come papà non come me perché sennò… Vabbè, partiamo dal famoso 24 agosto. Notte super inaspettata, presumo per tutti, quella notte io la passavo a Tolentino da mia madre, insieme a Emma mentre Manuele era quassù e… non ricordo l'orario ma insomma è stata… Emma: …allora… Mara: …allora tu dormivi fortunatamente e non ti sei accorta di niente. Emma: Però quand’ero piccola dormivo e non sentivo il terremoto. Quant'ero piccola… Mara: Quando tu eri piccolina sì. Anche adesso per fortuna non ti accorgi. Mamma invece si è accorta quella notte del terremoto Emma: Però, però a ieri sera tu ti 6 addormentata, è arrivata una mosca, t’ha pizzicata… Manuele: …e così non la finimo più… Emma: …dopo tu l’hai ammazzata e dopo tu ti eri spostata, e dopo l’ape se spostava e ti… Mara: Senti ascolta a mamma, adesso stiamo parlando di un’altra cosa, non della mosca di ieri sera, facci finire di parlare, dopo racconti quello che vuoi. Va bene? E dicevo: niente, inaspettatissima scossa, per lo meno perché non c'era stato nessun sentore. Quindi ovviamente svegliata all'improvviso da questa grande scossa, corro da Emma, nel frattempo cercavo di chiamare gli altri familiari in casa che dormivano. Non so come ma dormivano. Per cui si insomma, lunga e infinita, molto molto inaspettata, questa è la parola principale. La paura tanta ovviamente e poi come tutti insomma siamo scesi strada, e poi è arrivata la telefonata di Manuele… eh eh eh… Manuele: Qui ad Ussita l’abbiamo vissuta in maniera un po’ diversa da Tolentino, nel senso che qui l’abbiamo sentita abbastanza più forte, ma per una questione di vicinanza logicamente. La struttura dove stavamo noi c’ha avuto dei danni importanti, però fortunatamente ha retto. Quindi una volta che ci siamo accertati: 1) della struttura che stava più o meno bene, 2) abbiamo sistemato e dato una mano alle persone, perché comunque essendo agosto avevamo comunque villeggianti e quindi c'era parecchia gente a Ussita, 3) abbiamo sistemato messo in sicurezza, più o meno, e cercato di capire problematiche che ci potevano essere in giro per il territorio, riuniti tutti quanti a Ussita. Allora chi ha optato per andare via direttamente per la paura, perché appunto essendo villeggianti andavano via, gli altri invece fortunatamente riuniti in piazza, e nel frattempo, finita questa ondata che diciamo sarà durata un'oretta e mezza o due, non me lo ricordo sinceramente perché erano tante cose tutte insieme… Chiamo Mara per sapere come sta. Cosa bellissima è stata che lei mi ha risposto «Io sto bene, però sai qua c’è stato il terremoto!». È stata bella perché dall’altra parte del telefono gli ho risposto: «Ma, veramente?». È stato un momento insomma abbastanza critico, perché poi arrivavano notizie di quello che era successo dalla parte versante opposto a dove stiamo, nell'ascolano, che comunque erano sono stati rasi al suolo completamente e alcune frazioni con purtroppo anche dei morti, quindi è stata una piccola cosa simpatica che comunque ci ha fatto sorridere, però ecco, subito dopo siamo rientrati in quello che in realtà era successo. Perché senti il terremoto, cioè abbiamo sentito il terremoto ad Ussita, sì! Però l’abbiamo vissuto, magari dico una stupidaggine, nel senso più o meno come quando fu dell’Aquila: l'abbiamo sentito però non ti rendi realmente conto… Mara: Beh, non sei protagonista fino in fondo Manuele: Non sei protagonista fortunatamente di quello che realmente è successo. Te ne accorgi dopo e da lì a qualche ora successiva e, appunto siamo stati impegnati col lavoro e a dare supporto alla popolazione di Ussita, e alcuni noi sono partiti per Arquata e Pescara del Tronto, e purtroppo la situazione non era quella che eravamo noi da questa parte insomma. Là c’era un totale crollo delle strutture. Arquata e Pescara sono totalmente rase al suolo. Essendo successo poche ore prima dell'arrivo tiri fuori persone vive, bambina viva fortunatamente. Purtroppo anche morti. Perché purtroppo ha fatto anche questo. Sono cose che ti segnano comunque nella… Tu ti rendi conto di essere stato fortunato, però in realtà ti rendi conto che in un attimo tantissime persone, o casa o peggio ancora hanno perso la vita, e quindi è una cosa che comunque ti rimane dentro. Ti segna, soprattutto. Da là è cominciata un'altra vita, perché logicamente un conto è avere una casa, avere le tue abitudini normalmente che c’hai… cambia. Noi da quel momento siamo stati dislocati al campeggio che c'era ad Ussita, campeggio che sta ad Ussita, al Quercione, perché appunto l'immobile era in attesa della valutazione se era agibile oppure no. Anche se in realtà poi è risultato agibile, però insomma noi abbiamo continuato a stare nel campeggio, dentro a questo bungalow. Eravamo in 4 dentro a un bungalow e abbiamo continuato la vita diversamente da… Mano a mano abbiamo cercato di riprendercela. In tutto questo tempo, comunque, c'erano delle scosse, più o meno forti. Però sentendo gli esperti, chiamiamoli così, dicevano: è normale, succede, è così, sono scosse d’assestamento e tutto fino… fino a che non c'è stato il 26 ottobre. Il 26 ottobre succede questo, almeno a noi la nostra esperienza stata questa: io uscivo dal lavoro, ero a Castelsantangelo sul Nera, mentre rientravo chiamo lei che era andata giù a Tolentino della mamma, perché Emma frequenta la scuola giù a Tolentino… Mara: Vabbè, per me sono stati mesi, e sono ancora mesi di Ussita-Tolentino, Tolentino-Ussita, per la scuola per il lavoro, per una serie di cose e quindi… Manuele: …quindi stava giù, erano le 19 e un quarto, le 19 e mezzo, adesso non mi ricordo, la chiamo e dico: «Guarda, io ho finito, sto rientrando su ad Ussita». Mentre stavo al telefono sulla strada che collega Castelsantangelo sul Nera a Visso e stavamo al telefono, lei mi urla e dice: «Terremoto, terremoto» e cade la linea. Io in macchina, stavo in Panda, la macchina del lavoro, ho detto: «Terremoto, Madonna Santa…», perché ho pensato, probabilmente ha fatto una scossa, io non la sento magari in macchina però… Tutto questo parliamo di un raggio di 50 metri di strada, perché appena ho fatto la curva successiva, praticamente dalla montagna è venuto giù il mondo, e là ho pensato: è finita! È finita perché la strada, per chi la conosce, non c’hai scampo perché da una parte appunto c'è la parete della montagna, e veniva giù di tutto, cioè sassi enormi, prezzi di montagna proprio, in mezzo alla strada. Cercavi de schivarli a quel punto c'era dietro a me un residente di Ussita che a un certo punto, stavamo tutti e due per… «Che facciamo?» «Corri!», cioè mi è venuto a dire questo: «Corri!». Dove arriviamo ci fermiamo, perché da una parte c'è il fiume e se sentiva al cadere giù, dall'altra parte ci stava la montagna che veniva giù. Siamo passati sopra a tutto suppongo, qualsiasi tipo di sasso, dal più piccolo al più grande cercando di evitarlo e siamo andati su. Siamo riusciti ad arrivare su ad Ussita, perché una volta arrivati alla galleria di Visso, la situazione stradale era migliorata, quindi da Visso ad Ussita la strada era meglio. Una volta arrivato ad Ussita, mi sono fermato in piazza, mi rapporto con gli altri colleghi, e cerchiamo di fare il punto della situazione: comunque c'era gente in strada, pioveva, quindi una situazione un po’ particolare. Nel frangente vengo richiamato a Castelsantangelo [sul Nera] perché c'era una persona che non dava contatto telefonico, non rispondeva al telefono, stava su una frazione isolata e quindi il collega che stava ancora da solo al momento mi dice: «Puoi tornare qua che andiamo a controllare?» Quindi io ripercorro la strada e mi rendo conto di quello che era venuto giù. Già là ho detto, sono fortunato, è andata bene. Però continui, in quel momento pensi solo “c’è una persona che ha bisogno”, quindi vado da lui: tu metti da parte la tua, sostanzialmente, di necessità. Arriviamo a Castello [Castelsantangelo sul Nera], andiamo a verificare questa persona, la troviamo, per questioni di terremoto, luce che andava via e veniva i vari ponti erano saltati quindi non aveva linea sul telefono, comunque la persona stava bene… Ok! Mentre riscendo, nel frattempo era arrivata la macchina dei soccorsi, quindi Vigili del Fuoco, cioè una serie di persone che ci potevano dare a mano fattivamente. Io ritorno ad Ussita, perché ad Ussita serviva, non sapevo come stava messa… Supero la galleria che collega Visso ad Ussita… Mara: E sei arrivato a dopo cena… Manuele: …erano le 21:15 – 21:20, prendo là la seconda scossa, che è quella più forte poi che c'è stata fra le due. Si è ripetuto praticamente l’episodio che avevo vissuto due ore prima: montagna che ti casca sopra, ma tu devi arrivare su, perché comunque è una strada che non ti dà scampo. Quindi stessa situazione di prima: acceleri schivi e passi sopra a tutto, fai danni, se fanno da anni per carità, però cerchi di salvare la pelle, perché tanto non c’era via di fuga. Arrivato a Ussita ci fermiamo. Nel frattempo ad Ussita già c'erano dei colleghi, sia dei Vigili del Fuoco che altro personale, mi fermo davanti alla all'Hotel Cristal che ospitava dal 24 agosto gli anziani di Ussita che stavano dentro. Una delle infermiere che lavora là, Noemi, ci chiede una mano per portare fuori questi anziani, perché comunque l’Hotel aveva subito un bel danno. Nel frattempo, dopo questa scossa che è stata più grande, continuavano le successive. Avendo vissuto al giro di due ore… Come si dice… Il jolly della vita che sostanzialmente ti sei giocato... E quindi dici: Ok. Quindi ci si prepara. La cosa che mi fa sorridere, la luce l’ho vista con un amico, del soccorso alpino, Francesco, che m’ha guardato e che mi ha detto: «Che dobbiamo fare?» ed io gli ho detto «Un attimo France’ che devo capire come sto io» e m’ha detto «Sì, ma tu calmate, ci stiamo pure noi. Che dobbiamo fare?». «Dobbiamo tirare fuori questa gente», gli ho detto «e tocca farlo subito!» Passato un momento, ci siamo dati giù, siamo entrati. Scosse, non scosse, insieme ai Vigili del Fuoco, abbiamo portato fuori questa gente. Purtroppo ancora doveva arrivare la macchina reale del soccorso, quindi piovendo e tutto, cercavamo di coprire le persone con gli ombrelloni, sai quelli del bar diciamo, queste cose qua. Con le coperte appoggiate sopra alle piante per cercare di dargli un attimo di riparo. Mentre stavamo là, arriva una segnalazione da parte di una signora, che il marito non rispondeva dentro casa, quindi ci spostiamo a pochi metri da dove stavamo, per andare a cercare questa persona. Ci rendiamo conto che metà a casa di questo ussitano, di questa persona, era crollata. L'altra parte non stava messa benissimo. I Vigili del Fuoco mi fanno, eh… vediamo, e tutto quanto… Uno dei Vigili del Fuoco dice «Ok, questa persona potrebbe stare sotto. Si deve prendere una decisione». Siamo entrati! A mente fredda dici «Sei un pazzo»: tutte le regole che ti insegnano per il soccorso, per le attività e tutto quanto… in situazione del genere un minimo di sicurezza ce la devi avere. Però ti rendi conto che, anche se non c’hai la certezza che là sotto c'è una persona, però sai che ci potrebbe essere, e tu potresti essere, tu o comunque la macchina del soccorso, quello che la salva. E quindi diciamo che le regole della sicurezza personale, in quel momento, con tutte le emozioni che c’hai, con tutta l'adrenalina in corpo, vanno un po’ a scemare… sostanzialmente svaniscono. Guarda, fortunatamente non c'era, perché era uscito e nessuno se n'era accorto. Stava con la sua macchina, impauritissimo poverino, tutta piena di polvere, sulla strada parallela. Fermo dentro la macchina, giustamente, gli era crollata la casa alle spalle, quindi suppongo che… cioè non è bello… insomma, la paura è tanta, e tante cose… I ricordi e quant'altro… Va a finire bene. […] Nel frattempo arriva, non so come abbia fatto in così poco tempo, perché non mi rendo conto dell'arco temporale perché in quel momento mi si era fermato tutto, arriva l'Esercito, da Spoleto. Non so le domande che mi venivano in mente perché, poi, sentivamo comunicazioni tramite delle radio, perché purtroppo il cellulare si era scaricato, quindi chiunque incontravo che avesse il numero di Mara, gli dico «Avvisate Mara che sto bene, cercate di farle capire che sto bene!» C’avevo anche quel problema, che avevo perso il contatto con tutti quanti, tranne con la radio, con cui potevo stare in contatto ma solo con un gruppo ristretto di persone. Arriva l'Esercito, arrivano le tende. Quindi si comincia sotto l'acqua a montare tende. Si montano le tende, nel frattempo la gente viene, chi spostata al Quercione, chi appunto al momento appoggiato all'interno delle tende, per dare un minimo riparo, vista l'acqua battente che c'era, e abbiamo passato la notte così sostanzialmente: continuano le scosse e quant'altro. Fino a che siamo arrivati alla mattina, che riesco avendo ricaricato il cellulare, riesco a riparlare con loro e sapere come stanno: «Tutto bene, siamo bene, la paura e dormiamo fuori». Lei ha dormito in macchina… Mara: Parallelamente, da quest'altra parte, per carità a Tolentino si e sentito tutto e tanto, ovviamente mai quanto quassù [ad Ussita]. Però anche lì è stata una bella esperienza pesante. Tornando indietro, tornando al 26 [ottobre], la famosa telefonata in cui io urlo «Terremoto! Terremoto!» e immediatamente l'istinto è stato: corro a prendere Emma. Per cui, per la prima volta ho preso Emma e sono corsa per le scale. Da mamma stiamo al primo piano, quindi, solitamente, istintivamente con Emma è: prendo Emma, luogo sicuro, colonna portante, sotto un tavolo, o un qualcosa del genere. In quell'occasione è stata: fuori! L'istinto stato quello. E sono uscita ancora prima che finisse la scossa, tanta la velocità. Poi Emma non è nemmeno un peso piuma, quindi… istintivamente la forza, ti viene qualunque cosa in quel momento. Una volta uscita provo a chiamarlo e niente, telefono non funzionava, le linee ovviamente intasatissime. Telefono quasi scarico quindi… paura per il terremoto… paura per la bambina… paura per lui che non mi risponde. Passa il tempo, torniamo a casa, mio fratello non c'era in quell'occasione, eravamo io e mia madre. Dico a mia madre «Sbrighiamoci a mangiare e usciamo». Stiamo fuori comunque, dormivamo già fuori… In alcune notti, quelle in cui magari ti prendeva un po’ di più la paura, senti un po’ più qualche scossa, andavamo a dormire in macchina. Era… non lo so, quel qualcosa che magari ti faceva stare tranquillo, comunque ti faceva dormire qualche ora… E per cui gli dico «Mangiamo qualcosa al volo e usciamo». Non facciamo in tempo a uscire, perché per quando eravamo uscite, poi siamo rientrati… l'unica cosa che, quando ho capito che stava arrivando, ho guardato mia mamma e gli ho detto «Eccola!». E gli detto «Mettiti al riparo!». Io sono corsa di nuovo a prendere Emma, e l'unica cosa dove sono arrivata è stata una colonna portante, e mia madre dritta davanti a me nell'altra colonna. Sono stati momenti lunghissimi, infiniti. Ho visto qualunque roba venir giù dentro casa. Avendo un salotto e una cucina open space, quindi tutto aperto, vedevo entrambe le stanze e qualunque cosa è venuta giù. Qualunque cosa si è aperta, qualunque cosa s'è rotta e… Il pensiero in quel momento è «Ce la faccio?» Per cui anche lì, c’hai lei… eh vabbè… [PIANGE] Era tanto che non ne parlavo più… Manuele: Non me la fa’ partorì, eh! Mara: Eh eh eh. No, uno adesso magari ne parla in maniera un po’ più viva, cruda. Ecco, mi fa… fa! Da mamma la paura è doppia. Perché paura per te è un conto, paura per un figlio è un'altra. Ho vissuto il terremoto da sola, e ho vissuto il terremoto con Emma e… quando sei con un bambino, tutta te stessa, tutta… tutto è rivolto a loro… quindi… loro sono coperti… tu sei scoperta. Loro sono al sicuro e tu non fa niente. L'importante è che lo sia lei. Comunque vabbè, passa la scossa, finisce. Usciamo. Paura per me, paura per lei, paura per la famiglia… Continuo a chiamare Manuele e ‘sto telefono continua a non prendere e… Ero rimasta alla telefonata delle sette e un quarto [p.m.]... poi niente, non ero più riuscita a sentirlo in nessun modo. L’agitazione saliva, tanta, però… cerchi di andare avanti e pensi, «Ok, non sta da solo», «Ok saremo fortunati anche questa volta!» E cerchi insomma di andare avanti. Ad un certo punto abbiamo dormito in macchina, tutti in strada… solito copione delle altre scosse… fino a un certo punto in cui iniziano ad arrivare i messaggi e le telefonate da gente di Ussita, tutti i messaggi dicevano la stessa cosa: «Manuele dice di stare tranquilla perché sta bene» e lì senti, dici ok, qualcosa è andato bene insomma e quindi ho aspettato la telefonata. Sapevo che avrebbe telefonato non appena avrebbe potuto. Comunque conoscevo e conosco il suo lavoro, anche se diciamo che, adesso è un po’ cambiato, ma poi comunque sapevo che non appena poteva avrebbe telefonato… Quindi ho aspettato pazientemente, più o meno pazientemente, però ho aspettato tranquilla che tutto andasse bene. Abbiamo passato ovviamente tutti i giorni, io a Tolentino lui quassù, ovviamente lui Emma: Mamma… Mara: Amore mamma sta bene. [PIANGE ANCORA] Manuele: Ammò bene… è un parolone. Mara: A mamma le è uscita una lacrima. Manuele: Una lacrima sul viso Mara: Una lacrima sul viso. Una sola, però adesso va via e le asciughiamo tutte le lacrime, va bene? Emma: A me non mi è venuta. Mara: Non ti è venuta una lacrima? Meglio amore mio. Manuele: Brava. Mara: Tu devi ridere sempre, tu mica devi piangere. Emma: Fai vedere la lacrima? Mara: Te la faccio vedere la faccia. Emma: Però devi togliere gli occhialini. Mara: Perché poi mamma sotto c’ha pure la matita. Manuele: E poi dopo tre giorni che non ci vedavamo… Mara: Sì, sono stati tre giorni… Manuele: Intensi. Praticamente. Mara: Pesanti, pesanti. Lunghi. In una telefonata… […] Tre lunghi giorni… Io nervosa. Molto. Non solo per l'esperienza del terremoto, non solo per la paura, ma nervosa perché lo sentivo poco, nervosa perché non lo vedevo e nervosa perché no non mi rendevo conto di quello che lui stava vivendo e non c'ero. E quindi oltre alla paura, oltre a tutto c'era anche il nervoso per questo, perché la cosa mi dava nervoso. E quando… insomma il 29 credo, o il 28 o 29 ottobre, in una telefonata lui mi dice: «Guarda dice sto solo quassù…» Il tono della voce era un po’… Manuele: …abbacchiato… Mara: Sì, insomma, una recitazione che gli è venuta male. Manuele: Malissimo. Eh eh eh Mara: Voleva fare il forte, ma non c'è riuscito, e io non c’ho pensato su due volte, quindi ho chiesto a mamma di tenere Emma, e gli ho detto: «Guarda vado un paio di giorni Ussita». Ovviamente lei non me l’avrei mai portata, quindi… Nel frattempo, io, mia madre, lei, mio fratello c'eravamo spostati a casa di un'amica di mia mamma che c’ha una casetta in campagna, tutta su un piano, per cui ci aveva fatto il favore di ospitarci per un po’. Visto che il palazzo di mia mamma non è messo nel migliore dei modi: siamo usciti e c'erano le scale completamente crepate, pezzi venuti giù, quindi poi… Ovviamente, quando siamo ritornati successivamente, ci siamo resi conto di quello che era successo… E quindi il 29, dopo questa telefonata… insomma un po’ così, gli dico «Vengo su. Arrivo.» Lui: «Ma no! Devi stare attenta. Sappi che le scosse ce ne stanno tante.» Insomma, era una sorta di avvertimento, come per dire che la situazione è questa, ma dall'altro lato, conoscendolo, non mi ha detto «No, non venire» e quindi questo mi ha fatto capire che in realtà lui c’aveva bisogno che io arrivassi. E quindi sono arrivata. Sì le scosse ogni due minuti, i nervi a fior di pelle. Sì la paura, ma, sì stavo con lui. E quindi… Poi beh, io ho un grande difetto, chiamiamolo così, a volte mi affido talmente tanto che anche la cosa più pericolosa per me, se c'è lui, non è poi così pericolosa. Diciamo così. Manuele: Pensa come sta messa. Eh eh eh… Mara: Eh eh eh… Pregio o difetto non lo so. E quindi ecco, sì la paura… cioè quella situazione da sola non l'avrei mai vissuta, non sarei mai venuta quassù… Manuele: Nemmeno io, apposta t’ho chiamata eh eh eh Mara: Con lui è diverso. E quindi insomma, mi sono fatta coraggio e… e sono arrivata. Mio zio e mia zia, che avevano in gestione il campeggio il Quercione, nel frattempo m’avevano chiesto un aiuto, visto che poi tutta la gente di Ussita era, tranne chi se n'era andato, era tutta lì. E quindi mi aveva chiesto, visto che sei qua, insomma dacci una mano… E quindi mi sono messa un po’ al bar, dove ho potuto ho aiutato. Andiamo a dormire il 29 ottobre, tra una scossa e l'altra ovviamente Manuele: Il 29 ottobre… sembra che dal 26… Mara: No, vabbè, nel senso: ero arrivata quel giorno, andiamo a dormire la sera un attimino, e… niente, io ho dormito pochissimo. Anche qui qualche parentesi divertente: «Mara, metti il pigiama. È lì.» Io: «Tu sei pazzo! Io il pigiama non me lo metto. Cioè, io così sto e così rimango.» «Eh, vabbè…» diceva «ormai la scossa grande c’è stata…» Dico: «Vabbeh, io rimango vestita». Erano le 4 della mattina, non riuscivo più a dormire, anche perché poi ho dormito praticamente poco o nulla e quindi… ero fuori dal bungalow tra una sigaretta, una parolaccia, una scossa, un qualcosa e lui ovviamente stanco. Manuele: Eh eh eh. Io dormivo. Eh eh eh. Mara: Lui dormiva e io ho fatto dalle 4 alle boh, le 6 credo… più o meno… in piedi di fuori. E poi vabbè rientro e alle 6 suona la sua sveglia, questa sveglia, questa maledettissima sveglia sull'orologio. Manuele: Io operativo alle 6. Mara: E lui come apre gli occhi la mattina è operativo. Quindi sento questo bip e non avevo collegato che fosse il suo orologio. Siccome nel bungalow loro avevano delle attrezzature da lavoro, radioline, cose che per me sono arabo, quindi io le vedevo là è per me là rimaneva. Sento questo bip, per me era qualcosa in quella strumentazione che suonava, quindi io vado nel panico: «Manuele, che cos'è?» Manuele: Manuele che è operativo già alle sei di mattina, a di’ fregnacce, eh eh eh… me ne esco e le faccio «Corri! Sbrigate! Allarme! Sta ad arrivà il terremoto» quindi… Lei, praticamente, il bungalow era piccolissimo, che schizza fuori sul piazzale che avevamo lì di fronte ed io che comincio a ridere. So che è una cosa brutta, però così… diciamo che è stata una delle migliori performance che potevo fare. Logicamente dopo m’ha ricoperto d’insulti, perché giustamente gli ho detto «Ma Mara, è la sveglia che sta sull’orologio». «Sei un deficiente, m’hai fatto preoccupà! Io già sto…» E quindi ha detto: «Adesso ti vesti e andiamo a fare colazione». «Va bene». Quindi mi sono preparato, mi son vestito, tutto quanto, siamo venuti qui in piazza ad Ussita. Siamo andati a fare colazione a La Mezza Luna Club perché era ancora aperto, qui andiamo giù da Rossella [Orazi] e prendiamo il caffè, la pasta, ritorniamo in piazza, fumiamo una sigaretta… Nel frattempo aspettavamo, aspettavo, che arrivasse un collega e Mara me fa «Senti», saranno state le 7 ormai perché siamo usciti alle 6:10 praticamente, me fa «Andiamo a prendere altro caffè» dice «io oggi son…». Ho fatto: «Eh vabbè, lo capisco. Non hai dormito tutta la notte». Quindi ritorniamo da Rossella, a fare diciamo la seconda colazione, ma in realtà prendiamo il caffè e ritorniamo su. Mentre ritorniamo su, Mara aveva parcheggiato la macchina di fianco, sulla strada del cineteatro, qui ad Ussita m’ha detto «Mi sa che la metto un po’ più indietro, perché magari non ci passano…» Quindi esposta la macchina poco più indietro. Mentre stavamo là mi chiama un collega che doveva venire su a lavoro, che veniva Rieti, mi dice «Guarda sto entrando nelle gole della Valnerina» m’ha detto «se succede una scossa, ricordate che sto qua». Io, con bellissimo slang romano, gli ho detto «Non di’ stronzate» sostanzialmente… «Sbrigati a venire, falla finita di fare lo stupido». Da lì a non so quanto, non lo so, là ho capito che stava succedendo qualcosa. Fotografia della situazione del 30 mattina all'inizio della scossa: io mi trovavo sulla strada di fianco al cineteatro, di fronte a me avevo l’allora sindaco, Marco Rinaldi, che stava in mezzo alle sue due macchine perché aveva rimesso a posto il cane, Oliver. Io lo guardavo praticamente. Lui da una parte della strada io di qua, a un certo punto vedevo lui con le macchine che saltavano da terra… Quindi ho immaginato che anch'io stessi facendo lo stesso. Nel frattempo però c'era un boato continuo, che è il classico un boato del terremoto, e Mara mi dice «Ma dove sta quest’aereo?». Io da là mi son fermato un attimo, ho detto, non so perché mi è venuto, ho detto «Questa è qua, ed è grossa». Mentre stavamo là ci scoppia la casina di legno, che era il centro informazioni di Ussita, che stava praticamente alla nostra destra. Proprio esplode, le pareti, e in più viene giù la parete del cineteatro, che Mara avendo spostato la macchina, non gliel’ha presa, perché sennò l'avrebbe presa in pieno. Finita la scossa, c’era una nebbia, un odore forte di polvere, dei i calcinacci, perché c'erano stati tanti crolli e quant'altro. Prendo Mara la porto sulla piazza proprio e le dico «Tu stai ferma qua». Nel frattempo cerco di chiamare il collega… Non mi rispondeva. Dopo un po’ mi risponde e mi fa «Io sono vivo, ma la Valnerina non esiste più». Ok. «Il tempo che riesco a tranquillizzarmi, sto venendo su. Ci vediamo su». Nel frattempo con i Vigili del Fuoco facciamo un giro rapido per le frazioni per vedere quello che era successo. Tutto bene. Una volta che torniamo giù ad Ussita arriva il mio collega e tutto, andiamo con i Vigili del Fuoco a vedere la chiesa di Vallestretta che era pericolante, com’era la situazione e quant'altro, ma niente ancora stava su. Ritorniamo giù in piazza, nel frattempo rivado da Mara e le dico «Tu, che stai a fa’ qua?» E lei me fa: «Ma non me l'hai detto tu di sta qua!» «Sì, nel senso stai qua in sicurezza, poi dopo vai giù al campeggio. Cioè, non è che dove t’ho ho lasciata…» E devo dire che dove l'ho lasciata, là stava! Cioè non ha fatto nemmeno 20 centimetri. Là era e là stava. Mara: Per ore. Manuele: Cioè non c’è stata per poco… Mara: Diverse ore ci son rimasta in... Manuele: Nel frattempo arriva la comunicazione di evacuazione totale di Ussita. Quindi era stata disposta l'evacuazione totale. Ci rechiamo col collega e i Vigili del Fuoco nella frazione dei Casali. Mentre arriviamo a Casali ci rendiamo conto di quello che stava succedendo, e che era successo. Perché da lì poi le scosse erano veramente continue, non della stessa intensità della prima, ma abbastanza forti. Mara: Sì, la terra sembrava ribollisse. Manuele: Sembrava che ci fosse la lava. Mara: Sembrava una pentola a pressione. Manuele: Si sentiva proprio l’energia che usciva fuori. La strada di Casali rotta. Tagliata sostanzialmente. Superiamo questo pezzo di strada, arriviamo all'abitato di Casali, cerchiamo le persone dove stavano, la maggior parte erano anziani, anche se erano riusciti a mettersi da una parte ed erano in salvo, il problema è stato cercare fargli capire che dovevamo portarli via. Non sarebbero arrivati in piazza, vediamo come state, ok tutto a posto, tornate a casa. No. Dovete andare via. Quindi, nella situazione che ci avevano le case, cercare fargli prendere al volo qualcosa e andare via… Per…? Non si sa. Ma andare via. In tutto questo, alzando un attimo gli occhi, mentre… Un passo indietro insomma. Mentre arrivavamo a Casali, il Monte Bove sembrava che c'era un incendio, era totalmente coperto da ‘sta nube de fumo dei detriti che aveva tirato giù. Appena si dissolve unpo’ nel frattempo che arriviamo a Casali, ci rendiamo conto di quello che era successo alla montagna. Il Monte Bove che c’ha sostanzialmente salvato, ha detta degli esperti, perché c’erano veri e propri costoni di montagna venuti giù. Un massiccio del genere che viene giù, vuol dire che la botta è stata veramente grossa. Oltre che vissuta, ti rendi conto, oltre le case distrutte e quant'altro, ti rendi conto che una montagna così imponente, che ha avuto le sue ferite, è importante come cosa. Per fare un paragone, a livello di potenza e tutto. Cerchiamo di riuscire a portar via questa gente, queste persone, da Casali, ci riusciamo… tranne che un allevatore del posto che non voleva andar via. Abbiamo cercato in tutti i modi di convincerlo, siamo arrivati addirittura alle minacce, proprio le minacce, ma proprio sostanzialmente dice «Ah, no, ma io sto qua. Non c'è problema, no». Alla fine una residente di Casali ci si arrabbia talmente tanto, proprio con cattiveria, che io sinceramente mi sono spaventato perché non l'ho mai vista in quel contesto… Sono rimasti tutti quanti così… Riesce a convincerlo. «Ok. Vengo giù». Quindi gira la sua macchina e torna giù. Carichiamo tutte queste persone e scendiamo giù in piazza. Nel frattempo in piazza c'erano vari pullman. Chi andava via con la propria macchina, chi stava col pullman. C'era già il Dipartimento Nazionale di Protezione Civile che prendeva, avevano già messo a disposizione tutti gli alberghi sulla costa, e dirottavano prendendo nome cognome, tutti i dati. Dirottavano le persone sui vari alberghi lungo la costa. Da lì in poi Ussita è stata evacuata. Finisce l'interminabile giornata. Logicamente vengono evacuati alla fine anche coloro che erano all'interno del campeggio. Quindi, tutti quelli residenti all'interno del campeggio in quel momento ussitani sono stati portati via, e di conseguenza anche Mara, che mi chiama e piangendo… A mente fredda, da oggi rientra in quegli sketch scherzosi che le faccio di tanto in tanto… mi chiama e mi fa, piangendo disperata giustamente, mi fa «Tu devi venire via! Che fai qua!?» ed io le detto «Il lavoro mio purtroppo comincia adesso, e poi tu pensa ad Emma. Tu devi pensare ad Emma.» le ho detto. «Non ti preoccupare che poi ci vediamo questi giorni.» Quindi riesco a tranquillizzarla, chiedo ad una ragazza di Ussita, per portarla, segui lei. «Guarda, segui lei. E vai via, non è un problema.» Quindi vanno via. Arriviamo alla sera del famoso 30 ottobre, che praticamente qua eravamo rimasti oltre a noi, un dipendente comunale, il geometra Giuseppe Riccioni e altra gente, ragazzi, veterinari, volontari che erano voluti rimanere… Siamo rimasti qua. All'inizio abbiamo dormito, appunto noi avevamo ancora la possibilità del campeggio, quindi abbiamo dormito nel campeggio, chi ha dormito nella roulotte, chi nel camper, chi nella tenda, chi in macchina… insomma, diciamo che i primi giorni sono stati un po’ dove trovo, me fermo. Sostanzialmente, perché questa è stata la cosa. E Ussita, il terremoto diciamo qui ad Ussita, da lì in poi ha avuto un ulteriore sviluppo, nel senso che: 24 agosto c’è stata la scossa, stavamo tutti qua, se ne parlava, quindi rompevi un po’ la paura, no? Perché quello più goliardico, quello meno, che faranno, che succede, no? 26 ottobre stessa cosa si, è successa ma adesso si ferma. Il 30 ottobre, si è successo adesso si ferma… Il problema è che stai a parlare con 20 persone. 20 persone che con cui ha condiviso dei momenti molto delicati, in quelle situazioni di pericolo e quindi non c'è la persona, chiamiamola esterna alle cose, che dice «Vabbè, sì, adesso è finita», perché bene o male sai quello che è successo, sai come funzionerà, sai quello che potrebbe succedere in seguito, e quindi cerchi in altri modi di rompere la paura… Mara: Di stemperare… Manuele: … di stemperare la tensione. Quindi niente, durante il giorno si faceva… Perché poi dal giorno dopo logicamente le persone venivano a Ussita. Il problema è stato questo: che essendo evacuati tutti e tre i comuni, era stato fatto un varco di accesso a Visso, quindi da lì non si entrava più. Entravano soli i residenti documentandolo con un pass e potevano veri a Ussita. C’era tutto un… era stato giustamente innescato un servizio di controllo dell'ordine pubblico, antisciacallaggio, e quindi venivano su, tutti i giorni, per prendere qualcosa dove era possibile, o comunque solo per vederla, Ussita, perché comunque gli mancava. In alcuni casi mi metto nei panni, del senso: arrivano, te prendono de casa tua, te sbattono al mare, senza dirti né come né perché… Insomma… Ti manca. Altre cose non le vedevo, perché magari appunto chi vive a Ussita la deve vivere veramente, perché vivere ad Ussita, bruttissima cosa dico, mi uccideranno per ciò… 15 giorni l'anno non è vivere Ussita. Ok? Anche se per alcuni aspetti hanno fatto molto di più chi viene 15 giorni l'anno che altre persone di Ussita… Ma al di là di questo… Mara: Sorvoliamo. Manuele: E quindi noi vivevamo così, cioè nel senso, durante il giorno c’era quello che veniva, quindi accompagnato dai Vigili del Fuoco andava, quindi vedevi i residenti, gli scambiavi una abbattuta… «No, quand’è che finiscono ‘ste vacanze?» «Quand'è che tornate?», pur sapendo che sarebbe andata avanti per tanto. Ed è andata avanti ma sembra fino a giugno dell'anno dopo [2017], non mi vorrei sbagliare. Maggio, giugno… adesso non ricordo … Hanno levato, hanno ridotto le zone rosse e hanno levato il blocco a Visso. Però logicamente aspettavamo le SAE [Soluzioni abitative in emergenza] che devono arrivare ad aprile… e invece lavori sono cominciati a fine giugno. Quindi, ok aspettiamo le SAE… Nel frattempo chi dorme nel container, chi dorme nella roulotte, chi dorme nel camper, sempre la stessa la stessa cosa. Per noi ormai era routine, abituati a quegli spazi, abituati a quelle cose minimo indispensabile per lo spazio che tu hai. Fino a che cominciano questi lavori delle SAE si comincia a riappropriare le persone del loro luogo, dove sono nati sostanzialmente, no? Quindi anche se si sono fermati a Ussita ma dentro una SAE, però stanno a casa loro, nel senso comunque stanno nel loro posto, specialmente gli anziani: gli piace star qua, è casa tua e giustamente è il territorio in cui ci son nato e qua ci voglio rimanere. Tutto questo in 2 o 3, non vorrei dire fregnacce, purtroppo li abbiamo persi per strada. Un po’ lo stress, un po’ tutto, purtroppo è capitato anche questo. Molti di loro lo rivisti ringiovaniti da quando sono tornati ad Ussita, cioè più arzilli di prima insomma, ecco… quindi ce li porteremo avanti per i prossimi 100 anni suppongo. Sotterreranno pure a me suppongo… Fino a che poi è arrivata, poco prima di Pasqua, anche la consegna della nostra SAE, e quindi pure noi siamo all'interno della SAE con questa pesciolina [Emma], e… Mara: … un altro pesciolino. Manuele: … un altro pesciolino in arrivo… Manca poco più di un mese, è un maschio [Alessandro Cacciatori è nato 5 settimane dopo]. Cercheremo di ricostruire una vita normale, nonostante le scosse continuano, ma ormai non dico essere abituato, però molte volte scherzando con alcuni di noi che ci stavamo, tipo Giuseppe [Riccioni]: «Sopra a 5 manco me alzo». Eh eh eh. Ormai siamo talmente… forse da una parte parli del terremoto, che è comunque una situazione di pericolo e non sai come gestirla, perché è inutile che uno parla e… No! Non si sa gestire! Però sdrammatizzi «Ah, io [se non è] sopra a 5 manco me alzo dal letto…» Ma perché? Perché comunque abbiamo vissuto delle situazioni molto gravi, molto forti, quindi… diciamo ci prendiamo un po’ in giro al terremoto insomma… Prendiamo in giro il terremoto cercando di sdrammatizzare, anche se in fondo sappiamo che quando succede un evento del genere, che succeda qua, o succeda da un'altra parte, chi per lavoro, chi per volontarietà, si deve partire e devi accettare purtroppo il rischio di tutto quanto… Però ecco, ricominceremo questa vita tutti e quattro e via. Mara: Il 30 ottobre è stata… Manuele: …una dura prova. Mara: Guarda, una dura prova, ma nonostante l'ho vissuta ad Ussita è in realtà, l'unica scossa che non ricordo. Ho completamente perso la memoria. Dopo il famoso scherzo che lui m'ha fatto, simpaticissimo scherzo che lui mi ha fatto alle 6 della mattina, e quindi sì, dopo penso un paio colazioni per passare il tempo, e arriviamo in piazza e sento questo boato assurdo, e la mia testa l’ha collegato a un aereo. Al rumore di un aereo che volava a bassa quota, per cui io ho alzato gli occhi al cielo, ho fatto un giro su me stessa, cercando l'aereo, che ovviamente non c'era. Per cui guardo Manuale, faccio «Manuele,» dico «dove sta quest’ aereo? Che è questo rumore?», dando per scontato che fosse un aereo, per cui faccio «Dove sta l'aereo?» e in realtà l’aereo non c’era. Un pregio e un difetto di Manuele, di quando sta con me, è che lui si fa sempre forte, nel senso: cerca di non farmi capire quando c'è il pericolo, ecco perché io spesso molte situazioni le vivo proprio in maniera molto tranquilla perché lui tiene tutto sotto controllo e io non mi accorgo di niente. Manuele: Io faccio questa cosa con lei. È una cosa reciproca. Lei lo pensa di me, io lo penso di lei. Mara: Perfetto. Ma in quell’occasione ho visto il suo sguardo. E lì, come dicono, gli occhi non mentono mai, io da quello sguardo ho capito che non avrei dovuto aver paura… di più! Molta di più. Difatti quando gli ho detto «Manuele, dove sta l'aereo?», ho visto la sua faccia, ho capito che lei non c'era, e lì ho sentito il movimento sotto i piedi. Come ho sentito quel movimento sotto i piedi, ho capito che cosa stava succedendo, quando ho capito che era il terremoto, il mio, la mia testa, il mio cervello ha fatto OFF, s'è spento. Io da lì non c'ho più nessun ricordo se non qualche secondo, credo, durante la scossa in cui sento lui che mi prende per il braccio e m’allontana dalla parete di un edificio che stava crollando. Quindi, solo in quel frangente, ricordo solamente lui che m’ha tirato per questo braccio e questa parete che in realtà poi è crollata, una parte non lo so, non c’ho i ricordi proprio lucidissimi e quello è l'unica cosa che in realtà ricordo: buio totale, nero, niente. Io dal 30 ottobre, ogni santissimo giorno, cerco di ricordare quel giorno ma non ci riesco. I ricordi sono sempre gli stessi: noi che arriviamo in piazza, le due colazioni, lo scherzo, la paura, il black out. Manuele: Comunque si chiama aterosclerosi questa. È certificato. Mara: Eh eh eh. Si chiama tanta paura. Non lo si chiama… non lo so, è un modo come un altro per… Manuele: … per combattere la paura. Mara: … per combattere, per proteggersi, non lo so. Arriva il momento in cui finisce il tutto, vedo, questa grandissima nebbia, sento il pizzicore in gola, la tosse data dal fumo delle macerie, dei mattoni rotti. Mi guardavo intorno e in realtà non sembrava reale: quelle cose che tu dici ok, di solito le vedo nel film, le vedi in televisione, le vedi, le vivi e le senti sempre comunque lontano da te. Si può succedere ma qui no e invece in quel momento, davvero non credevo fosse reale. Cioè guardavo e non… non lo so forse, non ne ho idea, non lo so era tutto surreale. Arriva Manuele mi prende del braccio e mette in piazza, in sicurezza, e mi dice «Tu rimani lì!» ed io lì sono rimasta, non sono riuscita a fare un passo più avanti o un passo più indietro: nella mia testa c'era, intorno a me, c'è il caos m’ha detto di star qui, è questo è il posto sicuro per me, senza poi rendermi conto ovviamente che non era quella mattonella il posto sicuro, ma non lo so… in quell'occasione in quell’esperienza, la testa quello m’ha detto. Ho ovviamente vabbè, chiamato mia mamma cercando di capire come stavano, insomma come stavano i miei familiari, in primis come stava Emma… vedevo lui ogni tanto che passava avanti e dietro e mi faceva cenno con la mano, come per dire rimani ferma lì: io alzavole mani come per dire «Io qui sto qui, qui rimango, tranquillo». E poi a un certo punto, me vanno gli occhi sulla macchina, sulla mia macchina… macchina che sto ancora pagando tra l'altro, come tutti, come la maggior parte degli esseri umani e guardo la macchina e mi rendo conto che stava sotto la parete, cioè l'avevo parcheggiata sotto quella parete che poi in realtà avevo visto venir giù! Doppiamente in panico «Oddio la macchina!». Da lì realizzo di aver fatto una cosa stranissima il giorno prima quando era arrivata: io sono arrivata, ho parcheggiato la macchina, ho spento la macchina, poi a un certo punto, non c'era in realtà un motivo perché, avevo spazio avanti, avevo spazio dietro, la macchina non dava fastidio, l’avevo messa bene… io ho riacceso la macchina e non messa forse mezzo metro più avanti, un metro più avanti? Non di più! Non c'era un motivo per cui io l'ho fatto, per cui sono andata mezzo metro più avanti, ho spento la macchina, ho tirato il freno a mano e sono uscita. Il 30 ottobre mi rendo conto che quel mezzo metro più avanti ha salvato la mia macchina, perché quel muro è caduto esattamente dietro la mia macchina, cioè ha preso tutto quello che c'era da dietro la mia macchina in poi ma non ha preso la mia macchina! Quindi ho detto, vabbè nella tanta sfortuna un minimo di fortuna ce l’abbiamo avuta. Per cui vabbè, anche lì, cerchi di tirar fuori l'aneddoto più positivo possibile insomma, o divertente. Da lì un collega di Manuele mi accompagna al campeggio perché non era in grado di… Manuele: … di intendere e di volere… Mara: … di portare la macchina. No, sì, non ero… Già il fatto che non potevo prendere la macchina perché c'erano erano tutte le macerie della parete per terra e quindi la mia macchina non poteva uscire. Cioè passavano le jeep sopra i sassi ma la mia l'avrei disintegrata, perché è una povera punto, una semplicissima Punto e sopra le macerie di quella portata non ci passava. Quindi un collega di Manuele mi accompagna al campeggio e lì mi sono resa conto che, dove mi hanno messo su a rimasta in mezzo al campeggio, in mezzo ferma esattamente come avevo fatto in piazza, che ero rimasta 2-3 ore ferma sullo stesso punto, ho fatto la stessa identica cosa il campeggio: mi sono immobilizzata in mezzo, guardando dove non mi poteva venire sopra niente, anche perché le scorse erano un continuo, sentivi questa terra ribollì sotto i piedi, quindi ho trovato quel punto che era sicuro, e io sono rimasta lì per ore, ore ed ore. Parlo di… credo 6 ore… 5 o 6 ore? Ed io sono rimasta lì, non ho mangiato, non ho bevuto, non ho avuto il coraggio fare pipì in bagno, non ho fatto niente: io sono rimasta esattamente lì dove stavo. Ero esausta. Ero esausta ma non lo so la testa quello che in quel momento… ogni tanto vabbè arrivava mio zio, arrivava mia zia, arrivava qualcuno che conoscevo… mi chiedeva se era tutto a posto e la mia risposta era sempre «Tutto bene», «Tutto apposto» purché non mi facessero spostare da dove stavo, perché per me quel… Manuele: … era sicuro… Mara: … 20-30 centimetri per me erano sicuri per cui lì sono rimasta, fino a che ovviamente non hanno tolto le le macerie da vicino alla macchina, fino a che non magari non mi hanno riportato in piazza fino, a che non sono riuscita a prendere la macchina alle, credo, sei del pomeriggio e alle sei pomeriggio sono riuscita a ripartire e tornare, ovviamente io insieme a tutti gli ussitani, i tre paesi [Castelsantangelo sul Nera, Ussita, Visso] insomma che venivano evacuati… E anche lì, risalutalo a data da destinarsi. Cicchettato per il telefono sempre carico, perché almeno il telefono deve essere carico, dico non facciamo come il 26 [ottobre] per cui anche lì abbiamo vissuto lui quassù, io laggiù… Ovviamente io quassù non potevo salire nemmeno volendo, quindi aspettavo sempre quei, inizialmente, pochi e rari momenti in cui lui riusciva comunque a sganciarsi da quassù o aveva qualche giorno o qualche ora di riposo e quindi lui scendeva… Per cui abbiamo vissuto il consecutivo anno, credo, non so quanto sia durata più o meno, con in questa modalità insomma: quando lui poteva scendeva e… nel frattempo c'erano le scosse, nel frattempo insomma… Però giustamente lui diceva «Ah le tue a Tolentino sono scosse?» Manuele: Memore sempre del 24 agosto. Mara: Certo. Manuele: Te chiama, te dice «Sai? Qua c’è stato il terremoto.» Mara: Eh eh eh… Manuele: «Grazie al cazzo». Eh eh eh… Mara: E poi niente. Ci siamo adeguati. Più che potevamo, nel migliore dei modi e come diciamo sempre… Siamo riusciti a venirne fuori nel miglior modo possibile. C'è chi non… non è riuscito magari a tollerare il terremoto, comunque le reazioni sono tante poi delle persone, quindi chi in un modo chi in un altro, però diciamo che noi ce l'abbiamo messa tutta insomma. Abbiamo cercato di uscirne più positivamente possibile, abbiamo imparato tanto o perlomeno, una delle cose che abbiamo imparato è stata: viviamo giorno per giorno. Abbiamo capito che oggi siamo qua, domani anche… però magari c'è sempre quel qualcosa che può succedere, quindi... Manuele: Nel frattempo può cambiare qualcosa… Mara: … ecco viviamo abbastanza alla giornata, quindi, per carità i nostri progetti, i nostri desideri, e le nostre cose le portiamo avanti, ma con una consapevolezza diversa rispetto a prima. E quindi, insomma, siamo arrivati ad aspettare tanto questa famosa SAE, che adesso è arrivata, per… chiamiamolo qualche piccolo problema insomma… per il momento ci hanno dato questa… questa più piccolina… ma appena possibile ce ne daranno una un pochino più grande, quindi… molto diplomaticamente diciamo che tra un po’ ci sposteremo in una cameretta dove anche i bimbi avranno una loro camera, anziché essere tutti nella stessa camera. Emma: Voglio il fratellino. Mara: Vuole il fratellino anche mamma, s’è tanto stancata di questo pancione, eh eh eh Emma: Io voglio il bimbo che esce fuori. Mara. Vuoi il bimbo che esce fuori. Manuele: Comunque durante la permanenza qua ad Ussita quando appunto non c’era nessuno, quando venivano su loro, perché veniva su anche Emma, abbiamo passato il Natale, il Capodanno qui ad Ussita, dove mangiavamo nella casetta di legno e la sera quando tornavi, chi ti dava la forza erano loro. Nel senso, c'erano anche l'altra Emma e Diego che sono i figli degli allevatori Stefano [Riccioni] e Michela [Paris] qua di Ussita, quando rientravi e vedevi loro giocare, logicamente spensierati perché non è che capivano realmente quello che era successo, anche se secondo me lo l'hanno capito e lo capiscono bene, però li guardavi e ti passava tutto. Ti passava la fatica della giornata che avevi fatto, tutto quanto, perché li vedevi ridere, scherzare, che correvano… e parliamo di un ambiente di venti metri quadri, forse? Quindi… è stato quello e là abbiamo passato fino a che non è stata riaperta… appunto tutte le festività, quindi Natale abbiamo passato lì dentro, Capodanno l’abbiamo passato lì dentro, la Befana, Pasqua… cioè tutte le festività finché mano a mano, arrivati ad oggi quindi, dopo due anni, cercare di riappropriarci di una sorta di vita… di ricominciarla, come deve essere. Io ad oggi cerco a lei di metterla là fuori e dire «Ferma qua, non ti muovere!» ma invece rientra… Mara: Ah ah ah Manuele: Devo dire che funziona solo col terremoto, perché... niente. Più ci provi… niente! Dico ma come? Perché? E vabbè, devo aspettà… Mara: Niente! Non devi aspettare niente! Ah ah ah! Manuele: Ah ah ah! Devo aspettà… Mara: Niente, rientro. Rientrerò sempre. Nel mentre, sì concordo, nel senso che è stata… Manuele: … che devi aspettà! Mara: Che cosa? Manuele: E che ne so, hai detto «Concordo» Mara: No. Non sullo stare fuori. No, è vero, nel senso che abbiamo passato le festività e tutto il resto insomma in quella piccola casetta di legno, però anche l'insegna. Si lavavano i piatti nella vasca del bagno, cosa che prima non l'avresti mai nemmeno mai pensato. Dici, dove li lavo i piatti? Nel lavandino e lì non c’avevi un altro posto se non la vasca, abbastanza grande… Manuele: E nonostante tutto abbiamo tenuto un livello di pulizia dentro quella casa… Mara: Sì, è vero anche questo… Manuele: Nonostante tutto quello c’era lì attorno, logicamente dopo quello che era successo, siamo riusciti ad avecce veramente… Mara: Vabbè, è Mastrolindo che parla. Il maniaco della pulizia. Manuele: Tutti quanti c’avevano il loro compito. Mara: È stata… anche quello è stato un bel periodo, se poi tirando sempre ovviamente fuori il lato positivo delle cose. Perché è giusto che ci sia anche questo, perché se a mio avviso se una brutta esperienza non tira fuori il lato positivo e rimane solo esclusivamente una brutta esperienza, poi è difficile superarla, quindi… Diciamo che aiuta. Anche quello ovviamente è stato un bel periodo… Manuele: Abbiamo poi dei bei ricordi e l’ha immortalati Penni [Mauro Pennacchietti], quindi… Mara: Giusto. Manuele: Se non ci fosse stato Penni, e non avessimo conosciuto Penni, eh nessuno ci avrebbe immortalato, no? La salsicciata… Ma potevamo fa i terremotati? Mara: Manuele che gira le salsicce… Manuele: E tu ci immortali mentre sbraciavamo, i cosi… Cioè se devi fa il terremotato, devi esse triste, appoggiato così… cazzarola… e invece no, sempre a fa la brace… ma te lo devo insegnà io come se fanno le foto? Mara: Abbiamo conosciuto, cioè io personalmente ho conosciuto un sacco di persone nuove e vabbè, adesso a distanza di due anni se ne parla abbastanza col sorriso, in quei momenti… ci sono stati dei momenti in cui dici questo è un incubo, non ne vengo fuori. Però va bene, adesso ci siamo. Adesso per lo meno è passata, per lo meno ci abbiamo anche un… siamo reduci da un'esperienza che comunque ha insegnato, che comunque ci aiuterà in futuro, mettiamola così. Poi niente ecco aspettiamo, aspettiamo il piccolo dinosauro che esca e niente… Si va avanti insomma ognuno, ognuno a modo suo e… la nostra piccola famiglia diciamo è ripartita. Mettiamola così. Adesso siamo insieme e questo è quello che conta. Stare insieme alla propria famiglia, quindi… questo è. [RIVOLGENDOSI AD EMMA] Giusto? Stare tutti insieme è la cosa più importante, è vero? Boh. Manuele: [FACENDO IL VERSO AD EMMA] Se lo dite voi? Perché a me non me sembra proprio così. Emma: Sì. Mara: Tu non ci vuoi stare con le persone cui gli vuoi bene? Con Mamma e papi? Manuele: No. Lei vuole stare con nonno Michele, eh eh eh Emma: Io voglio stare con Margherita… Manuele: Che è la zia… Emma: … con nonno, con zio Rinaldo, Emma e nonna e basta. Manuele: Apposto. Mara: Mamma e papà… Manuele: Mamma e papà niente. Ok. Mara: Perché tutti la coccolano e tutti la viziano e tutti le fanno i regali. A differenza di mamma e papà, quindi… Emma: Io sono di Margherita, di nonno, di zio Rinaldino, e dopo sono di Margherita… Mara: E sì, ricominciamo da capo Emma: Io sono… questa è Margherita, questo è nonno, questa è Emma e questa è nonna, e mamma e papà mi fanno i regali. Mara: Mamma e papà ti fanno i regali. Manuele: Ah. Eh. Mara: Insomma, siamo un portafoglio Emma: Quindi mamma vede qualcosa, dopo la riporto qui. Mara: Mamma per l’ennesima volta si alza. Perché non facciamo alzare papi? Manuele: Perché ho preso forma col divano. Giuseppe Riccioni [40], Ussita (MC), 5 aprile 2018 Sono Giuseppe Riccioni, abito ad Ussita e vivo e lavoro in questo paese da più della metà della mia vita e niente, sono qui a raccontare quello che è stato per me questo periodo che va dal 24 agosto e direi fino ad oggi in un modo mio, un modo che ho voluto ricordare mettendo giù delle, degli appunti, dei piccoli scritti, un elenco, non infinito, ma spero sempre lo sia infinito, di brindisi, di tutta una serie di eventi, di cose successe in queste… in questo posto dopo il terremoto. Ehm, certo, dopo il 24 agosto, vedendo tutto quello che era successo intorno a noi, si giocava, qui con il terremoto, non avevamo chiaramente la minima idea di quello che poi sarebbe successo dopo, questo sia a livello privato che, purtroppo o per fortuna non lo so, per quanto riguarda il mio lavoro che fa parte poi dell’emergenza, che è stata un’emergenza nell’emergenza e poi è stata un’emergenza privata nell’emergenza dell’emergenza. Quindi ho cominciato, un po’ per sfogarmi, un po’ per ricordarmi le cose, a scrivere delle cose. Vorrei leggervi questa che è dell’8 novembre 2016 che mi è venuta guardando, ricordando, i miei paesani che la mattina del 30 ottobre [2016] hanno dovuto lasciare questo posto forzatamente. Oggi alla data del 5 aprile [2018] posso dire che sono ritornati tutti e quindi penso che sia il momento migliore per ricordare questa cosa con un grandissimo sorriso, e… Dice il saggio dall’alto della sua montagna: «Quando l’ebrei s’allontanavano da Dio, nel vecchio testamento, lui je mannava le piaghe». Dico io «Che c’entramo noi che semo marchigiani?» Il grande pastore [Renato Marziali], ripetendo la sua conoscenza a memoria, imparata dai grandi autori classici, non perde occasione per cantare anche i suoi versi, scritti durante i lunghi pascoli estivi e i lunghi inverni davanti al focolare. Come un personaggio di altri tempi, pronto per la transumanza del suo gregge, si sposta al mare coi suoi cosciari e tutti i suoi attrezzi che in questo momento non userà, ma saranno tra i suoi beni più cari. Di questo e di tanto altro sono fatte le persone che sopravvivono in questi luoghi, duri come le rocce ed allo stesso tempo selvaggi dove si respira sempre un’aria talmente pura che ti lascia inebriato al solo suo pensiero. Solo chiudere gli occhi mi fa pensare al candido mantello di neve che presto cadrà, e che come davanti una tela bianca forse ci darà l’ispirazione del disegno futuro delle nostre valli e delle nostre vite. Neve, ispiraci tu con le tue forme morbide. Ghiaccio, ispiraci tu con i tuoi disegni spigolosi e taglienti. Solo il ritorno dei fiori e delle acque che scorrono felici in mille rigoli diversi ci dirà se il letargo invernale fatto di fantasmi creati dal sole e dalla nebbia avrà caricato le batterie delle nostre menti, perché i nostri corpi saranno smunti e molto provati. Arrivederci a presto Renato, uomo che non conosci la noia. E quindi questa è, uno scritto che m’è venuto quel giorno che ho visto questo grandissimo personaggio che abbiamo qui ad Ussita, che in mezzo a quel disastro m’ha fatto uscire un sorriso e ho voluto ricordarlo così. E va bene. E poi, quasi per scherzo, ho incominciato a tirar giù, la sera soprattutto, quando stavamo in roulotte con un mio amico ed altri amici, un elenco di brindisi, di frasi corte che rendono l’idea. E quindi ripeto, spero che sia una serie infinita, che durerà per tutta, per tutta la mia vita, questa storia dei brindisi, perché mi è piaciuta molto. Quindi direi, cominciamo così: A ‘sta gente che c’ha sempre voglia de rompe i coglioni. Brindisi. A ‘ste zuppe pronte tipo Zuppa il casale. Brindisi. Ai gruppi musicali che hanno fatto veramente qualcosa di nuovo. Brindisi. E poi altri momenti: Bestemmiavo e piangevo. Brindisi. Il sorriso dei bimbi. Brindisi. E poi: Il freddo che ritorna sempre sottile ed affilato, mi aliena come non mai da un mondo che mi impaurisce anche solo così com’è. Brindisi? Anche no. E poi in altri momenti. Febbraio 2016: Il privato è differente. Brindisi. Marzo: Sedie a sdraio, due. Scalino d’ingresso. Amici. Bove. Bicco. Sole. Vento. Birra. Quasi primavera. Barba lunga. Fotografo [Mauro Pennacchietti]. Brindisi. System of a Down. Salve. Sorriso. Brindisi. Contrabbasso. Sonica. Brindisi. Poi: Ritratti a tempo. Ancora barbe lunghe a imprimere nel futuro un momento che in questo momento è già passato. Osservati, guardati dall’interno della nostra piccola cassa di risonanza: un cuore metallico che batte quando ci si vive dentro, pulsa pure. Brindisi. E poi Una taranta che porta l’estate in un posto che è lontanissimo del Salento. Brindisi. Sciacallaggio proprietario. Brindisi. Un attimo eh. Perché è a più riprese e non vorrei… Addirittura questo. Non dico niente. Brindisi. E poi questo. Non è completamente un brindisi ma: Verrei ovunque. Non esistono luoghi lontani, persone lontane o cose lontane. La certezza di trovare quello che si cerca è dentro un battito d’ali di colore rosa. Il rumore del colore ci fa sentire dagli occhi quello che a volte le orecchie non percepiscono. Silenzio. Grande silenzio. Brindisi. Telo. Sigarette. Pratino. Casetta. Brindisi. Brividi elettrici sulla schiena. Brindisi. E poi: Al fresco della sera. Brindisi. E poi: A volte bestemmiavo solo e non piangevo. Brindisi. E poi: A fine pasto restavano sui piatti le forchette sempre sdentate, tutte diverse, gesti diversi, di mani piccole. Brindisi. Così. E… Non lo so. Poi, dopo un anno, praticamente un anno dal terremoto di ottobre 2016, sono riuscito a fare un viaggio che volevo fare da tutta la vita, in un posto bellissimo e dove mi è capitato anche lì di scrivere delle cose diverse, che mi sono segnato, e… durante un tragitto, in un autobus tutto scassato, ho scritto questo: Vuoto nella testa, questo momento bloccati nel traffico, dopo poche ore abbiamo percorso solo pochi chilometri. Uno spostamento può variare dalle 5 alle 15 ore e tutto sembra scandito da un tempo che sembra pesare solo a noi stranieri. A tanti sembra di essere all’esterno della gabbia, io penso che siamo noi dentro e anche stretti stretti. Esperimenti sociali tra mastodonti carichi di persone. Piccole vetture Maruti-Suzuki e una miriade di motorini, tutti che vanno o vengono da qualche posto e tutti che alla fine sembrano più normali di come ci sentiamo noi. Questo paese sacro, complesso e semplice allo stesso tempo, mi riporta a quello che è il metro di misura minimo per vivere con molto poco, quando le giornate servono solo ad affrontare altre giornate, e per loro, la vita attuale, serve solo per affrontare altre vite. Credo che… Parlavo del Nepal, quindi mi era piaciuta questa sensazione che mi ha dato questo paese. Poi per carità, ho scritto anche tante altre cosette, però me le tengo per me. E… Che dire…. Sono passati, ho compiuto quarant’anni un anno esatto da terremoto 2016 e… è una vita diversa, fatta di esperienze diverse, con cose diverse, case diverse e… mi sono fatto adottare da un gatto, eheheh, che non si fa accarezzare, quindi è il gatto perfetto per me, e… non lo so… mmmh. Quello che poi adesso sarà lo vediamo ogni giorno, ogni giorno in maniera diversa, il mio punto di vista è più tecnico magari rispetto ad altri, visto che lavoro in questa che speriamo diventi la fine dell’emergenza, e quello che è un inizio di ricostruzione. Certo è, qui resterà chi decide di restare. Non la vivo come un dramma, non la vivo come una sconfitta, l’avranno detto in tanti, il terremoto è stato un grande acceleratore di cose: quello che era un processo lento ed agonizzante è stato solo, appunto, accelerato. E… Che dire… Vi leggo un’altra cosa, che vorrei evitare totalmente di parlare di quello che è proprio il discorso del terremoto, è assurdo ma è così, perché tutti hanno detto qualcosa, tanti hanno detto qualcosa, anch’io ho detto tantissimo, ma un concetto di auto-condizionamento positivo è quello di parlare di altre cose: basta terremoto. Basta terremoto. Bisogna guardare avanti. Quindi, a questo punto, quello che ho detto prima non vale più e leggo qualcos’altro. Allora… un attimo di pazienza. Questo è uno scritto di aprile 2017, ci stavamo un po’ svegliando dal letargo invernale, in quello che era il grandissimo campo roulotte e camper di Ussita, fatta da meno di dieci mezzi a motore fermi nel fondovalle. Cazzo! Aprile con gli occhi lucidi di brina, sembra che questa primavera sia arrivata a salvarci da mesi di letargo che solo in apparenza ci hanno fatto dormire. Ricordi di Londra. Non so perché, ma tanto tempo per pensare fa tornare ovunque si voglia, persone, odori, visioni e ancora ricordi, vaghi, offuscati, ma emozionanti al solo pensiero personale dell’esperienza vissuta. Quante cose vissute: una vita, un secondo, un tanto quel che basta, è quello che poi ci basta sempre. E poi… occhi bellissimi, aspettati inaspettati tutte le volte. Tutte. È da tanto che conosco e ripeto una poesia di Trilussa. C’è un’ape che si posa su un fiore di rosa, poi s’alza e se ne va. In fondo la felicità è una piccola cosa. Oggi ho ucciso un’ape, mi voleva pungere e come sempre l’essere dominante, qual è l’uomo, ha scatenato tutta la sua violenta forza contro un piccolo essere, niente felicità: né per me, né tanto meno per l’ape. Morta. Musica. Percezioni. Sensazioni. Ricerca interiore. Tutto questo qui ora, insieme alla presenza brutta di un traliccio che spezza l’armonia e che sfigurerebbe anche nella periferia peggiore della peggiore città. Le cime di queste piante, come vele che gonfiate dal vento sembrano riuscire a muovere tutto quello a cui sono per natura attaccate, radici ben piantate nel terreno. Può capitare che tutto si spezzi ma, un giorno, riusciranno a germogliare di nuovo. Grande felicità. Infinita felicità. Non lo so. Leggo, poi… Boh, sto male, non riesco a gestire questa situazione o stato d’animo, perché quando tutto è strano, quando tutto non va, quando tutto è silenzioso, perché? Mi piacerebbe chiamare tutti e allo stesso tempo tutti non capirebbero. Forse è vero, la scimmia della disintossicazione sociale e umana è la peggior condizione che io abbia mai provato. Ti prende allo stomaco cercare te stesso, ti prende con la forza e ti senti veloce, uno sforzo assurdo resistere alla velocità che nello stesso momento ti droga e ti esalta. La vera esperienza è lo sconosciuto, l’inconscio e il celato. Scusate, rileggo man mano delle cose che… che è veramente simpatico. Pomeriggi ventilati, di fuori e dentro il corpo. Occhioni lucidi di un piccolo cagnolino e pensieri lucidi di cagnolini lontani da qui. Moretto, quando siamo diventati amici io e te, ci siamo scrutati per anni e solo la paura vissuta insieme e la successiva carezza reciproca ci ha veramente legato. Piccolo grande esploratore che sei, amico peloso. Ammiro di te la tua libertà, anche quella che a volte ti avvicina alla morte più violenta, dove gli istinti di cacciatore trovano massima espressione dell’essere tu parte della natura. Facciamo che basta, a leggere, facciamo che basta. Penni [Mauro Pennacchietti], non so più cosa dire. È stato, è bello bello. È bello bello bello. E quindi niente, a parte le stupidaggini, questo è il mio modo di ricordare questo bellissimo periodo, guardate il mio sorriso è stato tanto duro, ma allo stesso tempo appagante, è stato emozionante e a parte l’aspetto legato proprio alla catastrofe così, se la vogliamo chiamare, del terremoto, ci ha permesso di conoscere tante persone nuove e di conoscerci sicuramente anche dall’interno, cioè di conoscere proprio noi stessi. Per quanto mi riguarda ha abbassato le aspettative delle comodità, delle necessità ad un livello molto basilare, nel senso che… non che fossi abituato a tutte queste grandi comodità, ma… come dire, la certezza di poter sopravvivere con veramente poco… ora ce l’ho. Ora ce l’ho. Che poi se vai a vedere non è poco per niente. Però, veramente, l’arte di arrangiarsi è servita tanto e chi non era capace ha imparato a farlo. Senza dubbio. Tutto qua. Facciamo uno stop? Magari. Eheheh. Intervista video Daniele Aleotti [80], Ussita (MC), 2 marzo 2018 Mi chiamo Aleotti Daniele, adesso mi trovo ad Ussita nelle casette che ci hanno assegnato a seguito del terremoto. La prima scossa c’è stata il 24 agosto del 2016 ed ha messo un po’ tutti quanti in allarme, siamo usciti di casa, la scossa è stata di notte ed è stata abbastanza forte: c’è chi è rientrato in casa e chi no. Io non sono più rientrato perché la paura era stata abbastanza e per diverse notti abbiamo dormito nella macchina, poi abbiamo rimediato una roulotte e abbiamo iniziato a dormire lì. Il terremoto del 26 ottobre è stato tremendo, c’è stato la sera, quando avevamo finito di mangiare, ma ci trovavamo ai piedi delle scale di casa, non dico fuori ma non stavamo né fuori né dentro, in un corridoio prossimo alla porta. È iniziato questo terremoto che non finiva mai, era lungo e continuo e la paura è stata tanta. Pioveva, è andata via la luce, erano le nove di notte ed ecco, è tutto qui. Quella sera abbiamo dormito chi dentro la macchina, chi nella roulotte, e abbiamo tirato avanti ancora qualche altro giorno. Il 30 [ottobre] mattina c’è stata un’altra scossa abbastanza forte [6,5 Richter], forse più forte di quella del 26 [5,9 e 6,1 Richter], forse, non lo so: eravamo io con mia moglie, e ci sballottolava da una parte all’altra dentro la roulotte e in seguito quel pomeriggio [del 30 ottobre] ci hanno fatto andare via dal paese ci han portato presso le zone di mare. Laggiù ci siamo trovati abbastanza bene, siamo stati vicino a Porto Recanati, ci hanno alloggiato in un campeggio, il Medusa, ci hanno dato da mangiare, e si mangiava bene, siamo stati bene. Siamo rimasti in quel campeggio fino ad aprile, poi ci hanno spostati a Sirolo, in un campeggio di Sirolo, dove il mangiare non era un granché, non era… insomma lasciava un po’ a desiderare. Io comunque ci sono stato poco perché nel frattempo che dal Medusa si sono spostati a Sirolo, io mi trovavo a Ravenna, esattamente a Cotignola, perché ho dovuto subire un intervento al cuore. Quando sono ritornato da Ravenna sono andato direttamente a Sirolo, per pochi giorni, poi da lì siamo andati in un albergo a Loretodove si stava discretamente, non si stava male. Infine da Loreto siamo ritornati qui ad Ussita e ci hanno consegnato queste SAE. Questa è tutta la storia della situazione. Certo, c’era sempre il pensiero del figlio [Giovan Battista Aleotti], quello che era rimasto qui ad Ussita col freddo dell’anno passato… che viveva dentro una roulotte e noi eravamo giù e noi stavamo sicuramente… noi stavamo pure bene ma… Insomma c’era sempre questa cosa del figlio qui. La storia è un po’ questa. Quello che succede dopo è che giustamente stai fuori di casa e se anche che ti danno tanto, ti manca sempre tanto perché non stai mai a casa tua, no? Ci sono sempre diverse cose che non vanno come vorresti. E tutta la storia che finisce così... Siamo ritornati qui, però mia moglie, che faceva la parrucchiera, ha il negozio distrutto e non lavora, ad oggi ancora non ha ripreso e non fa niente. Ci han dato questa casetta ma manca pure il lavoro per chi ne aveva uno. Più di questo adesso non so cosa dirle, e non c’è da dirle… con la speranza che piano piano un po’ migliorerà, con la speranza, ma non si sa… Intervista video Luca Basilli [34], Ussita (MC), 16 febbraio 2018 Sono Luca Basilli, ho 34 anni, siamo a Ussita, in questo momento siamo dentro un’abitazione, dentro una SAE di 60 metri quadrati. E che dire del terremoto… Il terremoto che ci ha preso, la prima scossa, quella della notte (24 agosto 2016) è stata una scossa che non ti faceva capire più di tanto, avevi l’impressione di non riuscire a tenere niente tra le mani, tutto ti sfuggiva, ti sentivi impotente di essere al mondo e vedevi la disperazione e lo smarrimento sul volto delle persone, il non capire quanto sia grave quello che è successo, l’impulso di fuggire, di scappare da qualcosa che magari poi si è rivelato più grande di quello che pensavamo… Ci ha buttati giù dal letto, diciamo, ci ha fatto una sveglia molto molto molto forte, poi ci siamo resi conto che non era più vivibile. Un primo tempo io mi sono, diciamo tra virgolette, appoggiato da mia zia che abita verso il mare, a Porto Sant’Elpidio ed i miei genitori sono rimasti qui. Dopo quella scossa è stato un continuo ripetersi di scosse, più grandi, più piccole, non riusciva a smettere. Perciò quei giorni io li ho vissuti lontani dalla famiglia, col pensiero comunque che la situazione stava degenerando velocemente anche se riuscivamo ancora a stare nelle nostre abitazioni: io parlo del mese di agosto, della prima scossa, quel periodo lì. Poi è successo che io ho avuto altri impicci, altre cose, mi sono dovuto assentare da casa, con mio fratello che stava a Macerata, mi trovavo da lui, quando è venuta la scossa più grande, quella più forte, quella con l’epicentro ad Ussita e lì, quella notte, una notte da film io dico, un po’ un film tragico, no? Distruttivo. La scossa io l’avevo avvertita anche a Macerata con mio fratello. E pioveva, pioveva veramente tanto e la gente… io ero sceso da casa con mio fratello, ho visto cose… gente che usciva in pigiama, gente che usciva col piatto sulle mani, gente che urlava, strillava, prendeva i bambini e se li tirava così… se li tirava, li prendeva in braccio. Veramente una brutta situazione, un brutto momento. Le linee telefoniche che erano intasate. I social network… Facebook, WhatsApp… cercavo in qualche modo di contattare la famiglia, ma era impossibile. Poi siamo riusciti con difficoltà, dopo un pochino di tempo, a metterci in contatto: la situazione era più che grave perché le strade erano interrotte, sia qui a Ussita, Visso, Castelsantangelo [sul Nera] che andando verso Tolentino perciò era impossibile praticarle e io mi sono fatto venire a prendere da questa zia che gentilmente mi ha ri-ospitato e sono tornato giù da lei. Di lì a poco, qualche giorno dopo, il sindaco di qui ad Ussita ha emanato un’ordinanza con cui ci doveva essere lo sgombero totale del comune e ci hanno portati, la Protezione Civile ci ha trovato una sistemazione alla Risacca a Porto Sant’Elpidio dove siamo stati per diverso tempo. Abbiamo dunque vissuto questa situazione dalla montagna al mare, con tutte le abitudini che uno poteva avere e che logicamente uno non ritrovavi perché eri stato in qualche modo sradicato dal tuo territorio, cioè il tuo territorio ti aveva strappato le origini, le abitudini la storia e non per scelta ma per obbligo ti aveva reso un po’ nomade, perché ti ha portato in una situazione opposta, dal mare alla montagna appunto. Siamo rimasti alla Risacca per diverso tempo, per circa otto mesi. Lì abbiamo dovuto fare un lento adattamento delle tante situazioni diverse e in quel periodo comunque c’era anche da recuperare il più possibile, no?... quella che era la nostra prima vita, io la chiamo così, perché noi abbiamo vissuto, stiamo vivendo due vite a mio parere. Quella prima del terremoto e quella dopo del terremoto. Abbiamo dovuto recuperare il più possibile a casa nostra, perciò lì c’è stato un graduale trasloco, un graduale recupero e la sensazione, la mia prima sensazione quando sono entrato nella mia casa, qui vicino, a Sasso, una frazione di Ussita, è stata una brutta sensazione, io potrei descriverla facendo un esempio, passatemelo: è come entrare dentro un cadavere. Un cadavere è una persona morta, è una persona fredda, è una persona senza vita, senza anima. Beh quella casa era così: era una casa fredda, spoglia, vuota, morta. Io ho avvertito subito questa sensazione e ho avuto anche dei disturbi: un po’ di battito accelerato, un po’ di giramenti di testa, anche perché la situazione era rischiosa, stare dentro una casa danneggiata, con i Vigili del Fuoco, con scosse in atto, ti dava anche una sorta di paura… Finalmente siamo riusciti con il tempo, parecchio tempo, a svuotarla, perciò abbiamo recuperato delle briciole del nostro passato, dei ricordi e quei ricordi cercheremo in qualche modo di trapiantarli in quello che sarà il futuro di questo paese, di Ussita, delle strutture. In seguito io mi sono trasferito insieme a mio padre a Vari, che è una frazione di Pievetorina, in una casa che non era danneggiata. La situazione era perciò che io e mio padre eravamo a Vari in questa casa mentre mia madre, mio fratello e mio nonno [Salvatore Cascioli] erano a Macerata nel quartiere delle Vergini. Abbiamo vissuto questa divisione per parecchio tempo, perciò il terremoto si può dire che è stato vissuto in molte forme: io ho sempre pensato che il terremoto colpisse le strutture, danneggiasse le strutture, ma colpisce anche il morale, l’interiorità delle persone, e frammenta e spezza le famiglie, spezza le abitudini, spezza la storia, l’arte. Qui se permettete faccio anche un appunto, avevamo delle bellissime chiese, delle bellissime strutture storiche, una bellissima torre, un cimitero che ce lo invidiavano, che è la storia, quella storia che c’è stata concessa per tanto tempo che ad oggi non c’è più e coloro che verranno, non vivranno una realtà ma sarà soltanto un ricordo e un raccontare di quello che noi avevamo. Noi perciò ritornando al punto di prima abbiamo vissuto divisi per parecchi mesi, e c’è stato anche un abituarsi a degli spazi diversi, a delle abitudini diverse, a degli orari… ad un insieme di cose diverse e che non è stato bello perché la famiglia è bella quando è unita, no? Si fa forza, soprattutto in questo contesto si fa forza. E noi non eravamo uniti fino a quando ci hanno dato questa casetta, dove adesso io e la mia famiglia siamo finalmente riuniti e stiamo qui. Questa è una bella casa, una casa moderna a differenza della casa che avevo prima che era molto rustica, era molto di montagna direi, però una casa calda, con tutti i comfort di una bella casa. Adesso c’è da ricominciare ad abituarsi a tante storie. Comunque vivere in un paese circondato da macerie, da ricordi, è un po’ lo specchio di quello che è una persona, io penso, perché noi a quei ricordi ci tenevamo e ci tenevamo viverli quei ricordi, adesso non è più possibile e perciò guardare indietro fa male… perché certe emozioni, certe sensazioni, le potevi avere quando vivevi quel momento e in quel punto, di Ussita, e adesso quel punto non c’è più, quel monumento, quella chiesa, quel piccolo angolo di paradiso, al quale noi eravamo abituati ma di cui magari non ci rendevamo conto. Si dice sempre che le cose si apprezzano tanto quando uno non ce le ha più, e questo penso sia un’esperienza che ci ha fatto capire molto questo insegnamento. Adesso noi dobbiamo ricominciare a fare una cosa, è quella di apprezzare quello che abbiamo, ora, che non è più quello che avevamo e quello che verrà. Questa… questa esperienza del terremoto, penso che deve far riflettere anche su un’altra cosa: che tutte le cose materiali a questo mondo possono anche passare, però la vita, oltre alle strutture, è quella che deve andare avanti, perché una struttura per quanto legata a dei ricordi, a degli affetti si può ricostruire, no? Una vita, una volta che tagliata fuori e interrotta, è impossibile da ricostruire. Ci deve far riflettere sul senso della famiglia, l’unione della famiglia che dev’essere ancora più unita dopo questa esperienza, che il punto forte deve essere il sapersi appoggiare l’uno sull’altro e tirare un po’, come si suol dire qui da noi, a campare. Intervista video Salvatore Cascioli [90], Ussita (MC), 2 febbraio 2018 Io sono Cascioli Salvatore, nato a Ussita, ho 90 anni. Se parliamo del terremoto, tutte e due le volte mi trovavo al gabinetto: la prima volta mi ha staccato per aria, il secondo non riuscivo a trovare la porta d’uscita. Il terremoto è stata una cosa paurosa, veramente. Poi se vuoi sapere altre cose me le devi chiedere. Ci siamo stabiliti subito alla Risacca a Porto Sant’Elpidio e là ho festeggiato i miei 90 anni, è stata una bellissima cerimonia perché organizzata bene e tutti hanno partecipato, è una soddisfazione personale. Questo più o meno quello che ho fatto dopo il terremoto. Ho preso una casettina a Macerata, nella zona delle Vergini di Macerata. Basta, non è che c’ho tante cose da raccontare, però se vuoi sapere quello che ho passato, quello che è successo… non lo auguro a nessuno, perché il terremoto è stato devastante, non ti fa capire dove sei, dove ti trovi, che cosa… se ti salvi o se non ti salvi… è una cosa brutta persino a raccontarla. Adesso mi hanno dato questa casetta a Ussita, me ne sono ritornato qua ed ho lasciato la casa perché l’avevo presa in affitto… in affitto… nemmeno era in affitto perché era stata la Regione che gliel’ha data e basta, anzi, passavano anche a portarmi da mangiare. [D: Cosa facevi alla Risacca?] Uscivo poco, anzi, però ci sta un fatto, che facevo quei 5-6 chilometri a piedi che andavo giù alla spiaggia, e questo lo facevo tutti i giorni. Insomma mi sono trovato bene alla Risacca, mi sono trovato sicuramente bene e ci vorrei tornare se… Mi sono venuti a trovare il padre, il proprietario, con la figlia e il marito… Mi sono venuti a trovare! Per quanto, quella gente io la ringrazio perché ci hanno trattato bene. Che altro ti posso raccontare? Per il momento proprio non mi sovviene niente di particolare. Intervista video Graziella Pennesi [60], Mirco Santacchi [36], Sesta Caldarelli [90], Valentina Pandolfi [26], Camerino (MC), 7 gennaio 2018 Sesta: Cominciate voi no, che siete giovani. Mirco: Comincia te, dai... Graziella: Allora, io sono Pennesi Graziella, ho sessant’anni, ho già vissuto altri terremoti… diversi… Quello del ’97, che ero già fuori casa nel ’97 e di nuovo nell’agosto del 2017 si è… Valentina: … [20]16… Graziella: … si è ripetuta… si è ripetuto il terremoto e già in agosto la mia camera era inagibile e quindi mi sono adattata a dormire su un divano-letto in sala e sembrava che fosse finita lì la cosa e invece con il passare dei mesi c’è stato il terremoto, quello di ottobre, ancora più grande e devastante e quindi la mia casa ha avuto dei gravi danni e siamo andati poi a vivere momentaneamente a Senigallia, che la paura, l’agitazione, il fatto di non aver una casa e poter rientrare, eccetera eccetera, ci ha fatto vivere questa condizione così ansiosa e abbiamo preferito andare a Senigallia e staccare un pochino la spina. Siamo stati lì per un mese e poi ecco, siamo tornati, ci siamo adattati a questo container che è stato dato a mio figlio per lavoro e tutt’ora è più di un anno che ancora viviamo in queste condizioni, ancora siamo qua dentro con disagi… Ecco, le poche cose che uno è riuscito a prendere, perché tutto è ammucchiato, tutto è messo non si sa dove, viviamo in questa condizione così. E niente, anche mia madre che c’ha novant’anni e anche per lei la stessa situazione e poi vi racconteranno loro. Mirco: Io sono Mirco Santacchi, ho 36 anni e anche io insomma… noi diciamo, a parte mia nonna, noi tre al momento del terremoto stavamo tutti sulla casa praticamente qui sopra dove abitiamo adesso e noi praticamente dal… io lavoro per l’ENEL e quindi io dal momento del terremoto sono partito subito in servizio. Addirittura il giorno [26] di ottobre sono partito in servizio insieme al mio collega senza essere reperibili, senza essere chiamati solamente sentendo il fatto che c’erano problemi a Visso siamo partiti ad Aiutare i colleghi reperibili, poi da lì niente, è stato uno stravolgimento totale perché poi, da quel momento in poi abbiamo lavorato le prime due settimane senza sosta tutti i giorni da lunedì a domenica senza orari, senza niente, quindi… le prima due settimane così… Per dormire mi sono appoggiato una volta su un capannone, un po’ di volte a Serravalle [del Chienti] dove c’è una palestra che fu donata nel terremoto del ’97 da [Diego] Della Valle e poi dopo successivamente, devo dire grazie alla mia azienda, ci hanno per… per qualche mese un camper, quindi siamo stati per qualche mese su un camper, sempre poi per motivi di servizio, perché poi per riuscire a lavorare in zona era impensabile lavorare dalle 7 di mattina alle 10 della sera e poi prendere e andare al mare e tornare su… Cioè, era impensabile… e quindi nel breve periodo, siamo stati… sono stato io praticamente su questo camper e poi successivamente col giusto tempo, sempre la mia azienda ci aiutato a posizionare queste strutture temporanee finché non ci vengono consegnate delle casette SAE [Soluzioni Abitative in Emergenza] e purtroppo ecco, a distanza di un anno e tre mesi circa dal terremoto, ancora siamo qua… ancora non si riesce a veder niente. Poi qui a Camerino, dove siamo noi, penso che prima di aprile non penso che ci verranno consegnate. Quindi la seconda invernata qui dentro con le dovute difficoltà, perché comunque noi le affrontiamo sia per un discorso di lavoro sia per un discorso che nessuno di noi vuole allontanarsi dalla terra nostra, perché comunque sia se tutti si allontanassero poi anche qua le attività con cosa lavorano se non c’è più nessuno: c’è bisogno anche di persone che stiano nel territorio. E quindi niente, io dal terremoto praticamente sono rimasto da solo perché la famiglia è andata tutta quanta a Senigallia e io… lei [Valentina Pandolfi] è la mia ragazza sta a Serravalle [del Chienti], io comunque ho lavorato sempre, non c’ho avuto modo né di telefonare, niente… Quindi solo lavoro per circa due mesi. Poi dopo niente, dopo c’ho avuto un problema, perché dopo che succedeva: si lavorava tutto il giorno, poi la sera che anche uno tornava c’era da scaricare i mobili sulla casa, da fare altri sforzi e, dopo circa tre mesi dal terremoto, mi sono venute due ernie cervicali e sono stato bloccato sul letto per praticamente due mesi, tutto quasi tutto l’inverno. Quindi diciamo, ci ha cambiato molto la vita. Noi adesso, mentre prima si andava su in centro a Camerino, adesso è tutta Zona Rossa… attualmente si tende a uscire poco. Si lavora… si lavora molte più ore rispetto a prima e poi diciamo tanto tempo per uscire come prima non c’è… Magari ci ritroviamo come con gli amici ecco, se torna qualche amico che è di fuori, così… sennò di norma si esce pochissimo, pochissimo. Poi non so. Vuoi dire qualcosa te? Sesta: Parlo io, eh. Io sono Caldarelli Sesta, ho novant’anni, due volte che esco da casa per il terremoto e non je la faccio più, non se ne pole più proprio, guarda. È una cosa spaventosa e nessuno fa niente. Non è troppo troppo oziosa ‘sta faccenda? Che nessuno fa niente, che non se sa niente. Hanno fatto la cosa, tutte le ricerche, dice ‘mo cominciamo cominciamo, ma non comincia mai nessuno. Come se spiega ‘sta faccenda? Perché non cominciano? Per quale ragione? Non lo capisco io, non è che è tanto guastata, perché l’altra volta quatr’anni so’ stata fori io. Quattr’anni, dal ’97 siamo rientrati nel 2001. Adesso, un’altra volta, è più d’un anno, io c’ho novant’anni, non ne posso più. Guarda, non ne posso più. Non je se fa più, perché è disagio da tutte le parti, non sai do[ve] sta la roba, non te ritrovi, te se confonde le idee perché a una certa età se confonde pure le idee e sai che è? Che ce ne ‘rtornamo pochi a casa, eh? Penso proprio questo io. O lo fanno apposta, perché dice almeno se more un po’ de vecchi, non je damo più la pensione. Io penso pure questo. Sarò… Io so[no] pessimista de natura, però… però è proprio… guarda è sempre peggio, sempre peggio, sempre peggio. Ma che… che… che vita è questa. Questa è vita è? E tanti stanno lì a scià sulle Dolomiti, belli tranquilli paciosi, pieni di soldi: non pensano a li poracci che stanno a penà! Non ce pensano! Però, ogni nodo arriva al pettine. Mirco: Detto marchigiano. Graziella: Detto marchigiano. Sesta: Eh, io non c’ho altro da dire, perché tanto… Mirco: E dopo ci stanno i disagi, ovviamente, perché nonna, novant’anni, abituata comunque sia all’indipendenza sua a casa sua… Sesta: Tutte le cose tue. Mirco: … quando arrivi a una certa età è impensabile, come ad esempio vogliono fare i politici, di spostare gli anziani, li porti di qua, li porti di là… cioè quando un anziano arriva a una certa età, se ancora ha una sua indipendenza, non è più pensabile di spostarlo come fosse un pacco. Cioè, uno quando è giovane fai tutto, ma gli anziani vanno gestiti in una maniera completamente diversa se uno li vuole gestire in una maniera umana, altrimenti vuol dire soltanto portarli a morire alla fine, perché poi si appenano anche per cose… Sesta: Futili. Graziella: Futili. Mirco: Futili. Sesta: Delle volte anche per cose futili. Mirco: Sì, sì. Sesta: Delle volte te pija la pena. Non lo so se che se deve fa[re]. Mirco: Sì, perché poi la vita sul container, ecco sai… Graziella: Spazi ristretti. Mirco: … spazi ristretti, non c’hai i vestiti, tutto ammucchiato, tutto… cioè, comunque sia le case qua, i metri quadri qua so[no] pochissimi, quindi la vita è quella che è insomma. Graziella: Poi un attimo ti cambia tutto, no? C’è una vita, una casa, un lavoro. Una stabilità. Una tua vita tutta bella disegnata e in un attimo non c’hai più niente: non c’hai casa, non c’hai il lavoro, non c’hai sicurezze, non c’hai un futuro. All’età mia, a sessant’anni, il lavoro quando lo ritrovo più nelle zone nostre, no? Sei disposto a muoverti, ma non c’hai vent’anni. Non c’hai trent’anni. Non c’hai quarant’anni. Quindi è tutto… l’età in cui dovresti cominciare a raccogliere i frutti della vita che hai vissuto, e invece di rimettere via, di ricominciare a inventarti senza sapere neanche come. Poi vivendo rinchiusi qua dentro, non c’hai nemmeno tanta possibilità di andare in giro, perché dove vai? La città non c’è più. Non ti muovi più. Non hai più una vita. Quindi completamente cancellato quelle che erano le tue abitudini, anche le più semplici, le più stupide, no? Quindi ti ritrovi che dici, che senso ha tutto questo? Cioè… Sesta: La dignità. Graziella: … il senso della vita, no? Sesta: Te levano la dignità. Graziella: E non vedi il futuro! Poi io sono una persona ottimista, che cerca sempre il lato positivo. Cerco sempre di trovare i miei spazi e non toglierli, però è sempre una vita non vissuta, e chi te la ridà? Chi te li ridà questi anni? Nessuno. Sesta: Io non lo so di chi è la colpa. Lu terremotu naturalmente è naturale, non se po’… Ma che non te danno quell’’aiuto, quel non so che d’affetto, d’amore, de pazienza… Niente. Non vedi più nessuno. ‘Mo per le elezioni vogliono il voto. Capito? Mmm! Non se ne strefregheno. Chi c’ha li sordi se ne strafrega de li poracci. Te lo dico io che ho vissuto anche la guerra. Ne so checcosa [qualcosa]. Lasciamo perde[re] per carità, lasciamo perde[re] tanto, tanto a che serve di[re] ‘ste cose. Tanto chi te sente? Chi te vede? Per me non serve! Non te vede nisciuno, non te sente nisciuno. C’è un menefreghismo nel mondo che ‘rconsola l’anima. Graziella: Però non va bene nemmeno far passare tutto nel silenzio, comunque no? È sempre una voce che uno tira fuori. Sempre… Sesta: Fanno tutti come je pare. Chi c’ha li soldi se ne strafrega de noialtri poracci, te lo dico io. Graziella: Ma è normale. Se vivessi in quelle condizioni, probabilmente la vita la vivi… Il disagio. Il disagio di per sé, se uno non lo vive… Anche a Camerino, dicevamo con altre persone, che non ha perso né la casa né il lavoro, lo vive ma lo vive parzialmente e non si riesce a rendere conto di quello che significa la perdita di tante cose… Sesta: Perdi tutto. Graziella: … come quando successe all’Aquila: ti fanno pena, ci pensi, ma non lo vivi sulla tua pelle. È diverso: tu lo puoi raccontare, li puoi vedere, puoi star male vedendoli, dir «Pora gente»… ma quando lo vivi in prima persona e hai questo cambiamento radicale di vita e quindi vivi una vita non vita, è un’altra cosa! E non facile far capire questo. Per me è impossibile, cioè uno dovrebbe, come tutte le situazioni poi… si giudica, ma se non le vivi non puoi giudicare: dovresti vivere quella vita, quell’esperienza… no? So’ tante! Poi sono sommate già ad altre storie, quindi… già altri terremoti, altre case lasciate, quindi… Io sono divorziata quindi già il cambio di vita lì, quindi scegli di vivere in periferia per avere una tua tranquillità. Poi ti ritrovi che sistemi la casa, spendi i soldi, crei il tuo nido e poi in un attimo non c’è più e quindi questo è emotivamente… Sesta: È un disagio continuo. Graziella: … anche se uno cerca di non essere attaccato alle cose… Sesta: È un disagio continuo. Graziella: … alle cose terrene, no? Ho una testa, quindi non sono così attaccata, però il disagio comunque lo vivi. Dici, casa mia dev’esse[re] questa, pochi metri quadri: ci vivo bene, non mi lamento, comunque vado avanti, cerco sempre di non piangermi addosso, di non lamentarmi altrimenti poi non vivresti bene neanche questi anni nel disagio, quindi cerco di vivermi bene questi anni comunque, col disagio… e poi si vedrà. Se miglioreranno, lo vedremo… Se peggioreranno lo vedremo al momento, quindi… si vedrà. Sesta: Ma dopo, tanto, dopo che abbiamo detto tutto questo… sente qualcuno? Non credo. Non serve. Mirco: Comunque è pubblicato su internet. Graziella: È una voce. Sesta: Sì, ma non serve. Non serve, Mirco. Graziella: Tutto serve, è sempre una voce. È forse un modo per far capire forse il disagio che uno non vivendolo non capisce, no? Se tu non lo spieghi, non è… Anche se non lo vivi non lo capisci, però anche una piccola parte di quello che uno dice resta. Sesta: Ma chi lo deve capì? Chi lo deve sape’[re]? La persona cuscì, che poretti, può darsi pure che ti danno compassione, che io non la voglio e non l’ho voluta mai la compassione, perché io so[no] orgogliosa… Graziella: E tanto! Eheheh Sesta: … allora, però, m’hai capito? Ma chi dovrebbe sentire non sente. Quello io parlo! Chi dovrebbe sentire non sente. È sordi! Pazienza. Graziella: Valentina, lei che dice? Sesta: Tanto do va? Valentina: Io mi chiamo Valentina Pandolfi, ho quasi 26 anni, e al momento del terremoto diciamo che ho un po’ seguito questa famiglia, che fondamentalmente è la mia famiglia. È la mia seconda famiglia. Quando Mirco già dai primi momenti, dalle prime scosse, i primi problemi che sono insorti al lavoro, diciamo che ci siamo sentiti a strozzi e bocconi, come si può dire. E non dico che non sono stata in pensiero, perché penso che chiunque sarebbe stato in pensiero per le persone a cui stava a fianco, che ha a fianco, e quindi ho cercato già di sentirle sin da subito. Soltanto che c’è stato il panico e la paura era tanta, quindi ci siamo sentiti poco anche per messaggi, abbiamo potuto constatare che stavamo tutti bene ed è stato bene così. Poi quando a Mirco gli hanno portato il container, che non aveva vicino i suoi familiari, diciamo che l’ho affiancato un po’ come avrebbe fatto qualsiasi compagna nel momento del bisogno preparandogli la cena e facendogliela trovare nel camper i primi che aveva il camper. Dopo di che è stato anche un po’ un riavvicinamento sotto quel periodo, anche perché non potendolo vedere spesso come si poteva fare prima, ne ho anche approfittato: gli facevo quelle lavatrici, così aveva i cambi, come continuo un po’ a fare adesso un po’ per tutti… Graziella: Comprato i vestiti perché non c’aveva niente. Valentina: … comprato indumenti perché ovviamente casa era inagibile e… è inagibile… e non poteva entrare, un po’ per la paura, e un po’ non sapevo neppure le condizioni in cui era. Mirco: Faceva le scosse ogni minuto, quindi… Valentina: C’erano scosse continue… Mirco: Ogni cinque minuti una scossa forte. Valentina: … e quindi dalla paura mi sono adoperata e ho detto, qui c’è bisogno di farsi valere un po’. Come adesso qua non avendo tutte le comodità, ogni tanto faccio avanti e dietro facendo le lavatrici per tutti noi, perché ovviamente, dicono è un optional però la lavatrice… qui stendere non puoi stendere… Sesta: Ma non c’è manco la lavatrice. E poi dove la metti? Valentina: … e poi lavare è un po’ impossibile perché ci sono posti… Graziella: Ristretti. Valentina: … ristretti… e quindi non è poi tutta questa comodità che uno può pensare al di fuori. E io facendo avanti e indietro quasi tutti i giorni tra Serravalle [del Chienti] e Camerino, mi sto adoperando un po’ nell’aiuto di questa famiglia, anche perché mi fa piacere a me farlo e penso che siano contenti anche loro di un piccolo aiuto che fa sempre piacere. Graziella: Hanno iniziato la convivenza dentro al container. Eheheh. La loro convivenza è nata nel container. Sesta: Io ero una gran signora a casa mia. Stavo bene ancora. Mi facevo tutto da sola. Tranquilla. Graziella: Anche adesso. Sesta: Ma ci voleva il terremoto per farmi diventare una bestia. Graziella: Eheheh. Sesta: Guarda, è una cosa pazzesca. Mica ce se crede. Non ce se crede quello che se pena. Non poi uscì, non c’è nessuno qui… Io, se vanno loro a lavorà[re], io rimango qui da sola. Qui. Dalla mattina alla sera. Se rende conto lei? Sola. Dentro qui. Dove vai? Che fai? Mirco: Dai da mangiare al pettirosso. Graziella: Da da mangiare ad un pettirosso. Sesta: C’ho un pettirosso che gli do le mollichine lì davanti. Graziella: Era piccolino, magretto… adesso è bello cicciottello. Sesta: Beh, mica… Mirco: Non je la fa più a volà[re]. Valentina: Abbiamo anche le foto che testimoniano che mangia. Sesta: … ma mica va in nessun posto. Vede a me, non va in nessun posto. Gli passo vicino e non si muove. Mirco: No. Aspetta che gli dai a mangià[re] veramente. Graziella: Ah, poi con la neve alta c’abbiamo avuto il lupo davanti la porta… Sesta: È bello, guarda. Graziella: … un lupo proprio. Sesta: È bello la natura de vedé[re] Mirco: Eh, l’anno scorso, dopo il terremoto, ha fatto 2 metri di neve. Graziella: Due metri di neve. Siamo rimasti isolati e c’è venuto un lupo, eh… Sesta: L’anno scorso eh. Mirco: C’ha dovuto liberà i militari. Graziella: Poi i caprioli, ogni tanto c’abbiamo qualche visita. Mirco: Eh, vabeh, stiamo in campagna, è normale. Valentina: Inaspettata. Graziella: È stata inaspettata. Mirco: Il lupo magari un po’ più particolare. Sesta: Solo che a me fa piacere che le bestie so[no] più umane delle persone. So[no] più gentili, più bone, più… La natura è molto diversa dalle persone. Adesso siamo diventati un po’ bestiali, tutti. Non lo so perché. Sarà il modo di vive[re], questa fretta che c’abbiamo tutti, per corre, per jì dove non l’ho capito. Mirco: Mmm. Sesta: Non l’ho capito per jì dove. Che annamo tutti lassù. Graziella: Quando ci andiamo lo vedremo. Sesta: Mmmm. Graziella: Adesso cerchiamo di star bene qui, con quello che uno c’ha, cerca di vivere al meglio. Sennò butti via gli anni… così. Prima li butta via per un motivo, poi per un altro… stai sempre a vedere quello che c’avevi, quello che non c’avrai. Viviamolo oggi, poi si vedrà. Preferisco vivere bene oggi invece che pensà[re] quello che sarà domani o è stato, altrimenti stai sempre male, quindi… Io la vivo così. Anzi, abbastanza serena. Sesta: Lei c’ha la filosofia, io invece no. Io so[no] una bestia. Graziella: Eheheh. Mirco: Eheheh. Valentina: Eheheh. Graziella: Ognuno di noi lo vive a modo suo. Ognuno lo affronta… Sesta: Non è che non affronto, ne ho affrontate tante io. Graziella: … eh, ognuno l’affronta a modo suo, però non siamo tutti… tutti diversi. Sesta: Ma quante ne ho affrontate figlia mia. Questo non ce lo volea, no? Sulla vecchiaia uno ha bisogno de pace, de tranquillità, de serenità, de comodità, di tutte queste cose. Non c’ho niente. Graziella: E lo ritroverai. Sesta: C’ho un po’ de amore loro e basta. L’amore della famiglia. Mirco: Te pare niente? Sesta: È tanto, per carità. Graziella: Stavi da sola. Adesso guarda quanti ce n’hai appresso Valentina: Dai Marì, di la verità, che te sei ringiovanita con lo star con noi. Graziella: Eheheh. Sesta: Ma che me so[no] ringiovanita! Me so[no] rincoglionita. Valentina: Ahahah. Graziella: Eheheh. Mirco: Ne hai fatti due de terremoti… Pensa non c’è due senza tre. Valentina: Ahahah. Graziella: Eheheh. Speriamo de no. Sesta: Poracci. È meglio che lascia perde[re]. Mirco: Eheheh. Valentina: Eheheh. Graziella: Eheheh. Non ne parliamo. Sesta: Non ne parliamo più, per carità. In tempo di guerra non c’era filo, né da mangiare, né vestiti… Sai mamma con che m’ha fatto un vestito? Con le fodere dei materassi. L’ha tinti dentro un caldaio di acqua bollente e me c’ha fatto un vestitino. Non si trovava niente, emo [abbiamo] penato che non te dico. Adesso me ‘rtrovo… lascia perde[re] va là. Per carità. Graziella: Beh, loro vengono dalla guerra. Sesta: È una cosa pazzesca, guarda. C’avevo tre fratelli tutti e tre a fa[re] li militari. Due del 17’ e uno del ’15 richiamato. Graziella: È passato. Sesta: Quante n’ho passate, quante. A vedé[re] mamma sempre con le lacrime sull’occhi. Puf! Per carità! Graziella: E oggi ce stai te con le lacrime sull’occhi. Eheheh. Valentina: Eheheh. Sesta: Oggi so[no] io, eh. Graziella: La vita è ‘na rota. Mirco: Ostia se si forte. Con tutte quesse che hai passato, se non eri forte non l’avevi passate Graziella: C’ha novant’anni. Sesta: Eh no, ‘mo so[no] stata forte, sennò a novant’anni non c’arrivavo… Graziella: Così. Sesta: Non ce pensare. So[no] stata forte, e proprio perché c’ho un carattere forte che je la faccio ancora a reagì[re]. Graziella: E va bene. Concludiamo così Intervista video Renato Marziali, Casali fraz. di Ussita (MC), 4 gennaio 2018 @Cupi Marziali Renato, di Casali frazione di Ussita, ed ho l’età di 73 anni. Il terremoto di agosto [2016], è venuto di notte e io non ho avuto tanta paura perché dormivo, mi sono svegliato ed ero abbastanza tranquillo. Poi m’hanno cominciato a chiamare, hanno cominciato a fare un po’ di confusione, la gente è scappata. Io però non sono scappato fuori di casa. La mattina erano tutti quanti in subbuglio, era pieno de gente de Roma, della città, di quelli che hanno la seconda casa: era pieno. Quello che m’ha fatto un po’ brutto, più del terremoto, è stato che la sera non c’era più nessuno. L’autunno in genere sin dalla fine di agosto, la gente comincia ad andare via piano piano... Ma dalla mattina alla sera, restare solo: noi eravamo 7-8 persone a Casali… la sera sì, m’ha fatto un po’ senso, veramente m’ha fatto senso. Potrei pure citare una frase di Dante che dice: «Nessun maggior dolore che ricordarsi del tempo felice ne la miseria; e ciò sa 'l tuo dottore.» ¹ Questa è una frase che mette in bocca a Francesca da Rimini… e veramente quando la sera, più che il terremoto, quel fatto de essersi ritrovati 7-8 persone lì nel paese che era pieno, ecco quella era la cosa che m’ha fatto più brutto. Tempo dopo, una sera stavamo lì con un mio amico… tanti ad esempio hanno paura, scappano subito col terremoto... c’è stata una forte scossa di terremoto, non ci siamo, siamo rimasti così. Abbiamo detto: «Gorbu quanto è forte!» E poi questo e quello, qualche frase così… Dopo una mezz’oretta, tre quarti, non mi ricordo se un’ora, c’è stata quella scossa più forte, casa faceva così bubum bubum bubum… sembrava una nave in tempesta casa. Porca puttana siamo rimasti un po’… però non ci siamo alzati… no ci siamo mossi da casa neppure quella volta. Non ce siamo mossi. Quando è finito, è stato lungo, il secondo è stato lungo… quando è finito, mi sono dato una guardata attorno e a casa, lì in cucina, non gli aveva fatto niente. E dico: «Gorbu, e ‘sta casa è de gomma?». Ho avuto la sensazione, mentre c’era il terremoto, che sarei finito in mezzo alle macerie da un momento all’altro: ho avuto proprio quella sensazione. Quando c’è il terremoto di paura ne ho tanta, però non mi muovo, mi fa quell’effetto. Tanti scappano via: io no, io sto fermo lì finché non è finito, non mi muovo. Dopo siamo andati a dormire su una casetta di mio cognato, sopra è di legno e sotto è in muratura: siamo andati a dormire con una figlia, dopo è venuta pure quell’altra. La domenica mattina, quando c’è stata la scossa più forte, io stavo andando su a Casali, la sera avevo fatto il fuoco… A casa mia c’era qualche crepa all’ingresso, qualche crepetta in camera: attaccata c’è una casa che è stata danneggiata a cui non era mai stata fatta manutenzione, ed ha provocato qualche crepa anche a casa mia. Insomma qualcosa ci sta... Allora la domenica mattina io stavo andando, la sera avevo fatto il fuoco del termo-camino, e m’andavo a fare il bagno, avrei fatto colazione a casa mia, ma quando che ero ormai arrivato pochi passi ipù avanti della fontana, ha cominciato bububum… Sono tornato indietro, lì davanti l’ambulatorio, al rifugio: la montagna Monte Bove s’era coperta de polvere, sembrava nebbia, e non si vedeva più, è crollato un pezzo della facciata della chiesa e un pezzetto di muro di uno di Roma, un pezzetto e dopo quella scossa ci sono stati dei danni pure a casa mia: all’ingresso, un po’ di sopra… ma quello è stato tremendo! La montagna Monte Bove sembrava coperta co’ la nebbia. Io non ho avuto poi tutta questa paura. M’hanno fatto tornare indietro, non so andato a casa né a fare colazione né a lavarmi: niente. Poi è arrivata la Forestale, sono arrivati i Carabinieri e ci hanno portato via, perché sennò bisognava venirci a prendere con l’elicottero perché la strada s’è rovinata, e non si può passare più. Ci hanno portate via. E dopo laggiù in paese, dove vai, dove non vai… abbiamo deciso con le figlie, andiamo da un’amica che ha un agriturismo: adesso intanto in autonoma sistemazione, poi vedremo. Siamo andati ad Offagna, vicino Ancona, però l’autonoma sistemazione era poca cosa, specialmente a loro davano poco, e i soldi non ci bastavano per pagare l’affitto e tutto il resto, e allora siamo andati in una struttura a Porto Recanati dove stavano tutti quanti. Io sono andato lì, una figlia è andata da certi amici, e l’altra figlia è andata in un’altra struttura a Porto Potenza. Si stava anche discretamente, ma quelle casette con una tavoletta così sottile, dentro era umida e fredda: c’erano dei riscaldamenti, però insomma… non era un granché. Questa figlia (Monica Pierdomenico) che era andata al Natural Village a Porto Potenza, mi chiese se volevo spostarmi in quella struttura così avrei guardato il suo cane [Poldo], perché lei insegna, ed altrimenti doveva rimanere chiuso tutto il giorno dentro la casetta… Così sono andato laggiù, e si stava meglio! Le casette erano più isolate, riscaldate meglio, c’era più isolante e non solo la tavoletta di legno, si mangiava meglio. Devo dire che sono stato meglio benissimo: lì non mi posso proprio lamentare. Certo, non stavo a casa mia! Come Ulisse: «Ma né Calipso a me, né Circe il core Piegava mai; ché di dolcezza tutto La patria avanza» ² … sempre con la nostalgia di tornare a casa, però si stava bene, si stava benissimo. A maggio però ci hanno mandato via perché arrivava il turismo: all’ultimo di maggio ci hanno mandato fuori. A giugno sono andato da un amico a Montecassiano, ho ripreso l’autonoma sistemazione, ma è arrivato quel caldo forte e io non ce la facevo più. Un po’ m’è preso il mal di gola, un po’ ce siamo separati tutti: al Natural Village c’erano una comunità de Visso, di Ussita, insomma tutti compaesani, tutti ci conoscevamo e quindi stavamo discretamente di morale. Non è che io mi son buttato giù tanto di morale, però quando siamo dovuti andare chi da una parte chi da un’altra, un po’ in quel momento ne abbiamo risentito. Un po’ questo, un po’ il forte caldo, un po’ il mal di gola, sono andato giù e m’è toccato scappar via, non ce l’ho fatta a star lì. Ci sono stato il mese di giugno fino ai primi di luglio, poi tornavo a Montecassiano, poi sono stato da un mio amico che aveva trovato una casetta in affitto a Tempori, ho dormito una settimana da lui, poi sono ritornato giù e poi ho cercato una casa per me, ma ad Ussita non sono riuscito a trovarla e alla fine l’ho trovata a Cupi [fraz. di Visso], è dal 18 agosto che sto qui a Cupi. Anche qui la gente è poca, però almeno è un paesetto, l’aria è l’aria mia perché il paesetto mio, Casali, sta a 1.100 metri e qui a 1.000 metri… quasi ci siamo… Adesso stiamo aspettando queste casette, però ci sono persone che hanno subito tanto moralmente, le incontri e ti si mettono a piangere, la gente che… capito? Che ti devo dire… Io penso che dovrebbe essere una prova, uno la dovrebbe accettare come… io so un po’ religioso… come una prova, deve accettarla e poi non si deve attaccare tanto alle cose terrene, perché le cose terrene… Io avevo mia moglie non ce l’ho più, avevo casa ed è un po’ è danneggiata, un po’ per la strada [che porta a Casali di Ussita che è in parte franata] e non ci posso andare, le fatiche mie l’ho spese tutte sulla casa e adesso mi tocca a star qui in una casetta in affitto: allora è inutile che ci attacchiamo alle cose terrene, è inutile. Anche il cavalier Marino che dicevano era scomunicato, scriveva: «Chi lagrimar non vuol, né vuol dolersi, ad oggetti immortali alzi il desio» ³ Dante dice: «E qual è quei che volontieri acquista, e giugne 'l tempo che perder lo face, che 'n tutti suoi pensier piange e s'attrista» ⁴ Le cose terrene prima o poi ti vengono a mancare, non c’è niente da fare: ti vengono a mancare e arriva la disperazione. Se non abbiamo un po’ di speranza per il domani… eh, io ho scritto pure una poesia alla speranza. Se uno non c’ha la speranza… «Io ti prego però su questi monti che ritrovi me stesso mio Signore perché un giorno noi far dobbiamo i conti del mi nulla quaggiù del mio pudore se dissetarmi vò sulle tue fonti poi spesso inciampo e cado in tale errore tu dammi la forza e la costanza a ripigliar speranza» ⁵ Se non abbiamo, la speranza siamo dei disperati. Il contrario della speranza è la disperazione, non c’è niente da fare, allora bisogna che noi… come diceva Socrate: se uno non si distacca dalle cose terrene prima di morire, dopo lo spirito non si distacca più, rimane a girare attorno ai monumenti. Allora dalle cose terrene bisogna distaccarsi prima. Sant’Agostino dice che l’uomo quando conosce se stesso, si accorge che è un essere unico, la posizione sua è unica, la posizione dell’uomo è unica. Ci stanno sopra le cose celesti, le cose spirituali e di sotto le cose materiali: l’uomo è materia e spirito, tutte e due le cose insieme. Solo l’uomo! Allora le cose materiali vanno usate, non vanno amate, dice Sant’Agostino, l’amore bisogna riservarlo per le cose spirituali e se noi ci riusciamo piano piano a distaccarci, andiamo verso la felicità eterna, sennò rimaniamo a piangere: adesso mi si perde questo, adesso mi manca quell’altro, adesso mi si rompe questo, non ritrovo quest’altro… E così se noi riusciamo a prender il terremoto come una prova… il Padreterno ha sempre mandato le prove, non è vero? A quelli che gli sono stati più vicini, gli apostoli, non è che ha riservato una vita tanto tanto piacevole, non è vero? No, non credo perché sono morti tutti martiri… Eh eh eh. Quindi noi non possiamo pretendere di avere una vita… perché poi le cose piacevoli della vita, sono cose che il piacere dura poco, è inutile che andiamo appresso al piacere. Allora la felicità bisogna cercarla sulla strada giusta. Come dice Plotino: «La felicità si acquista mediante la conoscenza e l’amore dell’unico e vero Dio»⁶. Allora siamo contenti, non ce ne importa niente del terremoto, di casa, di questo e di quell’altro, niente. Incomincia qui la felicità, la tranquillità, la serenità. Intervista video Note: ¹ Divina Commedia, Inferno, Dante Alighieri, Canto quinto, 121 ² Odissea, Omero, libro IX, 40 ³ L'Adone, cavalier Marino, canto XIX, 234 ⁴ Divina Commedia, Inferno Dante Alighieri, Canto primo, 55 ⁵ Renato Marziali ⁶ Plotino, fonte sconosciuta Maria Marazzani (Loreta), Muccia (MC), 21 dicembre 2017 Sono Marazzani Maria e dal ’75 vivo qui a Muccia, da diciotto anni sono vedova, ho un figlio di quarantuno e purtroppo abbiamo subito questo terremoto fortissimo. Siamo dovuti uscire da casa perché era tutta rovinata, e da quel momento siamo rimasti tutta una notte dentro un’auto, sotto la pioggia. Il giorno dopo siamo andati al capannone, stavamo tutti insieme e sono rimasta lì per un… dunque io sono venuta qui… agosto settembre ottobre novembre… quattro mesi… sono stata giù al capannone dove si mangiava. Siamo stati bene, all’inizio certo non è stata una cosa piacevole perché purtroppo, era quello che era. Le scosse c’erano in continuazione, la paura era tanta perché l’avevo vissuto tantissimo dentro casa, non ero stata in grado di uscire da casa e poi niente, sono stata quaggiù [presso i container che erano degli operai della superstrada SS77]: mi sono trovata bene. All’inizio siamo stati diciamo bene, poi piano piano stando sempre insieme, uno conosce le persone come sono fatte, ed invece di cercare di andare un po’ più d’accordo invece c’era tanta cattiveria, chi una cosa chi un’altra e non andavano bene tante cose. Poi la sera dopo cena si puliva il salone, si mettevano a posto i tavoli e tutto quanto c’era da fare, si preparavano le brandine per andare a dormire, fino alla mattina alle sei e mezzo, poi si richiudevano i lettini, si mettevano a posto, si apparecchiava per la colazione e veniva… insomma il giro era questo fino a mezzogiorno. Poi si mangiava, allora si facevano tre turni per mangiare perché le persone ne erano tante… Allo stesso tempo però sono stata anche bene, si stava in compagnia. I terremoti si continuavano a sentire però in compagnia. Piano piano c’era chi voleva andare via verso il mare, io invece con mio figlio che lavora qui due-tre ore al comune e che non è voluto venir via, l’ho fatto contento e siamo rimasti. Io siccome ho soltanto la reversibilità di mio marito poiché a 65 anni mi dovevano dare la pensione e invece adesso me l’hanno portata a 67, qui avevo un piccolo lavoretto e siccome lasciarlo un po’ mi dispiaceva… allora ho stretto i denti pur avendo tanta paura, e ho continuato a lavorare anche certamente le cose sono andate un po’ alla lunga. Poi alla fine non ce la facevo più e finalmente si è liberato un container, che purtroppo dovevo dividere con un’altra persona, ma non mi importava niente perché io stavo 15-16 ore in piedi, allora sono venuta lo stesso, ho trovato questa camera, ho condiviso, anzi siamo andati pure d’accordo diciamo. Ci sono sempre i pro e contro, no? Però voglio dire, mi ci sono trovata bene, specialmente per il dormire perché appena mangiato se uno si voleva allungare un pochetto… Prima stavo 15-16 ore in piedi, arrivavo la sera che non ce la facevo più. Quando poi sono venuta qui mi sono ambientata, piano piano mi sono ambientata, un po’ male all’inizio però dopo piano piano… ed è un anno che sto qui, è un anno che stiamo qui e speriamo che adesso questa casetta [SAE] ce la daranno. Mi voglio augurare che mi ci trovo bene. Non vedo l’ora. E… ogni tanto le scosse si sentono, si sentono ancora. A me è sempre rimasta la paura, prendo esco e invece dove vado non lo so manco io, però è così… La vita del container purtroppo non è una vita facile perché ci sono le persone e bisogna saperci stare insieme ad altre persone. Io per esempio abitavo in un condominio, so come funziona il condominio, sia quand’ero ragazza che adesso da sposata… c’era persone che… voglio dire… c’è sempre un po’ di cattiveria… allora cerchiamo sempre de mandar giù, di mandar giù, di star zitti e diventava un po’ pesantina la cosa, poi questa estate c’è stato un momento di scontro. Alla fine se si doveva continuare a stare insieme purtroppo… così… E siamo andati avanti. L’anno scorso abbiamo passato un bellissimo Natale, giù in mensa, c’erano tanti militari, hanno organizzato una bellissima festa, siamo stati molto bene. Quest’anno non lo so perché siamo rimasti in pochi, chiaramente chi è entrato nelle casette mangerà dentro casa sua, è una cosa normale, però penso di star bene pure quest’anno pure se siamo in pochi, non m’importa niente. L’importante è che possa rientrare pure io dentro una casetta. Non so neanche se il palazzo dove abitavo verrà riparato perché è una E [valutazione della verifica di agibilità: “l'edificio non può essere utilizzato in alcuna delle sue parti. Un edificio può essere inagibile di tipo E per motivazioni legate alla struttura portante, agli elementi non strutturali e alle fondazioni”]… non è tanto messo bene. Allora vuol dire che se mi danno questa casetta, può darsi che ci muoio pure perché non è che sono tanto giovincella. Nel frattempo continuo a fare la vita da container. Cerco di fare la simpatica ma, purtroppo, tante volte c’ho i miei scatti e non vado bene, però quello che devo dire bisogna che lo dico perché son fatta in questa maniera. Sono vedova da 18 anni, avevo quarant’anni quando mio marito è morto, mio figlio 24-25, perciò ho dovuto sempre fare da padre e da madre perché mio marito era malato, soffriva di esaurimento. Spesso ero in ospedale con lui. Ne ho passate tante e chi m’ha dato la forza non lo so. I genitori non li ho più… Purtroppo è la vita. Ho una sorella, sono quattro anni che non ci parliamo. Purtroppo sto io con mio figlio e allora prego solo il signore che mi faccia stare bene e andare avanti, andare avanti così. Pazienza. Non posso dire altro, anzi non so chi mi dà tutta questa forza. Forse solo per lui [mio figlio] perché sono stata male due anni fa, avevo preso un batterio al polmone, c’è mancato poco che morissi, il dottore non l’aveva capito, e questo figlio adesso s’è attaccato un po’ troppo a me, e sono stata male: pure che grande e grosso s’è attaccato a me… E allora respirare non puoi respirare… Così non va bene perché io non so quanti anni camperò ancora, un domani… purtroppo la morte esiste per tutti e allora la pena mia tante volte è questo figlio. Però che devo fare? Non posso fare altro. Non posso fare altro. nella mia vita mia ho combattuto molto, molto molto. Da quando mi sono sposata nel ’75 fino al 2000 ho sofferto molto perché prima lavoravo in fabbrica, ho lavorato in fabbrica 22 anni da Angelini, ma poi il lavoro era duro e non ce la facevo più, ma ho sempre lavoricchiato, ho fatto sempre l’assistenza alle persone anziane e ovunque sono andata mi hanno voluto tutti bene. Sono stata a Camerino quattro anni e mezzo al palazzo arcivescovile, ho guardato un prete, e sono stata bene. Ho sempre lavorato, poi certo dopo arrivi a un punto che dici… ma ancora la faccio qualche oretta per cercare di aiutarmi perché con 500 euro al mese si va avanti malissimo, devi fare proprio tutto in maniera contata. Però se il signore continua a darmi la salute, speriamo: io spero solo quello e che possa entrare subito dentro questa casa perché non ne posso più. Intervista video Luana Francia, Luciano Casoni, Muccia (MC), 21 dicembre 2017 Luana: Mi chiamo Francia Luana, sono di Muccia, vivo a Muccia da quando sono nata, insegno nelle scuole elementari e dal 26 ottobre siamo, sono fuori casa. Abbiamo vissuto in dormitori tutti insieme, dove eravamo venti persone con un bagno in una casetta vicino la mia casa, una casetta di legno. Poi ci hanno fatto la scuola materna e siamo andati in un’altra struttura, sempre dormitori insieme ad un’altra famiglia con un bagno in comune per tre o quattro camere. Finalmente il 1° dicembre ci hanno dato questi dormitori-container che inizialmente erano i dormitori, che ancora non avevano tolto, degli operai della superstrada (SS77), ed è stata la nostra fortuna perché in questo modo tante persone sono potute rimanere qui senza dover andare al mare o in altri paesi. All’inizio è stato il sogno avere un bagno mio qui con la nostra famiglia, tutti e quattro, il bagno nostro e non condiviso… Solo che è un po’ stretto. Abbiamo mangiato e mangiamo ancora a mensa, gestita dai carabinieri: mangiato sempre bene per carità, però neve, tempo buono, caldo siamo sempre dovuti uscire per la colazione, pranzo e cena. Io ho passato il primo periodo di paura, di terrore del terremoto: c’era proprio il terrore quando veniva notte, del terremoto: era proprio terrore e basta. Di giorno uno usciva, si stava in compagnia, più si era meglio era… perché comunque le scosse, ci sono state molto, forti… anche quella del 30 ottobre. E quindi c’era proprio il terrore, e poi s’è passato in una fase che sentivi meno le scosse, oppure più leggere, per quanto mi riguarda era una fase di depressione: passare le giornate in questo letto, con il caldo che non si poteva uscire, andavi a mangiare, tornavi su. Tutta la giornata passata così. Poi c’è stato un risveglio, dopo l’inizio della scuola: il tempo era meno caldo quindi ho cominciato ad uscire e adesso qui dentro ci vengo solo a dormire: non riesco più a stare qui dentro. Esco. Domani abbiamo la consegna delle casette e speriamo che funzioni tutto… e appena uno l’ha sistemata… abbiamo questa consegna domani mattina… Luciano: Io mi chiamo Casoni Luciano, nato a Camerino, sposato con lei dall’86. Abbiamo vissuto qui a Muccia, prima in una casa in affitto poi, dopo tanti sacrifici, abbiamo fatto casa nuova ma purtroppo il terremoto ce l’ha tolta. Sembrava di star bene e invece adesso siamo rimasti senza casa, lei aveva un’altra casetta della madre che era morta, e pure quella è distrutta e siamo rimasti dentro a questo… a questo scatolone, come lo chiamo io. Io forse ci sto poco qui perché lavoro con la ditta fuori da Muccia, quindi vado via la mattina e torno la sera. A me da sì quel senso di…, ma quando torno qua dentro… sto qui. Faccio anche parte della protezione civile di Muccia: se non sto qui dentro sono in giro o con la protezione civile o col lavoro, quindi ne ho risentito sì parecchio del terremoto, perché ha toccato forte pure me… però ho reagito diversamente, capito? Forse ho trascurato più lei e ho pensato più a quest’altre cose, però adesso siamo arrivati a questo punto, speriamo che con queste casette che devono consegnarci di poter andare avanti. Poi piano piano se si riesce a ricostruire queste case… Io essendo del settore perché sono dell’edilizia, vedo che è ancora tutto fermo, anche le piccole cose, non c’è niente da… Adesso sono quattordici mesi e non s’è mosso ancora niente. Non lo so come andremo a finire, le case nostre… comincia a essere… comincia a essere una cosa un po’ pesante, non è una situazione da piccole riparazioni… non lo so fino a che punto s’arriverà… quanto tempo bisognerà stare dentro quelle casette, che poi tanto alla fine sono sempre container… col cappotto perché… Speriamo che resistano qualche anno perché… sono strutture… Luana: … anche perché le chiamano Soluzioni Abitative d’Emergenza… Luciano: … provvisorie… Luana: … ma uno ci dovrebbe stare anche dieci anni… quindi non è più l’emergenza. Qui nel container sì, i disagi erano tanti, vivere insieme ad altre famiglie, che se fanno rumore non dorme nessuno, dividere tante cose a mensa, fare questa vita di società che all’inizio aiutava, però entri ti guardano se stai seria perché stai seria, se ridi perché ridi… Ormai in questo periodo non m’importa quello che dicono, sinceramente… però la vita in comunità non è proprio il massimo, anche perché io è da sei anni che stavo sempre dentro casa. Sei anni fa sono morti mio fratello e mia madre nel giro di tre mesi, ho avuto molte cose da fare, brutte. Sono stati dei traumi anche quelli comunque, esperienze negative e mi ero chiusa nel mio guscio, avevo questa villetta, stavo bene lì. Il terremoto m’ha fatto uscire. E adesso… la vita può cambiare in trenta secondi e oggi ci siamo e domani no e allora vivo oggi e vivo bene oggi. In questo momento sì. È forse un’arma di difesa da quello che uno ha passato, perché se il terremoto non c’ha ucciso, non ci possiamo uccidere da soli. Bisogna reagire, e allora sempre con il sorriso. Luciano: Speriamo de andare avanti, se si può fare… se col passare del tempo migliorano le cose o peggiorano. Io non lo so, è tutto una cosa… passa oggi passa domani, poi vedremo. Intervista video Angelo Carolini (Carolo) [46], Sara Rizzi [49], Visso (MC), 15 dicembre 2017 Sara: Sono Sara Rizzi, sono nata a Roma ma vivo da venticinque anni qui a Visso, ed ho fatto in tempo a prendere anche il terremoto del ’97. Ho quarantanove anni e lui è mio marito Angelo Carolini… lui c’ha un po’ meno di me, l’ho preso più giovane… Angelo: Quarantasei. Sara: Quarantasei. E niente, come per tutti è nato tutto il 24 agosto con la prima scossa delle tre e mezza della notte, tre e trentasei per l’esattezza, e ci ha svegliati in piena notte. Io e lui stavamo bene, stavamo insieme. La mia preoccupazione è stata subito mio nipote che si trovava da solo a casa col papà, sempre qui a Visso, al secondo piano. Ho avuto un attimo di paura perché mia sorella lavorava in Croce Rossa a Camerino e non era presente quella notte, era in servizio notturno, quindi mi sono precipitata ad andare a vedere il mio nipotino come stava, poiché mio cognato, come in occasioni precedenti, quando sente le scosse si immobilizza e quindi la paura mia è stata: oddio stanno ancora in casa. Invece fortunatamente l’ho trovato giù al portone, si è fatto coraggio e l’ha portato via giusto in tempo, poi è caduta la specchiera sul letto: diciamo quindi l’ha tirato via abbastanza in tempo. La nottata è passata così: fra scosse continue, informazioni che non sapevamo dov’era l’epicentro, che cosa era successo, poi dopo quando s’è iniziato a sapere tutto, di tutte le persone che avevano perso la vita, di tutte le immagini in televisione che seguivamo con ansia nella speranza che qualcuno uscisse vivo e tutto quello che è avvenuto dopo, insomma c’ha fatto riflettere tanto e… A lui un po’ più. A me meno perché in quel periodo stavamo facendo dei lavori per ristrutturare un appartamento dentro la piazza di Visso: se ne stava occupando lui e mi ricordo all’inizio un po’ di mobili li avevamo già portati in piazza, perché, almeno per me, il terremoto era finito lì Lui invece era più preoccupato, aveva proprio paura di andare in quella casa, era una casa molto antica, è un palazzo del ‘400, quindi… Angelo: Palazzo vecchio, fatto a pietre. Sara: Palazzo vecchio, fatto e pietre e mi ricordo che… c’era questa situazione in cui doveva attaccare questa benedetta cappa aspirante della macchina del gas e tirava su questa cappa e gli faceva le scosse, rimetteva giù la cappa e se ne andava: quindi questa cappa continuava ad andare su e giù senza essere montata… Comunque piano piano abbiamo cominciato a portare i mobili, la situazione si era un momento tranquillizzata e il clou del trasloco l’abbiamo fatto il 26 ottobre pomeriggio! Verso le tre e mezza abbiamo cominciato e la sera verso le sette avevamo quasi terminato, il camion era quasi vuoto, erano rimasti dentro una stufa a pellet ed un armadio. Lui insieme a degli amici stavano finendo di sistemare le ultime cose sopra e io nel frattempo dico: adesso vado un attimo al forno a prendere un po’ di pizza e gliela porto, una Coca Cola qualcosa per ringraziarli pure dell’aiuto, perché qui in paese si fa tutto con l’aiuto degli amici. Vado a prendere questa pizza, appena torno sulla piazza, mi ricordo che ho.. sono uscita dalla macchina con questa pizza, improvvisamente ha cominciato a saltare tutto: sembrava proprio che i palazzi si staccassero da terra, poi l’illuminazione che aveva fatto nuova il comune, cioè non nuova… aveva pochi anni comunque era “nuova”, illumina da sotto i cornicioni verso per terra, quindi tutta la polvere e i pezzetti di tegola e queste cose, calcinacci che venivano giù, sembrava di vedere come dei tendoni bianchi intorno ai palazzi, non si vedevano più le finestre, non si vedeva più niente e io l’ultima cosa che mi ricordo sono le grida della persone che uscivano dal Bar Sibilla, mi giro e l’ultima immagine che ho prima che va via la luce sono le persone che scappano dal bar e la parete del teatro sopra che comincia a crollare: cioè io per un attimo penso de non avere respirato perché sentivo strillare, ho pensato «qualcuno è rimasto là sotto», ero convinta di questo! Poi è tornata la luce e ho visto che fortunatamente non c’era nessuno, tutti bianchi, chi addirittura rimetteva dalla paura, cioè è stata una cosa… Se la piazza la guardi con l’occhio di uno che là dentro ha subito una cosa del genere, ti rendi conto che non puoi scappare, cioè non puoi scappare perché sei chiuso. C’è questo campanile proprio sopra la chiesa che è in prossimità proprio della piazza, gli archi da cui possono cadere cose: cioè stai in trappola. Quando mi sono resa conto che loro erano usciti… Di’ come faceva addirittura il pavimento… Angelo: … eh, siamo usciti… Sara: … no, il pavimento che faceva tipo onde… avevamo messo il pavimento de legno e s’è inarcato tutto… Loro comunque sono riusciti a venir fuori e poi, per la seconda volta mi sono diretta a casa di mia sorella che purtroppo ha subito tutta la scossa con mio nipote dentro casa… Siamo usciti e siamo rimasti così: sotto quest’acqua battente che sembrava un diluvio, io ero fradicia persino fino alle mutande, ero bagnata dappertutto, l’acqua c’aveva proprio… Non sapevamo dove ripararci, perché non è che avessimo ombrelli. In un attimo s’è scatenato il finimondo: non ci potevamo mettere sotto i palazzi perché la terra tremava, non c’era un posto dove potersi riparare e quindi niente… “ce semo fracicati”. Dopo di che siamo andati nel garage della casa che stavamo lasciando e ci siamo riparati un pochino là sotto e in seguito, alle nove un quarto, adesso non ricordo bene il minuto, l’altra scossa che quella pure è stata veramente veramente forte. Anzi sicuramente più violenta e forte della prima. Mi ricordo che le macchine saltavano e si spostavano da sole… saltavano proprio, non è che ondulassero. La corrente è andata via di nuovo, s’erano staccati di nuovo dei cavi dalla centrale che avevamo vicino, facevano delle scintille, fulmini, di tutto, più l’acqua, più sentivamo quest’acqua che ha invaso tutta la Valnerina, eravamo proprio nelle vicinanze, come con quei camion che rovesciano i sassi, ma più intenso: «che cavolo succede qua!?». Abbiamo tutte montagne attorno, ti dici pure oddio, qui ci casca sopra anche qualcosa... Sono stati minuti proprio brutti: eh, sì proprio brutti. E poi niente, ci siamo attrezzati per la notte nelle macchine, tutta la popolazione si è attrezzata per la notte nelle macchine. C’era il piazzale davanti la Croce Rossa che era proprio pieno pieno, sembrava un drive in, pieno di macchine: chi accendeva, chi spegneva per scaldare un po’ l’abitacolo, con gli anziani, i bambini, tutti… Stavamo tutti in macchina. Tutti a dormire in macchina. Siamo andati avanti così due o tre giorni e poi dopo la popolazione è stata invitata a lasciare il paese perché le scosse continuavano, non c’era modo di sistemarsi, le tende non arrivavano e quindi in macchina era impossibile: per andare in bagno, per darsi una sciacquata e così siamo andati tutti agli alberghi. Solo che niente, io, lui non ci voleva stare, non ci voleva stare… anzi tu non sei venuto proprio la prima sera… Angelo: No. No no. Sara: Lui non è venuto proprio. Angelo: Io non sono venuto proprio, sono rimasto qua. Sara: Sono andata io, con mia sorella, mio cognato e mio nipote. Ho fatto una doccia, ho dormito quella notte, però il pensiero mio era tornare qua, lui [Angelo] stava solo e quindi sono tornata e da lì è nata questa odissea, che dura da un anno, di vivere in roulotte. Ci hanno donato questa roulotte, anzi a me questa me l’hanno proprio regalata: un signore di Varese, Daniele si chiama, ce l’ha portata con un camioncino, ha pagato i bolli e l’assicurazione, ci ha messo le coperte e ha detto «È vostra». Angelo: Ce l’ha attrezzata. Sara: Il passaggio, ce l’ha sistemata e… non me lo scorderò mai questo. Mai. Comunque prima della roulotte abbiamo dormito in macchina, poi abbiamo dormito nel cassone di un camion e infine in roulotte ma… questa roulotte quasi mi dispiace lasciarla, no scherzo, scherzo. È passato un anno, sembra ieri, però è passato un anno e adesso stiamo in attesa di queste casette… queste casette che… non lo so se si sente [nell’audio della telecamera] che piove, eh eh eh… si sente che piove e qui quando piove o tira vento non si dorme: l’acqua sopra al tetto è come se ti tirano la manciata de sassolini sulla macchina, uguale! Quando tira vento… Notti fa c’era il telo che ormai s’è strappato, adesso l’ho cambiato, e sembrava che si gonfiasse come una mongolfiera e penso: adesso si solleva pure la roulotte e non lo so dove mi parcheggia… è stata proprio una nottataccia. La sera prima eravamo a -10°C, non si dormiva perché era freddo, quella dopo un vento fortissimo, 13°C … cioè da un giorno all’altro… Abbiamo vissuto qui in questi pochi metri, insieme ad altre 25-30 persone, perché ogni tanto c’era qualche ospite e siamo tutti qui radunati intorno agli spogliatoi del campo da pallone, dove il sindaco ci ha permesso di appoggiarci, e viviamo qui da un anno. Siamo diventati una famiglia allargata. Siamo stati bene, abbiamo avuto disagi, perché comunque… Premetto, scelta nostra di stare in roulotte, perché ho sentito tanti dire «Eh, ma chi ve l’ha fatto fare? Potevate andare negli alberghi, potevate andare…» Senti io ci andavo spesso a trovare mia sorella, però non vedevo l’ora di tornare qui. Dovevo stare qui, vuoi perché c’era lui, vuoi perché volevo stare vicino alle cose mie, al posto dove sono stata, dove ho creato la famiglia mia, io e lui. Avevo bisogno di stare qui, anche se c’erano altre scosse, mi sentivo proprio che dovevo stare qui e qui sono voluta rimanere. Siamo stati qui, abbiamo vissuto, abbiamo scherzato, abbiamo pianto ci siamo arrabbiati l’uno con l’altro, però c’è stata sempre la voglia di fare pace tra di noi. Insomma i momenti ci stanno anche nelle famiglie vere e proprie, si discute, però nel cuore ci deve essere la volontà di stare bene e quindi facciamo pace subito… eh… andando via da qua perdiamo un po’ questa quotidianità insieme a tutti quanti e… però è giusto così, basta perché… basta. Sai che è, moralmente essendo in tanti ci siamo aiutati, però fisicamente è stancante: non avere uno spazio più grande dove poterti rilassare, anche solo dormire su questo letto con questo materassino basso, la tavola di legno sotto, insomma… dopo un anno mi sento dei dolori che non ho avuto mai: adesso vuoi pure che c’ho l’età, cinquant’anni eccoli eh... Però devo dire che vivere qui, l’umidità, il freddo, la notte qui dentro non c’è il bagno quindi ti devi vestire, devi uscire fuori e… con la neve, col fango, con l’acqua, col vento, con quello che è… quindi il disagio c’è stato, ce n’è stato parecchio. Io sinceramente non pensavo di rimanere un anno, anzi l’abbiamo anche superato, perché all’inizio ci dicevano a giugno-luglio tutti a casa, quindi un pochino sai… la speranza ce l’hai, la cerchi, la speranza che qualcuno ti dice «Sta tranquillo!» e quindi io c’avevo creduto, sono sincera: ho detto se proprio ritardano luglio-agosto, però non pensavo così tanto, non pensavo così tanto. Siamo andati avanti giorno per giorno senza sapere niente di certo e infatti sono queste le certezze che mancano: manca la certezza di quando tornerai a casa, la certezza che rimetteranno a posto il paese, la certezza che tutti torneranno, perché non è così. In primis mia sorella, mio cognato e mio nipote non torneranno: hanno trovato un’occasione, mio cognato di lavoro, e hanno deciso di rimanere via da qua. Questo m’ha… ho avuto un periodo molto brutto per questo, non si sapeva niente delle casette, loro che non tornavano: è stato un momentaccio, piano piano l’ho assimilato, però ci penso sempre. Io spero che adesso si sbrighino con queste casette, vediamo un po’, vediamo che si può fare. Io spero che quando entreremo almeno funzionano, perché dopo un anno… Quello che ho visto qui davanti… Io prego davvero che non succeda perché ti danno la chiave, accendi e si rompe… cioè mi viene proprio un coccolone. Tanto la roulotte non la sposto da qua che vedrai una settimanella-dieci giorni mi toccherà tornarci eh eh eh. Però siamo quasi in dirittura d’arrivo. Siamo quasi. Angelo: Finito. Sara: Eh eh eh Angelo: S’è stoppata. Sara: Ho parlato quasi senza, non lo so nemmeno io. No però… Un po’ de rabbia c’è, un po’ de rabbia c’è. Magari non è questa l’occasione, però ci sono state delle cose veramente… cioè io penso che veramente abbiamo rasentato, stanno rasentando, il ridicolo con tutto: cioè sette mesi di niente. Come dissero allora: sette mesi non hanno fatto nulla, cioè, noi non abbiamo visto niente ma io penso che questi sette mesi hanno trovato le aree, hanno fatto i progetti, hanno fatto i sondaggi nei terreni, poi arrivano, cominciano a fare le piazzole… la piazzola addosso al muraglione e non si aprono le finestre, quindi ricomincia da capo il progetto, vai su un terreno a sessanta centimetri trovano l’acqua allora fai tutto il drenaggio e passa altro tempo, cioè ma io, adesso, per carità non mi voglio mettere davanti a niente e a nessuno… Angelo: C’è stata gente incompetente. Sara: … però l’incompetenza tanta secondo me. Cioè qui c’è gente che ha fatto i progetti da chissà quale scrivania di chissà quale città, da dove? Gente che non conosce il posto. Non hanno dato potere al sindaco. Cioè Giuliano [Pazzaglini] è andato a scuola insieme a loro, vive qui, abita, ha sempre vissuto qui, ma meglio di lui, meglio di lui!? Quello che serve alla gente, alla popolazione, a tutto ma chi è che lo può decidere e sapere? Gente che sta fuori, da un’altra parte? Questo è sbagliatissimo, è sbagliatissimo. Ma qui c’è gente che ancora non sa neppure dove sta Visso! Cioè è impossibile, è una cosa ridicola, veramente ridicola! Cioè siamo arrivati al punto che c’è voluto più di un anno per montare le casette, entri dentro e salta per aria tutto: non è possibile! Ma prima di darle queste case, ma nessuno ha fatto un collaudo per vedere se funziona una caldaia, se funziona la corrente, se dai tubi esce l’acqua, se perdono? Nessuno fa niente, non hanno visto niente. Cioè io per carità, ma fai un lavoro? Ma lo provi! Non lo provi? Cioè prendi chiudi, ho fatto, ho attaccato, ho messo i tubi e vado. Ma non possibile no? Ma secondo me hanno assunto anche personale che, poveretti io non c’ho niente contro de loro, lo dico e lo ribadisco: qui c’è gente che ha lavorato sotto al sole, che adesso più no che sì lavora sotto l’acqua, mal pagati, poi non è che sto dicendo niente di nuovo perché è uscito fuori su tutti i giornali, su tutti i social. Cioè questi operai portati via, portati via… vengono da posti lontani a lavorare qui, sotto l’acqua, al gelo e poi sottopagati ma poi non sanno nemmeno dove mettersi le mani: ma noi li vedevamo, ci stanno costruendo le casette qui davanti. Ma li vedevamo! E poi? Tre operai su un campo con 40-42 case? Ma quando affittano a farle!? Ma quando affittano. Adesso perché s’è alzato tutto questo polverone mediatico ci sono più operai, adesso sono arrivati. Se tutto questo fosse stato fatto tre mesi fa, noi adesso stavamo dentro casa. Io adesso non dovevo andare a cercare i giubbotti, le cose e tutto quanto per stare qui dentro: già ero tornata a casa, già ero dentro una casa. Ero più serena, io come tanti altri. Adesso, forse, queste casette ce le consegnano il 23 dicembre… per carità… ma il 23 dicembre significa che le persone che stanno ancora sulla costa, che saranno contentissime di ricevere la casa il 23 dicembre, però non gli permetti di vivere il secondo Natale serenamente, e che secondo me questo è peggio di quello dell’anno scorso. Questi che ricevono la casetta hanno dieci giorni di tempo, cioè il 3 di gennaio se ne devono andare dalle strutture alberghiere dove sono ospitati e questo significa che tutte le feste se le devono fare avanti e dietro a portare le loro cose per allestire una casa e abitarci entro il 3. Allora mi dici «E allora che vuoi? La vuoi o no questa casetta?» Sì, ma me la dovevi dare un momento prima, fammela allestire, fammela sistemare, fammici vivere un Natale sereno. Non lo so. Per me è partito tutto male e sta finendo peggio. È partito tutto male e sta finendo peggio. E poi voglio dire, io tante cose addietro non le so, alcune cose per sentito dire e per carità de Dio, però… non è stata gestita bene, non è stata gestita affatto bene. È stata una catastrofe, perché tutta la gente, tutta la popolazione e le regioni colpite, per carità… è stata una catastrofe, ma non c’è stata una linea da seguire, non c’è stata! Non c’è stata! Catastrofe o no tu ti deve mettere a tavolino, creare una linea e seguirla! Con le priorità, con tutto. Ma non è possibile che qui per fare un sondaggio a un terreno ci hanno messo sette mesi. Per decidere, per fare un progetto, perché poi ognuno ce ne aveva uno, non è che uno ha fatto il progetto per tutti, ognuno ce ne aveva uno… ma è possibile che non ti puoi mettere con calma a fare un progetto, farlo bene e velocemente? Io ho sentito e letto dappertutto, ma questi quando si andranno a ricandidare per le elezioni, con che faccia andranno per le piazze e a raccontare che cosa? Cosa andranno a raccontare? Secondo me gli conviene mettersi lo stesso passamontagna che se mettono quando chiedono di pagare le tasse, secondo me è meglio, perché hanno perso fiducia, tanta fiducia. Assolutamente. Hanno perso tantissima fiducia. Stop. Intervista video Concetta Somma [55], Leonardo Benedetti [22], Aschio fraz. di Visso, 23 novembre 2017 Leonardo: Sono Leonardo Benedetti, vengo da Visso, una frazione Aschio, ho 22 anni e son terremotato: il 24 agosto ancora non aveva avuto danni e invece dal 26 [ottobre]… Concetta: No. Il 24 agosto casa non era stata danneggiata ma tutte le altre strutture sì. Leonardo: Siamo fuori di casa in questa struttura provvisoria e tutto il resto, stalle, garage sono tutti danneggiati. Subito dopo il terremoto sono stato portato a Porto Sant’Elpidio, perché la gente era stata mandata via, e sono restato lì fino alla di fine gennaio e inizi febbraio, poi ho trovato questa sistemazione perché avendo il bestiame non potevo restare laggiù. Adesso qui la vita non è facile perché le quotidianità non ci sono più, non esiste più un giorno normale, e intanto aspettiamo queste famose casette che non arrivano… qualche cosa sta in movimento ma non se sa esattamente quando verranno consegnate… Certo, secondo me ci poteva essere una spinta in più dallo Stato, penso, per cercare di fare prima, però al momento stiamo ancora fori casa dopo un anno e non si sa ancora quando entreremo se non forse dopo il 2018 Concetta: Non mi viene niente, non so che dire… Leonardo: Questa è mia madre, Concetta Somma, sta insieme a me. È venuta dopo… Concetta: … da marzo in poi… Leonardo: … da marzo in poi ha cominciato a venire qui dal mare perché non poteva stare, le dava fastidio restare lontano da me e… anche lei, è difficile per lei la vita quassù. Anche fare una semplice lavatrice diventa un problema. Concetta: Ho lavato nella fonte, lavavo i panni, i piatti, tutto. Andavamo a fa i nostri bisogni fuori, e stiamo ancora in queste condizioni finché non ci danno la casetta. Leonardo: Eh, purtroppo così. Più… Concetta: Ci arrangiamo, andiamo avanti finché non ci danno queste casette. Per dicembre hanno detto… speriamo… di far nascere il Bambin Gesù in un ambito, in una casetta più umile di questa, perché questa è proprio una baracca, proprio non ci si può vivere. Leonardo: L’unica cosa che aspetterei è di fare la ricostruzione velocemente, perché almeno i sacrifici dei genitori, dei nonni, potessero almeno dopo che abbiamo pagato le tasse, abbiamo pagato tante cose e ancora dopo un anno qui non s’è neanche mosso un pelo di niente… Ti dispiace solo perché ci sono stati spesi soldi, sacrifici: le case, l’attrezzatura, la stalla, tutto quello che che avevi prima, perché ti sentivi… magari prima del terremoto gli davi meno valore alle cose, invece pensare che prima avevi un impero e adesso sei rimasto con le pietre e i ferri… hai tutto fuori, non hai più posto neanche per un sacco di mangime, non hai più posto per qualsiasi cosa, tutto sta fuori: i trattori stanno fuori, l’attrezzatura sta fuori… si danneggia, si usura. Ti dà fastidio solo che non è stato dato quello che veramente doveva esse dato… però purtroppo è così. Concetta: L’Italia… l’Italia che va così alla rovescia, basta. Io non parlo più. Leonardo: La sera del 26 ottobre sono rimasto bloccato a Visso, non potevo tornare quassù ad Aschio perché la strada di Villa Sant’Antonio [fraz. di Visso] era bloccata dalle macerie e quindi non potevo neanche andare a vedere quello che erasuccesso a casa, agli animali, e a tutto il resto. Sono rimasto bloccato fino alle quattro, quattro e mezza de mattina. Ci siamo aiutati, io ho aiutato a scaricare da una camion le brandine per dormire la notte… Ci siamo dati da fare, ognuno di noi s’è dato da fare per quel che poteva… ho aiutato i carabinieri, però ovunque ti girassi vedevi che era tutta desolazione, e dove guardavi erano pietre e polvere, gente che urlava, pioveva a dirotto e era… s’era persa la cognizione di dove stavi, del tempo che passava o non passava: non ci si capiva praticamente più niente. Poi alle quattro sono tornato quassù e ho trovato un disastro, in certi punti dovevi procedere a piedi perché erano cascate giù case, edifici che non potevi passare, non potevo neppure andare a casa per vedere come stava. Avevamo preso qualche cosa prima con la scossa delle sette e mezza, ma solo il necessario… qualche soldo, qualche cosa, una giacca e siamo andati via, siamo andati… siamo venuti qui al paese, poi… siamo andati a Visso. Concetta: In paese non c’era posto dove metterci, dovevamo dormire dentro una macchina e allora siamo rimasti a Visso proprio perché stavano mettendo su qualche tenda per un riparo per la notte, però noi dormivamo in macchina ed era freddo, allora… Leonardo: Ho dormito due giorni, quasi, tre, dentro la mia jeep e non mi ero fatto una doccia, portavo ancora tutti i capelli sporchi di calcinacci e poi alla fine con altre persone ci hanno mandato a Porto Sant’Elpidio e siamo andati… Concetta: … credendo che saremmo restati pochi giorni… Leonardo: … credendo che saremmo restati pochi giorni, poi alla fine s’è rivelato che su non avevano fatto ancora una struttura, niente, e ci siamo dovuti adattare meglio che potevamo. Inizialmente ho fatto avanti e dietro dal mare per un periodo, ma non era una cosa fattibile. Era più il tempo che stavi in macchina che quello che riuscivi a fare quando venivi su. Poi quando era una cert’ora dovevi andare via perché sennò se faceva troppo tardi… e i chilometri erano tanti, le spese erano tante… poi venivi su non e non avevi neppure una struttura per mangiare un panino al riparo, se pioveva non avevi dove metterti a riparo, e niente… o t’arrangiavi come meglio potevi oppure non c’era altro modo… Poi alla fine… Concetta: … hai trovato questa struttura… Leonardo: …ho pensato di fare un po’ di lavoretti qui dentro per viverci almeno decentemente, perché altrimenti sarebbe stato troppo freddo, ho messo l’isolante… di cose ne ho fatte tante ma comunque qui manca il bagno, mancano tante cose… Anche per farsi una doccia devi sempre ricorre a qualche amico che magari ha o un container con la doccia o qualcosa… Ho messo la lavatrice da una parte ma comunque sta fuori e si può gelare, non è che poi sta proprio… Però hai dato una mano. Poi ho avuto altri problemi a far montare i tendoni delle stalle, ed ho dovuto andare a giù parecchie volte a farmi sentire… Concetta: Eravamo i primi a dover ricevere questa stalla. Leonardo: In ordine eravamo i primi… Concetta: … eravamo i primi… Leonardo: … e invece… Concetta: … avevano pure messo la struttura per montarla però ad un certo punto l’hanno portata via perché avevano fatto un errore… Leonardo: … perché avevano fatto un errore e l’avevano messa proprio sotto i fili dell’alta tensione e per legge non ci può stare, ma poi invece di spostarla e di far corregge subito l’errore… Concetta: … hanno fatto passare mesi… Leonardo: … hanno fatto passare all’incirca otto mesi e… ancora… l’hanno finita di montare ad agosto del 2017 dopo un anno dal 24 [agosto], perché le stalle erano danneggiate dal 24. Ad oggi ancora devono finire di montare i fienili e… non so se la cosa finisce con noi o se anche altre persone, non se e quando finirà la cosa. È ancora tutto una casino, non si sa quello che è… Mi hanno danneggiato parecchio, perché l’attività è andata a rilento, si potrebbe esser fatto molto di più e invece sono stato legato per certi aspetti… e quindi niente… ti rende l’attività più difficile, ti mortifica non riuscire ad andare avanti con quello che che avevi prima e che non hai più, quindi… rimani sempre legato finché non ti ricostruiscono. Mia madre prima lavorava a Macereto, ed ha perso anche quel lavoro perché il santuario è inagibile. Lassù faceva la custode e un po’ di manutenzione. Quindi siamo rimasti… Concetta: … a terra… Leonardo: … i lavori zero… Oltre a tutto neanche più il lavoro, perché lei bene o male, quei nove mesi lassù lavorava, prendeva uno stipendio e invece adesso non fa più neanche quello, quindi anche la parte… Concetta: … economica… Leonardo: … economica ha subito parecchio calo. Il terremoto c’ha danneggiato completamente. Concetta: Adesso so che hai staccato [il registratore] e mi viene da parlare. Io sono fatta così, che devo fare? Comunque questo è il terzo terremoto che mi faccio. Quello dell’Irpinia è stato tanti morti, tanti, ma veramente tanti morti e allora io ero ragazzetta… Era di domenica, sempre di novembre. Un freddo, comincia come quando la terra si muove, come se si muovesse tutta l’atmosfera: capito come? Ha anche iniziato a piovere. Io e una mia cugina ci siamo messe a correre dai giardini fino a casa, in mezzo ai palazzi che potevano crollare… proprio la cosa che non riuscivi, la paura no? Cioè non ti rendevi conto che tu non potevi passare sotto i palazzi. La terra tremava, anche lì la forza era bestiale, perché quel terremoto ha sterminato tutta l’Irpinia. Ma eravamo giovani… siamo stati otto o dieci giorni dentro a una macchina, la famiglia mia era di otto persone. Poi siamo andati in una struttura, che era un istituto scolastico, era la prima scuola che facevano dove stavo io, a Torre Annunziata, questa scuola era la prima in Europa: noi terremotati li abbiamo invasi e ognuno si è fatto un pezzo di stanza, come dire, si è messo un letto per i figli, perché non è come qui uno o due figli… eravamo cinque, sei, dieci figli e dentro a quelle scuole ci siamo rimasti tre anni, poi dopo tre anni ci hanno dato i container e dentro i container siamo stati sette anni, sette anni… una mia cognata mia erano dieci figli… padre e madre dodici: ti lascio immaginare con due stanzette e una cucina. Non so se conosci un container normale: i letti a castello, invece di essere due uno sopra l’altro ne erano tre: in una stanzetta dormivano solo sei figli. L’inverno era freddo, c’era la tramontana del mare e in estate si moriva dal caldo. Poi mi sono fatta il terremoto del ’97, ringraziando Dio alla casa non era successo niente, c’erano mio marito, mia suocera e pure nel ’97, quel periodo è stato un periodo brutto pure per me. Io stavo giù a Napoli perché mamma stava per morire, ho lasciato lui [Leonardo] qui con mio marito che aveva due anni. Pure quella volta il terremoto ci ha danneggiato tutte le strutture esterne ma non casa: siamo andati avanti, invece proprio quest’anno, questo del ’96, 2006 uh… Leonardo: 2016 Concetta: 2016 è stato tosto perché già eravamo deboli fisicamente di testa e di cuore, e l’ho vissuto male male male. Piano piano speriamo che le cose… non tanto per noi che… io ormai ho 55 anni, non è che mi frega più niente… Voglio dire, io vivo per lui e speriamo che gli diano l’aiuto per questa attività, speriamo che gliela diano a questi giovani la possibilità di andare avanti! Se almeno vanno avanti questi giovani, vanno avanti i paesi, va avanti Visso, va avanti… capisci come? Ma se non gli danno una mano a questi giovani a chi li devono dare? Ecco. Perciò i terremoti ci sono stati sempre, però bisogna andare avanti, questa è a cosa. Intervista video (VR 360) Intervista video (4K) Mario Troiani [26], Visso, 19 novembre 2017 Sono Mario Troiani, ho 26 anni e vivo qui a Visso. La scossa del 24 agosto è stata molto forte e ci ha svegliato durante la notte, erano le tre, ed a causa del grande spavento siamo usciti tutti dalle nostre case. È stata una scossa di terremoto inaspettata, che è arrivata all’improvviso: in seguito sembrava la situazione stesse tornando alla normalità e invece da lì è iniziato un lung calvario che dura ancora oggi. Dopo quella scossa del 24 agosto, siamo stati accampati, nelle tende, sotto casa mia insieme ad altri amici e ci siamo rimasti fino ad ottobre, poco prima dell’altra scossa [26 ottobre]: avevamo trovato il coraggio di tornare nelle nostre case da una settimana e siamo dovuti uscire subito. Da quel momento, fatta quella scossa di ottobre, c’è stata un’altra scossa il 30 che ha costretto i sindaci e l’intera popolazione ad andare via da queste zone, e giustamente perché è stata una cosa molto grande: siamo stati proprio costretti ad andarcene. Io e la mia famiglia abbiamo alloggiato una settimana o due al mare, ma era un sacrificio più grande che stare, come adesso, dentro una roulotte, perché la strada per tornare quassù era tanta… noi abbiamo un’azienda agricola, le bestie hanno bisogno di essere guardate ed accudite tutto il giorno e in qualsiasi ora, quindi non ci permetteva, stando lontano da qui, di poter fare nient’altro. Nel frattempo tra il 26 e il 30 [ottobre] avevamo comprato una roulotte, e così all’inizio ci fermavamo un giorno sì e uno no, infine ci siamo trasferiti tutti definitivamente qua: all’inizio eravamo in cinque all’interno di una sola roulotte da quattro, poi degli amici tramite altri mi hanno messo in contatto con un’associazione di Mirandola che si chiama “Uniti non tremiamo” che hanno subito chiesto quali erano le nostre necessità, cosa potevano fare per aiutarci, e mi hanno donato questo camper, in comodato d’uso, e che finché mi serve lo posso tenere, poi glielo restituisco. Ci hanno dato questo camper che ci ha permesso di restare qui, di rimanere ad accudire i nostri animali e non lasciare i posti che amiamo, perché io da qui per esempio non voglio proprio andarmene. Siamo restati qui e siamo in attesa delle casette. Noi come allevatori avevamo diritto ad un modulo abitativo per allevatori [MAPRE] che era un container, e che però non davano: dicevano che sarebbero dovuti arrivare prima delle casette, però quando venivano i controlli, quelli della Regione ti dicevano che ci sarebbe voluto lo stesso tempo delle casette ed allora ci abbiamo rinunciato, e rinunciando… siamo rimasti un anno e più dentro al camper e alla roulotte, mentre erano sufficienti due mesi per costruire un MAPRE. Ora siamo in attesa della casetta che a breve, le prime venti dovrebbero essere consegnate a giorni, e noi dovremmo essere tra le prime venti… quindi forse tra un po’ riusciamo ad entrare all’interno della casetta. Stando in roulotte la vita non è come è sempre: devi alzarti ed uscire fuori di notte per andare in bagno, mangi tutti insieme… fortunatamente noi abbiamo la struttura del campo sportivo, gli spogliatoi, dopo possiamo andare a lavare, a lavarci, mangiare insieme a tutti gli altri che sono insieme qui a noi… Se avessimo dovuto fare tutte queste cose dentro una roulotte sarebbe stato impensabile, già cucinare, andare in bagno, tutte queste cose era impossibile farle, si sta male già soltanto a dormirci quindi… è così… Qui l’inverno è stato… c’è stata una grande nevicata, c’è stato un metro e mezzo di neve, ma la neve è stata quasi meglio dell’estate perché col freddo la neve isolava pure un po’ gli spifferi del camper e delle roulotte, ti coprivi un po’ di più e dentro al camper stavi bene uguale; l’estate invece, se uno voleva andare a fare una dormita pomeridiana, o qualsiasi qualcosa, era come un forno, dentro la roulotte era impossibile, alle 7 ti dovevi svegliare perché qui la notte fa freddo, anche d’estate, quindi un pochetto accendi la stufa, poi arriva il sole che alle 7 ti svegliava perché qua dentro era troppo caldo, e siamo… siamo dovuti andare… alcuni avevano messo le sdraie sotto al ponte per stare più freschi o dentro gli spogliatoi da calcio. I camper e le roulotte ci hanno salvato la vita diciamo, tra virgolette, c’hanno permesso di restare qua e ci hanno permesso anche tutto il resto, però è sempre un sacrificio che abbiamo fatto proprio per rimanere. Anche se era una nostra scelta non andare al mare e restare qui. La vita nella comunità… All’inizio c’è stato di grande aiuto vivere tutti insieme, cioè non ti permetteva de pensare: un po’ tra amici, qualche partita a carte, un po’ de vino, le cene insieme. Poi è iniziato a degenerare un po’ questo rapporto perché per stanchezza un po’ di tutti, non è che… Ad ognuno manca i propri spazi, perché sei costretto a vivere con altre persone… Non è che non va bene come stiamo, siamo diventati come una grande famiglia, però hanno iniziato delle situazioni un po’… tipo di litigi, per le cavolate… Te lo porta proprio lo stress della situazione, non è per cattiveria o altro, però nonostante questo stiamo qui ancora e ci facciamo forza ancora l’un l’altro e cerchiamo di andare avanti. Ci prendiamo in giro su chi andrà prima nelle casette, così… c’è Sasha poveretto che lo martorizziamo eh eh… e niente… questo qua. Video intervista Stefano Lucerna (Caniggia) [54], Visso, 19 novembre 2017 Stefano Lucerna, terremotato di Visso, età 54 anni e niente, già è stato detto tutto sul sisma, già è stato detto tutto sulle problematiche, sulle difficoltà, sulla pazienza che se n’è andata, sulle istituzioni e su tutto… Indi per cui non commenterò ma suonerò una canzone dei Pink Floyd dal titolo “Green Is The Colour”, canzone sconosciuta ai più, ma che io adoro: Heavy hung the canopy of blue Shade my eyes and I can see you White is the light that shines Through the dress that you wore She lay in the shadow of the wave Hazy were the visions overplayed Sunlight on her eyes but moonshine Made her blind everytime Green is the colour of her kind Quickness of the eye Deceives the mind Envy is the bond between The hopefull and the damned This is the end my friend. Goodbye all the people. È buona? Buona la prima? Apposto Video intervista Fabio Troiani (Bobone), Rosella Rinozzi, Visso, 18 novembre 2017 Rosella: Io sono Rosella Rinozzi, quasi cinquant’anni e sposata con Fabio da ventisei… Fabio: … ed io ne ho quasi sessanta. Rosella: Che è successo il 24 agosto? Fabio: Eh, il 24 agosto ha cominciato a scuotere, ha fatto un bel terremoto, c’ha sconocchiato tutto e… è un problema. Rosella: Il negozio. Fabio: Ha scocciato il negozio e poi tutti i problemi, perché… eh, perché! Perché c’è un problema appresso a un altro… eh… eddai… Rosella: Qual era il problema? Poi è arrivata la scossa del 26, eravamo rientrati a casa, eravamo rientrati e… siamo riusciti fuori… Ci siamo comprati la roulotte pensando che a casa non ci si potesse più dormire, perché comunque le scosse erano… era stata forte tanto. E invece dopo il 30… Fabio: … ha rotto pure casa… Rosella: … ha rotto tutto quanto. Dopo è stata la fine del mondo veramente. C’hanno mandato venti giorni al mare, con questo pazzo che si riusciva a portar via da qui. Fabio: Son venuto via una volta, poi so’ tornato su eh… Il discorso è questo.. Rosella: Poi avevamo le bestie, noi avevamo gli animali da accudire… Fabio: Abbiamo l’azienda agricola, ci siamo trovati un po’ infognati nei problemi perché un po’ la roba… la macelleria rotta, la roba non se vende e tutti ‘sti problemi qui… eh… Rosella: …e poi dopo, dopo avevamo ricominciato… abbiamo cominciato a vivere qui… Fabio: … eh … Rosella: …abbiamo cominciato… Fabio: … siamo venuti a vive al Bronx… Casa l’ha distrutta. Rosella: E tutto sommato abbiamo trovato un’altra famiglia. È stata pure una forza stare qui, con tutti insieme sinceramente, con tutti i disagi, con tutti i problemi, perché comunque tante realtà diverse tutte insieme, quindi… i problemi tanti. Tanti lavori diversi, tanti… tanti… Tanta gente, perché comunque eravamo trenta persone e quindi sono tante… tanta gente e tanto lavoro, tanto tutto… però è stata anche una forza, perché stare isolati da qualche altra parte penso che poteva essere anche più… no sicuramente Fabio: Sarebbe stato peggio. Rosella: Eh? Fabio: Sarebbe stato peggio. Rosella: Sì, sicuramente è stata una forza stare tutti insieme. E ci troviamo adesso a pochi giorni dall’andare nella casetta [SAE] e sarà anche questo un altro trauma, un’altra avventura, un’altra realtà, un altro riadattarsi. Perché poi il paese comunque è ancora veramente deserto, quindi piano piano ritorneremo, vedremo che prospettive ci darà. Vedremo… Fabio: Prospettive poche. I problemi sono tanti. Rosella: Il rammarico di non ritornare a casa, quello è tanto, perché comunque uno ci aveva speso tanto… ormai, voglio dire… un figlio se n’è andato… ed uno è rimasto. Forse anche per questo ancora… sennò forse era la volta buona di… Fabio: … eh… Rosella: … di chiudere tutto. Di chiudere. Però gli piace, quindi… Fabio: La forza di andare avanti c’è poi, poi vedremo che cosa vien fuori, al limite… vedremo. Vedremo chissà se che… Rosella: … se che c’aspetta. Fabio … se che c’aspetta, eh… è un problema. Rosella: Intanto… giorno per giorno. La filosofia è questa, dopo vedremo. Dopo vedremo. Non so che altro, che altro si può dire. Non lo so, è tutta un’avventura è tutto una cosa surreale. Fabio: È tutto complicato. Rosella: È tutta una cosa che c’è cascata addosso così. Fabio: È cascato tutto addosso. Rosella: C’ha cambiato la vita. Bisogna ricominciare da zero, ricominciare… Fabio: Si scoprono tante cose che prima non si sapevano, tutte le porchette che fanno, tutta la burocrazia che fa pena… ed è proprio questo, penso, ciò che distrugge un po’ tutti, perché… purtroppo… Rosella: La voglia di fare ci sarebbe ancora, però, tanti limiti, tanti… Fabio: Purtroppo i problemi sono questi. Non si sa cosa si deve fare, come si deve tirare avanti, se uscirà qualcosa di nuovo, se… Bisogna attaccarsi ai vetri per andare avanti. Vediamo un po’. Rosella: Vedremo dai, vediamo. Ricominciamo una vita nuova no? A cinquant’anni si ricomincia una vita nuova. Bisogna riadattarsi a questa vita nuova, poi dopo quello che viene va bene. Quello che viene va bene. Basta che i figli abbiano un futuro… dopo, poi stiamo bene anche così. Mi dispiace per Fabio, per casa di Fabio, però… Fabio: C’ho messo due generazioni a falla… Rosella: Tre quasi… e non l’avevi finita ancora… Fabio: … Rosella: Tutto qua. Non so che altro dire. Sinceramente. Per fortuna si va di corsa, almeno si pensa poco, quello sì… fortuna. Giusto? Fabio: Sì, sì. Giusto, giusto. Sarà giusto, ma… Rosella: Ok? Intervista video Annarita Mocci [65], Visso, 9 novembre 2017 Mi chiamo Mocci Annarita, ho 65 anni e sto dentro un container, nei moduli abitativi, dal febbraio del 2017. All’inizio della sequenza sismica [di Amatrice, Norcia, Visso] mi hanno mandata a Porto Sant’Elpidio dove sono stata malissimo, perché ero stata sradicata. Nella notte del 24 di agosto è stato tremendo, ma casa stava ancora abbastanza bene, poi dopo invece… L’ultima settimana di settembre, a cavallo con ottobre, sono andata a Lourdes e, mentre tornavo, ho fatto un sogno in cui vedevo Visso che veniva distrutta ed io in mezzo alla piazza col cane che urlavo. C’erano delle persone con me e gli ho raccontato del sogno terribile che avevo fatto, ho pensato che poteva esser perché ero ancora turbata dal terremoto. Poi il 26 ottobre (quando c’è stata la prima scossa), stavo dentro casa e fuori c'era il temporale, il cane abbaiava e gli dicevo «Mox non abbaiare che siamo usciti adesso» e invece m’avvertiva che stava arrivando il terremoto. A quel punto non mi si apriva più la porta, vedevo i muri che mi si aprivano e chiudevano davanti. Poi quando è finito sono scesa in piazza dove c’erano degli amici che stavamo discorrendo e tutto d’una botta, alle 9 e 18, è arrivato quel terremoto, quel mostro che c’ha rovinato tutti e vedevo le case che cascavano giù vicino a me… Due case, il Palazzo dei Governatori e il palazzo che gli sta di fronte che cascavano giù. Dico questa è la fine. C’erano i pompieri che ci tiravano in mezzo alla piazza. Non lo so come ci siamo salvati. La terra che ondulava e sembrava un maremoto… E poi il giorno dopo c’hanno portato via, ci hanno fatto andare via tutti, a tutti… Sono stata al mare e quei quattro mesi al mare sono stati tremendi. Per fortuna ho avuto una persona che m’ha aiutato a superare queste cose, piano piano… Con la lontananza, con le cose. In seguito sono tornata a Visso e sono stata meglio, ho cambiato fisionomia, tutto… È l’aria del paese mio. Sarà una stupidaggine, ma io a Visso sto bene, anche se è distrutto. Ci rovinano tutto… Le casette ancora non ce le danno, stiamo in una comunità in cui la convivenza non è che sia facile tante volte, eh… Ci hanno abbandonato tutti. Fanno le passerelle e le cose loro, ma non è che vengono a vedere come stanno veramente le persone, di cosa abbiamo bisogno. Non si vede nessuno. Dal nostro fino su al Presidente… Proprio abbandonati. Speriamo di farcela a riprendere, ma sarà dura. Io ho il cane, e questo mi dà tanto… Lo porto a spasso, è stato con me giù al mare. Anche lui m’ha dato forza perché sennò non lo so cosa sarebbe successo al mare, ero arrivata ad un punto che… non lo so… è triste dirlo ma… ero arrivata proprio al limite. Se non tornavo a Visso… mi ci portavano loro. Basta. Intervista video Alessandro Morani (Sasha) [44], Visso, 9 novembre 2017 Mi chiamo Alessandro Morani, ho 44 anni e ci troviamo a Visso. Il tutto ovviamente inizia il 24 agosto, con quella scossa alle tre, tre e mezza di notte che mi ha svegliato e buttato giù dal letto. In quel momento c’è stata tantissima paura, fortunatamente l’abitazione non aveva subito danni enormi, però per precauzione 15 giorni ho dormito in tenda, anche se durante il giorno vivevo ancora la mia casa. La situazione poi si era tranquillizzata, a livello tellurico, per cui col passare dei giorni, a metà settembre, ho trovato il coraggio di rientrare nella mia abitazione, fino al 26 di ottobre. Dal 24 agosto al 26 ottobre, anche se non avevo subito danni materiali all’abitazione, ho comunque subito danni economici, nel senso che avendo un’attività, purtroppo il 24 agosto tutti i turisti presenti nella nostra vallata, Visso, Ussita, Castelsantangelo sul Nera, sono scappati. Sono scappati e quindi io, come tutti gli altri operatori commerciali nella zona abbiamo risentito più a livello economico che a livello di danneggiamento strutturale delle abitazioni o dei locali, per cui un primo danno c’è stato con le scosse del 24 agosto. Dopo di ché dal 26 ottobre, quelle due scosse maledette delle 19 e qualche minuto e delle 21, intervallate da un nubifragio che sembrava finire il mondo… quel giorno purtroppo anche l’abitazione ha subito danni, quindi sono stato cacciato dal terremoto da casa, anche a fronte delle ordinanze di sgombero da parte dell’amministrazione comunale. Il negozio era ancora agibile, quindi ho potuto continuare per qualche giorno, fino al 30 ottobre, a lavorare nella mia attività, nel frattempo però, non avendo più l’abitazione, ho dormito un due tre giorni in macchina qui al campo sportivo di Visso, dove c’erano anche altre persone, e poi un paio di giorni ho dormito all’interno dello spogliatoio. Il 30 ottobre purtroppo la nuova scossa ancor più forte ha disintegrato tutta la comunità di Visso, di Ussita, di Castelsantangelo sul Nera. La nostra comunità. Con le ordinanze di evacuazione totale dei tre comuni, tutta la gente è stata portata, diciamo quasi con forza, al mare presso la costa marchigiana. Io ovviamente ho rifiutato assolutamente di lasciare Visso, per cui insieme ad altre 7-8 persone, che anche loro avevano deciso di rimanere, ci siamo organizzati. Organizzati all’inizio in 2-3 roulotte, quindi dormivamo in tipo 10-12 persone in 3 o 4 roulotte, poi con il tempo, con il passare dei giorni abbiamo cercato di capire meglio la situazione. Ci siamo organizzati con altre roulotte che ci sono state donate e quindi abbiamo fatto gruppo, per poter capire cosa sarebbe successo nel futuro, perché ovviamente a me, ma come a tutti gli altri, è la prima volta che capita una cosa del genere. Trovarsi senza casa, trovarsi senza lavoro, trovarsi senza popolazione: eravamo veramente pochi e all’inizio eravamo alloggiati con queste roulotte vicino al campo dove c’era la mensa dell’esercito. Per una quindicina di giorni, fino circa a metà novembre, mangiavamo lì, c’erano delle docce della protezione civile. Dopo di che abbiamo deciso di organizzarci veramente, poiché era chiaro che avremmo dovuto passare l’inverno nelle roulotte, anche perché le notizie che arrivavano non erano positive: ci dicevano che le casette non sarebbero arrivate prima di sette mesi per cui abbiamo deciso di organizzarci in modo diversi. Abbiamo chiesto se era possibile restare presso il campo sportivo, dove era possibile farci delle docce, c’era un bel piazzale: abbiamo quindi portato una quindicina di roulotte e camper presso il campo sportivo di Visso. Ci siamo organizzati facendo anche una piccola cucina e poi a mano a mano, col passare del tempo c’è stata donata una casetta in legno dove abbiamo creato la nostra sala da pranzo… e altre, forno… e altre cose che ci hanno permesso di allestire al meglio questa nostra situazione di emergenza e di fortuna. Purtroppo col passare dei mesi la situazione non è che è migliorata, le promesse che ci erano state fatte a fine ottobre - primi novembre che le casette sarebbero arrivate nell’arco di sette mesi, quindi maggio-giugno, non sono state rispettate. Questa scadenza è andata sempre più avanti e adesso che siamo di nuovo alle porte dell’inverno, ai primi giorni di novembre e ancora non ci sono le casette, siamo ancora in roulotte, la popolazione è ancora per il 90% sfollata, non più soltanto al mare, ma diciamo che son stati costretti a trovare delle case, ma non qui a Visso… qui a Visso ce ne saranno 10 o 15… purtroppo stanno ad una distanza di 50 o 60 chilometri e per chi lavora qua è costretto a fare da un anno il pendolare, e chi non lavora qua ha trovato lavoro fuori. Questa è la cosa peggiore che poteva capitare, perché in questo modo è stata già sicuramente persa una parte di popolazione e con il passare del tempo si rischia di perderne altra. Ciò significa che se prima del terremoto, al 24 agosto, Visso, Ussita e Castelsantangelo sul Nera potevano contare su circa 1800-2000 persone fisse, il rischio è che da qui ad un anno, quando la situazione potrebbe essere normalizzata a livello abitativo, potremmo risultare anche poco più di mille, quindi aver perso un 30-40% di popolazione e questa è una cosa gravissima. È gravissima perché io ritengo che uno Stato moderno come l’Italia, che si ritiene industrializzato, che fa parte dell’Europa, quel giorno, quel 26 ottobre e soprattutto il 30 di ottobre, non aver avuto un piano d’emergenza già programmato è gravissimo: io posso accettare l’idea che per motivi di sicurezza si sfolla della gente ad una certa distanza, ma sempre per motivi di sicurezza e per organizzare i campi dove accogliere di nuovo le persone, ma al massimo un mese, un mese e mezzo. È inconcepibile che a distanza di 12-13 mesi non ci siano ancora delle Soluzioni Abitative chiamate d’Emergenza [SAE], perché dopo un anno la parola emergenza… penso che non abbia più senso: qui parliamo ormai di tempi ordinari. Se io avessi dovuto costruirmi una casa da solo, penso che in 6 mesi una casetta di legno l’avrei realizzata sicuramente. Per cui questa è la cosa che mi amareggia di più, cioè l’aver perso del tempo e quindi di conseguenza perderemo sicuramente una fetta importante di popolazione. Tornerà? Chi lo sa. Potrebbero tornare se le condizioni lavorative lo permetteranno, naturalmente: siamo a Visso, a Ussita a Castelsantangelo sul Nera perché si vive bene, il tenore di vita è buono, a livello di salute l’aria è buona, si sta bene, però ovviamente per andare avanti nella vita servono i soldi e, se non c’è possibilità lavorativa è ovvio che le persone non possono avere un’idea di rientrare. Quindi bisogna mettersi in testa che bisogna fare uno sforzo enorme, che oltre a creare il discorso abitativo, bisogna avere dei tempi strettissimi per far sì che ci sia possibilità di lavoro, che le attività possano riaprire in modo non temporaneo, ma molto più stabile rispetto ad oggi, e che quindi ci sia l’attrazione sia da parte della popolazione che è andata via sia ovviamente a livello turistico di ritornare in queste zone. Ovviamente il fatto che abbiamo una strada statale Val Nerina ancora oggi praticamente chiusa, se non aperta a piccole fasce orarie, che ci collega all’Umbria e ai comuni limitrofi, che erano un bacino commerciale importante per noi, anche questo ci ha danneggiato seriamente. Ora qualcosa si muove, siamo sempre a distanza di più di un anno, ma qualcosa si muove: speriamo che anche questo permetta un miglioramento della situazione, la riapertura della strada Val Nerina è una cosa importantissima, perché ovviamente permette una maggiore circolazione delle persone e altrimenti ci troviamo come fossimo in un imbuto, si arriva a Visso ma non si può andare da nessun’altra parte: né andare verso l’Umbria, né salire verso Castelluccio. Quindi questi sono aspetti importanti, soprattutto per me che lo vivo direttamente essendo un commerciante: vedo cosa significa non avere gente che gira e se la gente non gira e non spende ovviamente il lavoro non si può ricreare. La fortuna vuole che abbiamo una grossa fabbrica qui a Visso che permette a molte famiglie di ricevere uno stipendio fisso, questa forse è l’unica nota positiva che qui ancora c’è. Per cui dal 24 agosto ad oggi, perché io metto il 24 agosto come partenza diciamo del danno economico del paese, il 26 ottobre è il danno materiale strutturale, ma già dal 24 agosto, le perdite sono elevate a livello economico. Che dire, la situazione non è bella. Io normalmente sono sempre molto positivo, quindi vedo sempre il bicchiere mezzo pieno invece che mezzo vuoto, però dopo un anno anche i positivi come me un pochettino perdono le speranze, perché vedi che tu ti dai da fare, cerchi di sforzarti a capire perché, dove si può andare a migliorare le cose, cercare anche di essere d’aiuto, di dare un consiglio, poi però sembra quasi che non si riesce a ottenere niente, non si riesce a capire le colpe di questi ritardi, e quindi uno diventa pazzo… Perché? Un anno fa pensavo, e non solo io ma anche altre persone: che magari dietro c’è un progetto di spopolamento dell’Appennino, punto di domanda? Perché una gestione così scandalosa, diciamolo chiaramente, del terremoto, di questo terremoto, è visibile agli occhi di tutti. Di tutti quelli che son venuti qua e di tutti quello che anche attraverso la televisione, i giornali, ormai si son resi conto della situazione. Nessun altro terremoto, pur se questo è molto più vasto sia del terremoto del ’97, che terremoto de L’Aquila, che il terremoto dell’Emilia… però vedere una disorganizzazione a livello generale così grande, lascia perplessi. Per cui o è incapacità o è malafede, e quindi c’è volontà di spopolare, ma ovviamente spopolando l’Appennino, spopolando questa zona delle Marche, rischiano di danneggiare a livello economico anche i comuni più grandi vicini: se vengono a mancare le persone qua, anche verso la costa vengono danneggiati o se non è la costa è la zona di Macerata, perché comunque c’era gente che da qui scendeva a far spesa o comunque si muoveva verso queste realtà. Ma se questa gente che ora è qua, si sposta in altre realtà, che non sono questi comuni limitrofi, credo che il danneggiamento sia anche per loro. Credo ci voglia un cambio di rotta su tutta la questione. Speriamo che ci sia, perché se queste sono le premesse, ho paura che per la ricostruzione ci vorranno 20-30 anni: se per fare le casette, che sono d’emergenza, ci vorranno a questo punto un anno e mezzo o due anni, per la ricostruzione di un centro storico come quello di Visso, dove ho l’abitazione… c’è rischio che non la rivedrò mai più neanch’io che ho un’età di 44 anni. Son domande che uno si deve fare perché, parliamoci chiaro, qui già ci sono problemi R4, di rischio idrogeologico, dovranno risolvere quei problemi, dovranno fare tante verifiche, per cui il problema è enorme. Il pensare che un centro storico come quello di Visso non possa essere ricostruito, secondo me è follia, però l’intenzione ad oggi è quella. Ho timore che queste realtà possano sparire, perché a differenza di quello che è stato fatto magari in Emilia Romagna, dove hai una pianura, puoi anche delocalizzare un paese di un chilometro o due, ma un paese come Visso come fai a delocalizzarlo? Dove lo sposti? Cioè non c’è possibilità di spostarlo di un chilometro o due. Se anticamente l’hanno fatto lì, e siccome io ritengo che i nostri nonni, i nostri bisnonni, i nostri erano più intelligenti di noi, se l’hanno costruito lì un motivo ci sarà. Per cui nel 2017, ormai alle porte del 2018, non possiamo farci spaventare da problemi idrogeologici, penso che dobbiamo essere in grado di risolverli questi problemi, oppure contenerli. Sapere che Visso non potrà più essere ricostruito, è una cosa che mi fa piangere. Quindi questo terremoto, invece che distruggerci, dovrebbe servire per rilanciarci, per rifare più bello il paese, per ridare opportunità lavorative, quindi anziché perdere la popolazione dovrebbe darci la possibilità di far ricrescere la popolazione, e spero che nelle capocce dei nostri politici questa cosa possa entrare, anche perché la scelta di riempire le città, dove non si vive più, penso che sia una scelta folle: bisognerebbe invece cercare di favorire e cercare di far sì che ci sia un esodo verso queste realtà, ripopolare le montagne, perché è importante, perché anche i bambini vivono meglio in posti così piuttosto che all’interno delle città, dove se c’è la nebbia allora c’è lo smog e i bambini non possono uscire, l’estate fa caldo… queste sono zone bellissime, dovrebbero essere valorizzate di più dai nostri politici, invece che metterli all’interno delle città e farli diventare stupidi. Io sono molto arrabbiato, a volte quasi… che mi vergogno di essere italiano per come ci stanno trattando, è una cosa allucinante e grave. Vedere famiglie con bambini ancora ospitati in albergo, oppure stare in delle abitazioni a 50-60 chilometri quando invece hanno la volontà di rientrare, e non lo possono fare perché non sanno dove andare: io questa cosa la ritengo gravissima, ed è la cosa che mi dispiace di più di questo terremoto, cioè vedere come sono state trattate le persone. Per non parlare ad ottobre quando sono state mandate sui campeggi, e poi a maggio, quando i turisti arrivavano, sono state cacciate dai campeggi: questa cosa anche è gravissima. Non sono pacchi postali! Per cui se io dico sto in roulotte, sì, ma allora, forse, sono stato meglio io in roulotte che queste persone trattate veramente come pacchi. Il mio stato d’animo ad oggi è ancora combattivo, perché tornerò tranquillo quando la gente sarà tornata a Visso, a Ussita, a Castelsantangelo sul Nera, a Pievetorina o comunque quando vedrò che tutta la gente è rientrata, solo allora tornerò in pace con me stesso. Fino a quel momento sarò incazzato nero, come lo sono non dal 26 ottobre, ma dal 30 ottobre, perché fino al 30 c’è stata talmente tanta confusione in testa che ovvio, uno non aveva metabolizzato la cosa: perché a me era capitato di averla viste in televisione queste cose, gente senza una casa, gente disperata e invece adesso mi ritrovo io insieme ai miei concittadini in questa situazione. Per cui sono arrabbiatissimo e tornerò ad avere un minimo di pace solo quando, solo quando la gente potrà tornare alla propria abitazione. La cosa che da qui a 15-20 giorni mi fa stare peggio è che molto probabilmente io alla fine di novembre forse riuscirò ad avere una abitazione, però il sapere che altri miei concittadini dovranno ancora aspettare del tempo è una cosa che mi fa veramente male, perché non è concepibile una cosa del genere. Cioè io avrò della felicità perché tornerò in una abitazione, ma gli altri? Uno potrebbe dire, vabbè, rinunci tu alla tua casetta? Sì, potrebbe anche questa essere una soluzione, però pure io vivo in una roulotte, quanto posso ancora andare avanti in una roulotte? Quindi ripeto, se da un lato ho la felicità perché magari riacquisto un minimo di libertà e un minimo di… calore familiare, anche se io vivo da solo, però ogni tanto vengono a trovarmi i miei genitori, dall’altra parte però mi dispiace vedere persone ancora fuori. Ma questo ovviamente non significa che io come vado rompendo le palle in tutti i cantieri, compreso quello dove dovrò andare io, in modo più assiduo ovviamente, non è che quando io avrò l’abitazione non andrò più sugli altri cantieri a rompere le scatole: ci andrò ugualmente. Proprio perché smetterò di rompere, smetterò di essere rompiscatole, quando tutte le casette richieste saranno terminate e tutti i miei concittadini saranno tornati qua. Allora sarà un giorno di festa qui a Visso. Fino ad allora non credo, fino ad allora non credo proprio. Basta. Intervista video Andrea Giuli [52] e Stefania Paternesi [53], Visso, 9 novembre 2017 Andrea: Io mi chiamo Giuli Andrea e purtroppo sono uno dei tanti capitati in questa situazione. Il 24 agosto casa nostra aveva retto bene e non ha subito danni, pensavamo di esserci salvati ma, purtroppo, il 26 ottobre casa nostra è stata distrutta, e da quella sera in poi non abbiamo più messo piede in casa. Abbiamo fatto un’odissea: siamo stati prima a dormire in macchina per qualche giorno, poi a dormire dentro gli spogliatoi del campo sportivo, poi con la scossa veramente bestiale del 30 mattina siamo stati costretti ad andare via tutti, e quindi siamo stati al mare. Prima in un villaggio, poi in un altro villaggio, poi Stefania col suo problema del lavoro, lavora qui a Visso in una fabbrica… Stefania: …alla SVILA… Andrea: …alla SVILA… ed aveva la navetta per venire su: erano tantissime le ore in giro e non ce la faceva più. Anche io avrei dovuto cominciare a lavorare qui a Visso con una ditta di movimento terra, e quindi siamo venuti… Abbiamo preso la decisione, la triste decisione, di dover venire dentro questi dormitori. Si pensava che qui ci si doveva stare qualche mese solo, noi siamo arrivati qui che era marzo, prima pensavamo che avrebbero consegnato le casette ad agosto, poi che le avrebbero consegnate a ottobre… adesso siamo a novembre e ancora stiamo qui. Non è facile vivere qui… Non è che uno si vuole lamentare, perché grazie a Dio abbiamo questa struttura, però siamo arrivati ad un livello di stress molto alto; non ce la facciamo più. Sappiamo che dobbiamo restare qui ancora qualche mese… Stefania: Se basta. Secondo me no. Andrea: Io penso che prima di febbraio non se ne parli, quindi sarà dura. Sarà dura vivere tutti i giorni, sarà dura… diventa duro il rapporto di coppia, diventa duro il rapporto con le altre persone, diventa duro tutto… tutto è duro. Poi ho avuto la sfortuna che sul lavoro ho avuto un infortunio, mi sono rotto una caviglia, e dal 14 settembre sono immobilizzato: immaginate voi, immobilizzato dentro a questa scatola, perché io la chiamo la scatola. E questo è quanto. I lavori vanno avanti, vanno avanti con fatica, di problematiche ce ne sono state tante, nessuno c’ha colpa perché poi non si può dare… Noi abbiamo il nostro sindaco [Paolo Pazzaglini] che sta facendo miracoli, però più di quello non può fare, e le date che lui ci aveva detto, erano quelle che avevano dato a lui: ma non sono mai state rispettate. Ad oggi stiamo qui, dimenticati, ed è duro. È dura, pensare a domani, è molto dura. Bisogna vivere giorno per giorno. Quello che dico sempre io a Stefania è alzarsi la mattina e impegnarsi a non andare fuori di testa. Questo. Lo scopo nostro adesso è questo: alzarsi tutti i giorni e tenere duro e non andare fuori di testa, perché qui si rischia proprio di andarci. Stefania: Io mi chiamo Stefania Paternesi, ho 53 anni. Con Andrea siamo una coppia, viviamo insieme e no, non è facile infatti stare qua dentro: è una cosa non bruttissima ma, tra poco ci si odierà pure fra di noi. Anzi, io penso che ci odiamo fra di noi anche a causa di tutte le condizioni in cui ci troviamo, non avendo neppure il bagno per conto proprio. […] È una cosa brutta, non… non m’era mai capitata e capisco adesso le persone cui è accaduto quello che hanno potuto provare. Se non lo si passa non ci si crede. Rimanere senza casa è una cosa… dipendere dagli altri… e poi non ti danno retta, perché ci sono le esigenze che hai e che non sono assecondate poiché non le vivono e non le capiscono. Io una cosa così non la auguro a nessuno di viverla. Andrea: Ma quello che bisogna pensare è questo: 7:40 di sera, stai a casa come tutte le sere normali, ti stai cucinando, stavamo cucinando la cena. Dopo 3 minuti eravamo fuori di casa. Stefania: È finita la vita. Andrea: Non avevamo più né una casa, né una cena e non avevamo più niente. Siamo usciti di casa quella sera, alle 7:40 e non siamo più rientrati. Casa nostra purtroppo ha subito dei danni molto gravi ed è da demolire. Non è crollata, quindi ci ha salvato la vita e questo grazie al Signore che ne siamo usciti vivi, come tutti, come tutta la popolazione di Visso, Ussita e Castelsantangelo sul Nera. Ad Amatrice purtroppo piangono quasi 300 morti. Questa è stata una grazia che il Signore ci ha fatto, anche perché il terremoto del 24 agosto, ci ha messo in allerta. Casa nostra non ci avrebbe ammazzato, però è da demolire: è scoppiata completamente. […] Immaginate questa cosa qui, con tre secondi, con quaranta secondi, con cinquanta secondi la tua vita cambia completamente. Avevamo una bellissima casa, bellissima per noi, comoda, con tutte le nostre comodità, avevamo 246 metri quadrati di casa, potevamo ospitare amici, potevamo fare cene, potevamo… cioè stavamo lottando con la vita di tutti i giorni, perché oggi nessuno qui sta a meraviglia, però noi avevamo tutto. Con trenta secondi non abbiamo più niente. Stefania: Ah di certo, con la vita che facciamo qui, in confronto a quella che facevamo prima… Adesso io fortunatamente lavoro, mezza giornata è occupata: quindi mezza giornata siamo fuori da qui, però rientri, ceni, noi ceniamo alle sette e mezzo, e alle otto vieni in camera, ti metti qui, naturalmente sul letto, ti guardi la televisione e dopo due secondi dormi: la vita è questa tutta la settimana. Anche perché fuori dove vai? Non c’è un bar aperto, non c’è niente… Adesso fa pure freddo, per cui… Non è che puoi andare chissà dove: dici esco dieci minuti, vado a prendere un gelato o qualche cosa. No. Assolutamente. Non c’è niente, c’è il coprifuoco. Freddo fa freddo perché ormai l’inverno è arrivato. Andrea: Alle 5 è notte. Stefania: Alle 5 si fa notte. Stai qui dentro. Eh… non ti puoi muovere più di tanto perché purtroppo, non purtroppo vabbè, è una cosa che poveracci pure loro… Qui abbiamo la chiesa, quindi ad una cert’ora c’è la messa, tutte le sere, e quindi, se uno vuole… Andrea: Non ho mai assistito a tante messe in vita mia. Stefania: …se uno vuole scambiare due chiacchiere in gruppo, non lo può fare perché la messa non è posta in un locale chiuso, ma è tutto aperto: non è che uno si può mettere seduto nel salotto davanti alla televisione con la messa lì a fianco, mentre dicono la messa. Di fatto ognuno è nelle proprie camere. In pratica siamo ognuno per conto nostro, neanche si può socializzare più di tanto. Però, come dicevo prima, anche se ci conosciamo tutti, ci odieremo tutti perché non ci potremo più vedere per quanto stiamo vicini e appiccicati tutto il giorno. Andrea: Io mi sono trasferito qui nel ’97 da Roma, perché amavo questo posto, perché mi piaceva proprio: ho vissuto il terremoto del ’97 e non ho mollato, e ho vissuto questo terremoto che in confronto a quello del ’97 non c’ha proprio niente a che vedere. Stefania: Beh, quello non c’ha buttato fuori casa. Andrea: Con quel terremoto non abbiamo subito nessuno stress perché, in pratica, siamo usciti di casa qualche notte per paura, ma siamo rientrati e non abbiamo mai avuto problemi, anzi ha portato lavoro, ha portato qualche vantaggio. Questo è stato distruttivo, tantissimo. Questo è il primo vero terremoto che, secondo me, da tantissimi anni questi posti subiscono: ma non mollerò, neanche per questo. Mi dispiace per chi c’ha le attività, mi dispiace… io dico sempre che noi non ci rendevamo conto, prima di questo terremoto, quanto in questo piccolo paese di novecento persone avevamo tutto a portata di mano e tutto quello che ci serviva: non avevamo bisogno mai di uscire da qui. Adesso ci troviamo che qui non abbiamo più niente, abbiamo solo questo posto per dormire, una mensa per mangiare, un bar che si è adattato a fare pure ristorazione… Però le montagne stanno ancora lì e quindi io non me ne andrò mai, anche se dovessimo rimanere io e lei da soli qui a Visso. Io non me ne andrò. Però è dura. È dura per noi, è dura per tutta l’altra gente. Stefania: È dura pure perché ci demoralizzano, perché ci fanno promesse, ci dicono cose. Anche per esempio queste casette: è passato un anno! Si può dire che abbiano iniziato i lavori a fine estate. Qui da noi l’inverno è rigido. Adesso come pretendono di poter finire queste casette? Come fanno? E se inizia a nevicare? Se inizia a piovere? Come pensano di poter finire le casette? E quindi, a quando va a finire? A primavera prossima noi potremo entrare dentro queste casette? Ti stressano con queste cose… Andrea: Ma comunque sia adesso, o a primavera, o un mese prima o un mese dopo nessuno lo può dire, dipende dal tempo, dipende se nevica presto o se il tempo è clemente. Però, comunque sia, ad occhio, vedere l’attuale situazione dei lavori, minimo altri due mesi e mezzo, tre mesi se tutto fila liscio, ce li vogliono. Considerate che Natale lo facciamo qui, gennaio staremo qui… io penso che i primi di febbraio, se tutto va bene, dovremo avere queste casette. È il nostro primo, è il nostro imminente obbiettivo. Raggiungere quell’obbiettivo lì è la cosa che adesso a noi ci preme di più , anche se poi non è una cosa che poi risolverà… Stefania: …i problemi… Andrea: …i nostri problemi, perché vivere in un villaggio… Dopo due anni che uno vive in un villaggio, attaccati l’uno all’altro, diventerà, non dico come qui, ma purtroppo diventerà sempre una cosa molto sacrificata, per noi e per tutti quelli che ci vivono. Stefania: Vabbè, però c’hai casa tua, per conto tuo… Andrea: Sì, infatti dico quello è il nostro primo obbiettivo. Siamo con la testa puntati a raggiungere lo scopo di entrare in questa casetta, poi… Stefania: …che non arriva mai… Andrea: …forse un giorno ritorneremo pure a casa nostra, forse un giorno. Io non ho la certezza matematica che riavrò… Stefania: …ci parlano di vent’anni… Andrea: …ho 52 anni, quindi non so se rivedrò casa mia finita, se non la rivedrò, se se la godranno i nostri ragazzi: non lo so quello, comunque il nostro adesso, il nostro scopo, il nostro obbiettivo, la nostra ansia è lasciare questo posto ed entrare in queste benedette casette, che tra l’altro sono fatte anche bene. A Gualdo [frazione di Castelsantangelo sul Nera] le hanno già consegnate e, a sentire chi sta dentro, sono casette fatte molto bene, si sta molto caldi, sono molto comode: è già un sollievo sentire questo. Insomma non ci sono problemi. Poi certo, non è casa tua. Non è casa tua. Stefania: Vabbè, comunque è sempre casa tua, perché ci stai tu da solo e non devi render conto a nessuno. Cioè stai per conto tuo. Non è come stiamo adesso che la mattina c’è… qui vivi in una comunità, quindi ci sono anche delle regole da rispettare, cosa che magari non tutti fanno, perché purtroppo la maggior parte delle persone che stanno qua dentro sono anziane, la mattina si alzano alle 6, parlano, sbattono le porte. Non pensano che magari tu, che ne so, stai dormendo perché la sera prima sei uscito dal lavoro tardi e ti vuoi riposare un po’ di più, oppure il pomeriggio ti vai a riposare perché te sei alzato alle 5. Andrea: Ma vabbè, la cosa è spiegabile in questo modo… Stefania: È stressante anche questo. Andrea: …è già difficile una convivenza con un’altra persona, immaginate voi convivere con altre 23-24 persone… Cioè… Stefania: Non è facile. L’odissea è stata quella. Io ho due figli: uno di trent’anni, uno di 27 anni. Uno è collocato a Colfiorito ed era rimasto qui a Visso fino a febbraio… Andrea: …fino alla terribile nevicata che ha fatto… Stefania: …che ha fatto, sì. Poi dopo se n’è andato… Andrea: …e viveva dentro una roulotte… […] Stefania: …al campo Bronx. Andrea: …dopo ha deciso di prendere l’autonoma sistemazione [CAS] e trasferirsi a Colfiorito. Stefania: L’altro invece sta a Macerata, perché lavora lì. C’è stato sempre, anche quando ha fatto il terremoto… Andrea: Già prima del terremoto viveva a Macerata. Beh ringraziando Dio c’abbiamo i ragazzi che sono sistemati molto meglio di noi, e questo, per noi, è un sollievo: almeno sapere che loro stanno… Stefania: …bene. Andrea: …bene. È un sollievo. È un sollievo. Per noi è dura. Per noi è dura, dobbiamo essere forti. Saremo forti perché ce la faremo, perché siamo anche montanari e noi montanari… Io, io sono… Stefania: Io sinceramente, non lo so… se ce la farò. Andrea: Noi montanari siamo forti. Perché io sono un montanaro nato per sbaglio al mare, quindi mi ritengo montanaro in tutto e per tutto. E quindi ce la faremo. Ce la faremo. Ce la dobbiamo fare. Stefania: Per forza. Andrea: Ce la dobbiamo fare. Dobbiamo essere… Stefania: Almeno per vedere queste casette, provare a vedere come si sta dentro. Mica dico tanto. Andrea: Ripeto che dobbiamo essere forti a non… a non farci sorprendere dalla depressione, o dall’esaurimento perché, vi garantisco, che è dura non cadere in depressione in questo anno. In tutte le fasi di questo anno, chi non ha subito conseguenze in questo è bravo. È bravo. Stefania: Fortunatamente ringraziamo Dio perché abbiamo un lavoro, perché è molto importante. Io faccio una settimana la mattina, una settimana il pomeriggio, quindi mezza giornata la passo al lavoro… La SVILA che non c’ha abbandonato e ha fatto subito i lavori, e così siamo potuti ritornare a lavorare subito… Andrea: E agli amici. E gli amici. Stefania: E gli amici che abbiamo perché ci sosteniamo a vicenda. Andrea: È molto importante. Gli amici sono molto importanti in questi momenti e noi li abbiamo e abbiamo potuto contare su di loro… gente che sta nelle stesse situazioni nostre, anche peggio. Noi bene o male viviamo in questa scatola, come la chiamo io, insomma è sempre… Stefania: … meglio di una roulotte. Andrea: … meglio di una roulotte e di un camper. Abbiamo amici che vivono in un camper e io li ammiro fortemente perché ancora riescono a starci. Però l’amicizia pure in queste tragedie è molto importante e noi… e noi abbiamo molti amici e possiamo contare su di loro e i nostri amici possono contare su di noi. È importante questo. Io ripeto: bisogna essere bravi e quando tornerà tutto alla normalità… Non devi subire lo stress che hai accumulato in questo anno, devi riderci sopra, scherzarci sopra, far finta che va tutto bene, farci forza l’uno con l’altro. È questo… Stefania: Cioè adesso uno vive e neanche se ne rende conto ancora… Cominciamo adesso a renderci conto della situazione, perché lì per lì, quando c’è stato tutto quel trambusto, cioè siamo stati spostati di qua, di là… Poi, sai, lì per lì uno non se rende mai conto delle situazioni, no? È dopo che, col passar del tempo che magari ti esce fuori tutto. Speriamo che ci passa via così. Insomma è stato un anno, come posso dire… di passaggio, così, una cosa diversa. La prendiamo così, ecco. Andrea: Un anno che cancelleremo dalla nostra mente. Stefania: Beh, no, dai. Cancellare no, perché tutto serve nella vita. Questa pure è una esperienza che può servire a farci riflettere su tante altre cose. Quello no. Perché ogni cosa serve. Però speriamo che non ci ricapiterà più, per lo meno finché saremo in vita. E auguro anche agli altri, ai miei figli, che non gli accadrà mai perché è tanto brutto. Io è una cosa che non auguro a nessuno. Andrea: Io spero solo che la ricostruzione sarà fatta in modo che in futuro le persone non dovranno più passare questa situazione, perché è vero che il terremoto grazie a Dio non ti ha ucciso, ti ha salvato la pelle, però credetemi che poi il disagio che ti crea dopo, nei mesi successivi e qui stiamo parlando di più di un anno ormai, è una cosa che… è una cosa dura da affrontare perché ti senti che non sei più niente, impotente. Devi adattarti a quello che hai e scordarti tutto quello che avevi prima e andare avanti così. Il disagio che crea. La ricostruzione deve essere fatta intelligentemente. Se dovesse succedere un’altra situazione del genere, qui è inutile negarlo ci troviamo in una zona ad alto rischio sismico, la terra trema e tremerà sempre e c’è quando esagera e quando è clemente, quindi la ricostruzione deve essere fatta in modo che la gente raccoglie due quadri, raccoglie due vetri per terra e rimane dentro casa. Questo è l’intelligenza, per me, del futuro di questi posti, perché sennò, non c’è futuro. Non c’è futuro. Perché fra tre, quattro, cinque, sei venti o trent’anni può risuccedere una cosa del genere e la gente si ritrova da capo a dieci… e quindi bisogna esser intelligenti. Ci sono oggi delle soluzioni antisismiche molto più moderne e bisogna usarle… bisogna usarle, in modo che la gente possa rimanere dentro casa propria, e non c’è più bisogno di starsene fuori. Questo. Anche perché se mi ricostruiscono una casa di pietra… io non ci rientro! Che poi non bisogna dimenticare un’altra cosa: il trauma che uno ha subito. La paura. E non è facile. Parecchie persone hanno la fobia di rientrare dentro una casa in muratura e questo pure è un fatto da non sottovalutare. Stefania: Pure noi non lo sappiamo perché… Andrea: Noi non lo sappiamo. Fino ad oggi, in un anno non ci siamo più rientrati dentro… Stefania: …quattro mura… Andrea: …una struttura in cemento armato o in muratura o in pietra che sia. Però sicuramente non dormirei tranquillo. Non dormirei tranquillo, se non so di stare dentro una struttura fatta con il vero criterio antisismico: non ci starei. Preferisco star dentro un container… capisci? Intervista video Giovan Battista Aleotti (Battista) [21], Ussita (MC), 31 ottobre 2017 Vivo da sempre qui ad Ussita, tranne quando ci hanno evacuato a seguito delle scosse del 30 ottobre e con un mio amico [Stefano Riccioni] abbiamo fatto avanti e dietro [dalla costa] per un mese consecutivo, sono rimasto qui accanto ai miei animali. Dal 24 agosto ad ottobre è stata una cosa molto leggera, il terremoto di Amatrice si era sentito, ma era stata una scossa che non aveva provocato gravi danni, c’era qualche edificio inagibile ma niente di particolare. Tutto il dramma è iniziato la sera del 26 ottobre, quando alle 7:10 circa c’è stata la prima scossa che è stata molto forte con epicentro qui vicino, a Castelsantangelo sul Nera. Io con mio padre stavamo andando da nonna per controllare come stava, perché viveva da sola, ed infatti abbiamo preso la prima scossa dentro casa sua [lo scorso luglio è deceduta]: è andata via la luce, ho pensato «adesso finisce!» ed invece continuava a tremare ed allora ho preso nonna, che essendo anziana non poteva fare uno scatto come un ragazzo giovane, l’ho portata fuori casa. Siamo usciti tutti quanti. Mia madre stava salendo da Visso in auto dopo il lavoro, ed ha chiesto cosa è fosse accaduto perché non se ne rendeva conto. Io le ho risposto: «Guarda c’è stata una scossa fortissima. Andiamo fuori, non rientriamo in casa, è stata molto più forte di quella del 24 agosto.» Molto di più. In un modo totalmente diverso. Da lì siamo andati giù a casa nella frazione Sasso, per cenare, però ovviamente sempre con un piede fuori ed uno dentro perché avevamo preso paura. Ci aveva avvertiti bene ed infatti, abbiamo cenato e da lì a poco è arrivata la scossa delle 21:20, la scossa veramente distruttiva. La peggiore di tutti. Epicentro sempre tra Ussita e Castelsantangelo sul Nera ed è stata fortissima. Io con la mia famiglia stavamo sul pianerottolo di casa, dove stanno le scale, e quando abbiamo sentito la scossa siamo usciti tutti fuori in uno spazio più ampio e siamo rimasti lì fino alla fine. Abbiamo dormito in auto per un paio di notti, poi ci siamo arrangiati qui nella roulotte fino alla mattina del 30 ottobre, che è stata il culmine del terremoto, e dopo il quale hanno evacuato tutto il paese perché non era più possibile restare. È stata fortissima anche se l’epicentro era più lontano, spostato verso Norcia, Preci ma era di magnitudo superiore ed ha ampliato i danni che c’erano già dal 26 [ottobre]. Gli edifici agibili erano pochissimi, come tutt’ora: un ottanta percento delle case sono inagibili. Stiamo aspettando le casette [SAE] in questa nuova area e nel frattempo continuo a vivere nella roulotte. Quest’inverno l’ho passato in un camper dove comunque sia si stava bene, con la stufetta si riusciva a mantenere una temperatura ideale. L’inverno però è stato duro, è stato lungo, è stato uno dei peggiori che ho passato, sicuramente il peggiore perché quando rientri dentro una roulotte non è come quando rientri a casa vicino al camino: se sei bagnato metti ad asciugare la giacca… nella roulotte non metti ad asciugare niente, con una stufetta asciughi poco. Quando facevamo avanti e dietro dopo il terremoto, dalla sera del 30 ottobre abbiamo fatto la spola da Porto Recanati, una distanza di 130 chilometri andata e 130 chilometri ritorno, oltre la spesa del gasolio c’è il sacrificio, perché parti da qui stanco morto dopo aver lavorato tutto il giorno. Poi a volte non stai bene perché hai il raffreddore o altro, ma la strada c’era da farla ugualmente. L’abbiamo fatto, non è stato semplice, però fin qui ci siamo arrivati. Adesso aspettiamo le casette. Dicono che per la fine di novembre dovrebbero essere pronte, anche se ci avevano promesso che sarebbero state pronte il 30 di aprile, cosa che assolutamente non poteva esser vera perché tanto… i politici parlano, ma i fatti parlano più dei politici: se i lavori non iniziano, poi non si possono fare in cinque minuti. Per urbanizzare una zona serve del tempo, serve il personale, servono molti mezzi e che le condizioni climatiche siano adatte perché se inizia a piovere o nevicare… sappiamo che andrà per le lunghe. Adesso ho di nuovo la mia famiglia a Porto Recanati: inizialmente era alloggiata in un campeggio a Porto Recanati, poi è stata sposta a Sirolo e poi a Loreto. Troppe tappe sono state fatte. La mia casa è inagibile come tantissime altre. Ho passato l’inverno qui ad Ussita perché ho un centinaio di pecore che con il passare del tempo sicuramente aumenterò, per fare un’azienda più grande, migliore. Fortunatamente ho una stalla che ha retto molto bene al terremoto, ma ciò non cambia che l’inverno sia stato molto difficile perché abbiamo anche seri problemi d’acqua su a Macereto. Sono due anni che non abbiamo più acqua. Dopo il terremoto del 24 agosto era iniziata a calare fino a non uscire più affatto dalla sorgente, poi verso febbraio dello scorso anno è tornata l’acqua, sembrava che la sorgente fosse riemersa, e invece quando siamo tornati su ad aprile-maggio l’acqua non c’era più. Tutta questa estate, il comune ha trasportato l’acqua con l’autobotte per far bere gli animali. Speriamo che anche questo problema venga risolto col passare del tempo perché ci vuole tempo, ci vuole pazienza. Lo scorso inverno ci siamo organizzati, noi pochi rimasti qui in zona, con altri gli allevatori, i carabinieri, per mangiare in una casetta di legno presso il Parco Ruggeri, dove adesso è sorta la nuova area commerciale. Fino a tutto dicembre invece, avevamo mangiato nella tenda della Protezione Civile… ma qui l’inverno è molto rigido: anche se il clima è mite, la notte fa delle consistenti gelate. Infine abbiamo iniziato ad utilizzare quella casetta di legno, che ci ha ospitato per tutta la durata dell’inverno finché non ha riaperto il locale della zona, La Mezza Luna. Abbiamo ricevuto parecchi aiuti, tanti da persone molto generose che ci hanno donato fieno, mangimi e tantissime altre cose. Video intervista |